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PAURA DELLA SOLITUDINE E SINDROME DI BRIGDET JONES

E se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo.  (Leonardo da Vinci)

Chi vola alto è sempre solo. (Nurejev)

La mia esperienza è sempre consistita nel rimanere totalmente solo.
(F. Bacon, Conversazioni con David Archimbaud )

[Trarre sostentamento] nella comunicazione di uno spirito solitario con se stesso.
(N. Hawthorne)

Tutti coloro che prendono seriamente se stessi e la vita, vogliono stare soli, ogni tanto. La nostra civiltà ci ha così coinvolti negli aspetti esteriori della vita, che poco ci rendiamo conto di questo bisogno, eppure la possibilità che offre, per una completa realizzazione individuale, sono state messe in rilievo dalle filosofie e dalle religioni di tutti i tempi. Il desiderio di una solitudine significativa non è in alcun modo nevrotico; al contrario, la maggior parte dei nevrotici rifugge dalle proprie profondità interiori, ed anzi, l’incapacità di una solitudine costruttiva è per se stessa un segno di nevrosi. Il desiderio di star soli è un sintomo di distacco nevrotico soltanto quando l’associarsi alla gente richiede uno sforzo insopportabile, per evitare il quale la solitudine diviene l’unico mezzo valido.
(K. Horney, I nostri conflitti interni )

Si è soli con tutto ciò che si ama. (Novalis)

I legami fra una persona e noi esistono solamente nel pensiero. La memoria, nell’affievolirsi, li allenta; e, nonostante l’illusione di cui vorremmo essere le vittime, e con la quale, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, inganniamo gli altri, noi viviamo soli. L’uomo è l’essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in se medesimo, e che, se dice il contrario, mentisce.
(M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto )

Non occorre che tu esca di casa. Resta al tuo tavolo e ascolta.
(F. Kafka)

Perché questo è l’ostacolo, la crosta da rompere: la solitudine dell’uomo – di noi e degli altri. (C. Pavese, Saggi letterari )

Temperamento piuttosto incline a solitudine, inetto a cicalare con brio, alieno dalla mondanità, io avvicino e frequento i miei simili con una certa fatica e una certa titubanza e con fatica i più virtuosi di essi. Davanti a chiunque rivivo gli attimi di uno scolaro all’esame. Mi diletto invece di chiare algebre alle ore di “loisir”. Che non ti snervano quanto una conversazione da salotto; ove, a me, m’incorre l’obbligo di fingermi spiritoso e intelligente, non avendo né l’una né l’altra qualità.
(C.E. Gadda, Intervista al microfono ne I viaggi la morte )

La solitudine è l’elemento vitale dello scrittore. (S. Marai, Confessioni di un borghese )

Io sono una persona che sta molto sola; delle mie sedici ore di veglia quotidiane dieci almeno sono passate in solitudine. E non potendo, dopo tutto, leggere sempre, mi diverto a costruire teorie le quali, del resto, non reggono al minimo esame critico.
(G. Tomasi di Lampedusa, Letteratura inglese )

Ero abituato a essere indipendente, a star solo la maggior parte del mio tempo, detestavo la truppa, aborrivo la massa, e tutte quelle urla cento volte, mille volte ripetute dalla stessa bocca.
(T. Bernhard, Un bambino )

Noi viviamo come sogniamo, soli. (J. Conrad)

La nostra solitudine è la nostra nobiltà. La nostra solitudine è la nostra gioia.
(A. Savinio)

Ho conquistato la solitudine. Solo di quella sono fiero. È la socialità più vera.
(O. del Buono)

[…] Chi vive semplicemente la propria vita, non vive. […] Non bisogna solo vivere la vita, bisogna costantemente inventarla,e questo significa raccontare. […] Scrivere è un lavoro solitario. Leggere è un lavoro solitario. La letteratura è una forma di solidarietà fra solitari.
(P. Bichsel)

L’uomo nasce nudo e muore solo.
(G. Arosio, medico)

Il cuore nella solitudine e nella pace va a poco a poco obbliando i suoi affanni; perché la pace e la libertà si compiacciono della semplice e solitaria natura.
(U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis)

Nelle arti, nella musica, nella filosofia e in quasi tutta la letteratura seria, la solitudine e la singolarità sono essenziali […] Testimoniano della ricchezza estatica della solitudine. Affermano che soltanto nella solitudine austera si può percepire la pulsazione della vita nella sua vibrazione più intensa. Identificano la soledad con la possibilità stessa di travagli speculativi e costruttivi di prim’ordine. Come vedremo, è questa la convinzione, spesso ribadita, di Montaigne nella sua torre; ed è quella dello Zarathustra di Nietzsche nella solitudine accecante del sole di mezzogiorno.
(G. Steiner, Grammatiche della creazione )

Nei luoghi solitari sii una folla per te stesso.
(Tibullo)

Bisogna riservarsi un retrobottega tutto nostro, del tutto indipendente, nel quale stabilire la nostra vera libertà, il nostro principale ritiro e la nostra solitudine. Là noi dobbiamo trattenerci abitualmente con noi stessi, e tanto privatamente che nessuna conversazione o comunicazione con altri vi trovi luogo; ivi discorrere e ridere come se fossimo senza moglie, senza figli e senza sostanza, senza seguito e senza servitori, affinché, quando verrà il momento di perderli, non ci riesca nuovo il farne a meno. Noi abbiamo un’anima capace di ripiegarsi in sé stessa; essa può farsi compagnia; ha i mezzi per assalire e per difendere; per ricevere e per donare; non dobbiamo temere di marcire d’ozio noioso in questa solitudine.
(Montaigne, Essais , Libro I, capitolo XXXIX)

Quando sono lontano da casa e mi è impossibile tornare nella mia stanza e rimanere solo, l’unica mia consolazione è addormentarmi in pieno giorno. […] Per diventare scrittore pazienza e fatica non bastano: si deve anzitutto provare l’impulso irresistibile a fuggire la gente, la compagnia, la quotidianità, e a chiudersi in una stanza.
(O. Pamuk, premio Nobel per la letteratura)

Questa è infine la solitudine: avvolgersi nella seta dell’anima, farsi crisalide e attendere la metamorfosi, che non può mancare. Si vive intanto delle proprie esperienze e telepaticamente si vive la vita altrui […].
Finalmente possiedi solo te stesso. I pensieri altrui non controllano più i miei; opinioni, capricci altrui non m’angustiano più. Ora l’anima comincia a maturarsi nella riconquistata libertà e provo un’immensa pace interiore, un piacere sereno, un senso di certezza e di responsabilità.
Se rifletto sulla vita sociale che dovrebbe essere una specie di palestra, non posso ora che giudicarla altro che una scuola di vizi. Se rechi in te un senso di bellezza, essere costretto a vedere bruttezza è una vera tortura, che ti spinge ingannevolmente a ritenerti un martire. Chiudere gli occhi di fronte all’ingiustizia solo per riguardo t’insegna a poco a poco a diventare un ipocrita. Abituarti a sopprimere continuamente le tue opinioni e sempre per riguardo, ti rende vile.
(A. Strindberg, Solo )

Il gelo del sospetto e dell’incomprensione si levò tra me e gli uomini quando avevo sedici anni, al tempo della licenza ginnasiale.
(R. Bilenchi, Il gelo )

L’isolamento è per lunghi periodi un isolamento totale del corpo e dello spirito, e solo assoggettandomi ai miei bisogni in modo totale e con irrevocabile fermezza io riesco a venire a capo di me stesso.
(T. Bernhard, La cantina )

Io mi sento me stesso solamente quando sono solo. Il rapporto con gli altri non mi viene naturale: mi richiede uno sforzo.
(P. Cameron, Un giorno questo dolore ti sarà utile )

La necessità di isolarsi per dedicarsi al proprio lavoro scientifico è la prima di tutte le necessità di un uomo di scienza.
(T. Bernhard, Ja )

Il talento lo si sviluppa nella solitudine, mentre il carattere si consolida nella corrente della vita.
(J.W. Goethe)

Per vivere soli bisogna essere un animale o un dio. (F. Nietzsche)

Tutte le forme di privazione sono grandiose, perché sono terribili: il Vuoto, l’Oscurità, la Solitudine, il Silenzio.
(E. Burke)

Isolamento significa libertà e scoperta. Un’isola deserta può essere più eccitante di una metropoli.
(V. Nabokov, Intransigenze )

Solo i fortunati sociali possono ambire alla solitudine con arie d’idiota superiorità.
(A. Cohen, Bella del signore )

Nessuno sopporta più la solitudine, né l’immobilità.
(P. Morand, Elogio del riposo )

Si vive bene, tutti soli, si lavora splendidamente, si perde tempo regalmente.
(T. Scarpa, Kamikaze d’Occidente )

L’uomo per bene è nella società […] soltanto il malvagio è solo.
(D. Diderot, Figlio naturale )

La tristezza e la malinconia sono legate alla solitudine, la contentezza e il piacere al rapporto tra gli uomini.
(A. Ferguson, Saggio sulla storia della società civile )

Non è parlando degli altri, ma curvandosi su di sé, che ci è possibile incontrare la Verità. Perché ogni cammino che non conduce alla nostra solitudine o non ne proceda, è deviazione, errore, perdita di tempo.
(E.M. Cioran, Quaderni )

 

La paura della solitudine può essere considerata in due aspetti differenti.

C’è la paura della solitudine come sentimento comune ad ogni essere umano e che affonda le sue origini nell’uomo come animale sociale. Nonostante tante profonde considerazioni sul significato di stare soli, consciamente o inconsciamente ognuno rifuggia l’essere solo. Disagio normale ed accettabile che può però presentarsi in maniera fpiù o meno forte, a seconda delle proprie primarie esperienze sociali, fino ad arrivare ad una vera e propria patologia come la monofobia, la paura di rimanere soli.

C’è anche una paura di rimanere soli, intesa senza un partner, tipica di donne che hanno superato i trenta anni. In questo caso la paura della solitudine diventa la sindrome di Bridget Jones (dal famoso libro) ed è la paura specifica di non sposarsi, tipicamente femminile.

E’ evidente che si tratta di due paure completamente diverse fra loro nelle cause e nelle modalità, anche se a volte il terreno di confine fra le due non è netto. Può capitare che la ricerca spasmodica di un compagno non sia legato solo a fattori affettivi, ma anche a fattori sociali.

Dott. Roberto Cavaliere

 

 

TESTIMONIANZE

mariate Età: 52 Sono una donna di 52 anni vivo sola dopo la rottura di una penosa convivenza durata ben sei anni anni in cui mi sono occupata principalmente di mia madre malata di Alzheimer, ho incontrato ahimè un altra persona, ma da quando lo conosco la mia già non buona situazione condizionata da un gran senso di solitudine che io ho comunque gestito bene creandomi molte occasioni per uscire di casa e qualche nuova amicizia, è molto peggiorata. Premetto che svolgo un lavoro di responsabilità sono un avvocato e dirigo un settore di un certo rielivo all’interno della struttura dove lavoro. Sono sempre stata instabile nei miei rapporti affettivi e penso anche questa volta di essere arrivata alla conclusione della mia storia dalla quale ne uscirò sicuramente umiliata e soprattutto molto sola. Ho tanta paura ed ho bisogno di aiuto. Il mio attuale “fidanzato” così lui si definisce secondo me mi aggredisce psicologicamente con continue critiche alla mia persona ed al mio carattere. Non saprei da dove inziare ma alcune amiche che a causa di questa storia hanno poi deciso di tagliare i ponti con me mi hanno messo sull’avviso che secondo loro aveva un carattere psicologicamente disturbato.Mi sento circondata dalle continue critiche di tutti o sono io che esagero? Non mi sento amata ed ho una grande paura di essere sola e abbandonata e rifiutatada tutti. Sono stata in analisi anni fa e certe problematiche si erano risolte ma ora sono nella merda a cinquanta anni una donna sola non può e non sa più come vivere.Non so se è giusto e se devo trovare la forza di troncare questo rapporto soprattutto perchè da un momento all’altro potrebbe farlo lui con ulteriore senso di fallimento per me, e soprattutto perchè si apre un baratro di solitudine immensa in cui ho paura di sprofondare. Se provo a cercare qualche amica ricevo rifiuti incomprensioni o aggressività, un’aggressività che non so esprimere con nessuno tranne che al lavoro dove ho imparato a gestire ben 30 persone senza problemi così nella vita ma quando si tratta di amici parenti e fidanzati la paura di non essere amata o di perdere l’amore e la stima delle persone che mi circondano combino dei disastri bestiali. Ho paura che lui mi voglia lasciare sono disperata.

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Alice Età: 33 Da nove mesi ho una relazione con un mio coetaneo, con il quale, in precedenza, esisteva un rapporto di amicizia e confidenza. Alle spalle avevo trascorsi di relazioni con uomini assolutamente problematici.. per un motivo o per un altro io mi auto assumevo il ruolo di salvatrice, o di colei che… ce l’avrebbe fatta. E’ stato così con X, il quale era arrivato ai quarant’anni senza aver mai costruito una relazione, dedicandosi ai piaceri della conquista e seduzione, e cerdando negli occhi delle sue donne.. uno specchio per compiacere il suo narcisismo. Arrivai io, nella sua vita… e mi chiese di vivere con lui. Durò tre anni… poi lui cambiò città, lavoro.. e fidanzata..Dopo un anno scoprii che mi aveva ripetutamente tradita con una sua studentessa (lui era insegnante universitario).. io lo avveo intuito, e, quando accennav oalla questione, mi dava addosso, accusandomi di essere una pazza paranoica.. Successivamente, iniziai una relazione con Y, il quale aveva una situazione familiare dolorosa alle spalle, e mai superata. GLi sono stata accanto un anno.. amandolo più di me stessa, contenendo le sue paure e la sua fragilità..e gioendo della sua sensibilità e profondità.. poi me ne staccai – ancora mi chiedo come ci sono riuscita – perchè lui non voleva una relazione con me.. non mi amava, nonostante sostenesse che ero la persona più importante per lui, in quel momento. Poi è arrivato Z, o meglio.. già c’era.. e io mi sono accorta della sua presenza, delle sue attenzioni.. ed abbiamo iniziato a frequentarci al di là del rapporto di amicizia. LUi è una persona semplice, molto chiusa, poco incline alle questioni dell’anima, molto pragmatico e molto proiettato sulle sue personali esigenze. Il periodo iniziale è stato bellissimo.. non ero abituata a ricevere attenzioni.. ne avevo sempre elargite.. abbiamo passato quasi ogni giorno insieme, cercando l’uno il contatto fisico dell’altro, le carezze, le coccole, la dolcezza.. stavo, cioè, assaporando tutta una serie d imomenti che per tanto, tanto tempo non avevo più vissuto.. Poi, lui si è, piano piano… seduto. Ha dimostrato, in più occasioni, di privilegiare le proprie esigenze, i propri tempi, relegandomi in un angolo molto scomodo e decentrato. Ho iniziato a notare una certa insofferenza nei miei confronti, che si accentuava ogni qualvolta cercavo di manifestargli il mio crescente disagio, i miei stati d’animo. Ci sono stati un paio di episodi in cui ho davvero avuto bisogno della sua vicinanza, del suo contatto..per rendere l’idea ne racconterò uno. Tempo fa scoprii un nodulo al seno, cosa che mi gettò nel panico, anche perchè ho una storia di predisposizione familiare. Gliene parlai.. era sera.. mi aspettavo che sarebbe rimasto a dormire da me (abitiamo a cento metri l’uno dall’altra).. e lui mi abbracciò, salvo poi dirmi che, essendosi fatto tardi, sarebbe andato a casa a dormire, perchè molto stanco. Mi recai fuori città per fare un’esame (negativo, per fortuna).. non mi accompagnò neppure all’aeroporto.. mi chiamò il giorno seguente, la sera tardi.. Questo non è l’unico episodio che mi ha dato da pensare, ma sicuramente uno dei più eclatanti. Il fatto è che, con lui, sento uscir fuori la parte peggiore di me.. nonostante io abbia preso coscienza del fatto che lui non è la persona giusta, per me,continuo a persevarere in questa relazione.. continuo a cercarlo.. sono estremamente gelosa e penso ossessivamente all’idea che lui mi possa tradire. Tuttavia, al tempo stesso, sono profondamente infelice, e avverto una solitudine che non ho mai conosciuto, neppure nei periodi in cui non avevo relazioni. L’unica cosa che riesco a fare è manifestargli il mio disagio, la mia infelicità.. ma lui non si sente tirato in ballo, sostiene che lui è così, che io lo sapevo, e che la relazione gli va bene così.. Io non riesco a prendere alcuna decisione.. e questo mi addolora ancor di più, perchè mi sento debole, vigliacca, inutile. Che sia paura di restare sola? Possibile.. ho 33 anni ed una patologia che, con gli anni, potrebbe pregiudicare la mia fertilità. MI sento arida.. vuota.. mi sento come s fossi in mezzo a una palude, incapace di ogni movimento.. mentre, lentamente, vi affondo..Grazie per avermi letta Alice

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Ho 35 anni e sono una ‘donna che ama troppo’.Ho letto il libro della Norwood (http://www.maldamore.it/Donne%20che%20amano%20troppo.htm ) due volte, una a 30 e una a 35. La prima volta per consiglio di un’amica (e non capivo perché me l’avesse consigliato) e la reazione è stata quella di cui parla l’autrice nei primi capitoli: non mi sono ritrovata, pensavo che le storie fossero troppo esagerate e non collegabili al malessere che provavo in quel momento, che avrei persino potuto consigliarlo ad altre donne in situazioni ben peggiori della mia, l’ho letto velocemente, senza notare quasi nulla se non un piccolo particolare che sembrava avvicinarsi alla descrizione del partner con cui avevo chiuso allora: il mio ex si dedicava ossessivamente agli sport. Il libro all’epoca ha avuto insomma poco impatto sulla mia persona, non mi sono ritenuta una donna che ama troppo. Eppure a 30 è cominciato una lenta autoanalisi, forse dovuta al troppo dolore, forse per il desiderio di non provarlo più, o semplicemente per sopravvivenza, non so forse solo un tentativo di comprendere perché le mie storie finissero sempre in modo così repentino e drammatico, perché alla fine mi ritrovassi quasi sempre conuomini che in realtà non corrispondevano all’idea di uomo ideale, che anzi in alcuni casi erano uomini con poca stima di sé, con problemi personali, uomini spesso emotivamente chiusi, poco interessati alla mia persona. Ho compreso con il tempo che erano uomini di cui mi ero accontentata per il terrore della solitudine, per paura di non trovare nessun altro uomo a cui potessi piacere.Proprio così ‘trovare’ e non incontrare. Una ricerca affannosa di un compagno che non mi facesse sentire più sola, poco amata, per dimostrare e dimostrarmi che sono degna di amore. Non comprendevo all’epoca quanto poco mi amassi io per prima. Eppure i sintomi c’erano tutti. Innanzitutto poca cura della mia persona, fortemente in sovrappeso eppure testardamente decisa a non mettermi a dieta perché mi dicevo io mi vado bene così. Ovvero mentivo persino a me stessa. Il cibo ora lo so riempiva il baratro d’amore che sentivo dentro. Gli anni successivi non sono stati più felici dei 30. Ho proseguito a rincorrere uomini impossibili, poco interessati e interessanti, anche con problemi personali non da poco, ad accontentarmi di quelli che mi corteggiavano invece che interessarmi a quelli che a cui veramente piacevo o che mi piacevano, perché questi ultimi sicuramente non potevano essere interessati ad una come me, carina forse ma in sovrappeso. Una delle ultime storie, se così posso chiamare una frequentazione di pochi mesi, è stata con un uomo più grande di me di dieci anni, che si trascinava un esaurimento nervoso giovanile che a suodire lo rendeva depresso, insonne, solitario, incapace di poter lavorare (per sua fortuna viveva di rendita), di poter vivere una vita normale, sposarsi o fare dei figli in primo luogo. Eppure pur di far funzionare la storia ho accettato l’insonnia come scusa per non dormire insieme e per non viaggiare (non dormiva in un letto che non fosse suo), il carattere chiuso e gli anni in più come scusante per non conoscere e frequentare i miei amici, e ho smesso non solo di vedere i miei amici e i miei familiari, ma anche di avere interessi miei per poter stare con lui tutto il mio tempo libero. E ritrovarmi poi lo stesso a non essere abbastanza per lui. Ne sono uscita a pezzi. Sono passati due anni da quest’ultima storia. Due anni alla ricerca di un uomo che potesse subito sostituire l’ultimo in modo da non rimanere sola, senza badare veramente a quel che mi piaceva. Ho provato persino le associazioni e serate per singles, la chat, tutto alla disperata ricerca di un uomo che mi desse per prima la certezza di valere qualcosa. L’anno scorso poi guardandomi in una foto mi sono trovata orrenda, in me è scattata una molla, finalmente un po’ di amor proprio e così mi sono decisa ad andare da un bravo dietologo. I kili in meno mi hanno portato una sferzata di ottimismo e sicurezza, finalmente un po’ di autostima.Anche se ho capito che devo amarmi io per prima e non aspettare una conferma dall’esterno, la necessità di trovare conferma negli occhi degli altri rimane ancora. Dicono che sono una donna sempre allegra, ottimista, sicura di me.Eppure mi sono ritrovata ancora una volta a essere ‘legata’ ad un uomo sbagliato, che non fa per me, già impegnato e quindi poco disponibile emotivamente e fisicamente, un uomo che non mi chiama nemmeno al telefono, che si complimenta con me perché non esigo questo e altre attenzioni, ma che a letto però mi trova eccezionale. E io mi sono chiesta: ma perché sono ancora a questo punto? Perché mi sono lasciata coinvolgere in una situazione del genere?Ho ricercato in libreria il libro della Norwood e l’ho riletto. Non è stato facile, ma è stato un bene averlo letto, perché stavolta ero veramente interessata a leggerlo e a capire cosa l’autrice volesse comunicarmi: paura di rimanere sola, poca stima del proprio valore, falsa credenza di dover meritare l’amore. Ho un problema e ho bisogno di aiuto. Ho disperatamente bisogno d’aiuto. In internet ho cominciato a cercare informazioni sui gruppi di auto aiuto perché l’autrice dice che sono persino più importanti di una terapia singola, perché ascoltare le storie delle altre donne, comunicare la propria senza giudizi o consigli aiuta a comprendersi, a non sentirsi sole, a migliorare la propria autostima. Il gruppo ancora non l’ho trovato ma spero di trovarlo presto, nel frattempo però ho trovato questo sito. Ed è già stato un sollievo. E come altre già prima di me, ringrazio il dott. Cavaliere. Ho letto le storie delle donne che sono come me donne che amano troppo, e mi sono ritrovata in loro. Leggendo le loro storie mi sono detta anch’io ho fatto così, anch’io pensavo così, anch’io credevo questo e mi sono sentita confortata. Non sono la sola mi sono detta. La testimonianza poi sull’inizio di una dipendenza amorosa in particolare è stata catartica ( http://www.maldamore.it/origini_di_una_dipendenza_amorosa.htm ). Ho subito anch’io delle attenzioni particolari da un adulto, quando avevo meno di 4 anni, e in seguito ho ripetuto questi ‘giochi’ coinvolgendo un’altra bambina e questo è stato per molto tempo il ricordo più doloroso e vergognoso che mi sono sempre portata dietro. Leggere questa storia mi ha in parte risollevata.Ieri per la prima volta ho agito per me stessa, per il diritto e la difesa dei miei sentimenti. Ho chiuso la frequentazione con l’uomo sbagliato, gli ho parlato con serenità e detto cosa non andava bene per me e che per me stessa non potevo proseguire così e non per cercare di manipolarlo ed ottenere da lui che cambiasse. E mi sono sentita serena. E oggi sono ancora serena. E’ un gran traguardo per me sentirmi serena invece che vuota dentro per aver detto addio ad un uomo del genere. Spero di rimanere abbastanza sola, invece di aver paura della solitudine, per ottenere come dice la Norwood di diventare una donna che ha sufficiente stima di se stessa da amare prima se stessa di un uomo. So che ancora ho tanta strada da fare e sarà dura, ma voglio farcela. Grazie dott. Cavaliere per avermi dato l’opportunità di esprimerlo su questo sito.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

PAURA DELL’INTIMITA’

Da “La paura dell’intimità” (forum “Dipendenze Affettive”)

Argomento: la paura dell’intimità – Autore: Yana

Ciao a tutti.
Ecco che nasce in me nuovamente l’esigenza ed il piacere di esprimere lati oscuri e rinnovamenti della mia esistenza e della mia vita attuale.

E’ un pò di tempo che ruoto intorno a questo tema, sul forum e fuori dal forum, un argomento che mi tocca nel profondo anche solo nel pronunciarlo: la paura dell’intimità , qualcosa di molto subdolo e nello stesso tempo molto potente che ha influenzato tutta la mia vita affettiva e relazionale.
Una paura a volte latente, a volte manifesta con tutta la sua carica, eppure così invisibile ai miei occhi ed al mio cuore per lunghissimo tempo.
Fino ad oggi.
Da un po’ di tempo questa sensazione, intuizione, chiamiamola come vogliamo, albergava dentro di me senza che io fossi però realmente pronta ad accoglierla, guardarla dritta negli occhi, sviscerarla, accettarla e superarla.
Sono ormai giunta alla conclusione che quando l’amore non abita le nostre case è perché noi non gli abbiamo aperto la porta. Qualcosa ce lo impedisce, qualcuno non ci ha insegnato a farlo, o a trovare la chiave, a volte neppure a riconoscerlo. Forse chi ci ha nutrito affettivamente teme l’intimità; questo è sicuramente il mio caso.
Esistono mille strategie inconscie per eludere, pur desiderandolo fortemente, l’amore, il quale implica intimità e condivisione autentica e profonda. Io le ho utilizzate più o meno tutte nelle mie vicende relazionali e per molto tempo ho creduto che a farlo fosse soltanto l’altro.
Quando nelle nostre relazioni riecheggiano sensazioni come solitudine, tristezza, frustrazione, insoddisfazione, disequilibrio, c’è qualcosa che non funziona. Non in noi, ma nel nostro intimo giudizio verso noi stessi.
L’imperativo morale che custodiamo nella nostra parte più profonda è quello che abbiamo appreso a sentire attraverso il giudizio, comunicato verbalmente o meno, di chi ci ha cresciuti. Di chi non ha “colpa”, anzi, spesso contiene altrettanto dolore, ma è portatore di estreme conseguenze per il cuore. Che si concretizzano nella sua chiusura, realizzata da ognuno con le sue tattiche preferite e più efficaci.

La chiusura del cuore . 
Se un cuore è sigillato, nessuno potrà entrarvi.
Questa è la strategia inconsapevole e pericolosa dettata dall’erronea speranza di non poter più soffrire, che invece ci condanna alla più grande sofferenza mai esistita: il non poter, il non riuscire ad aprirlo questo cuore, il non permettere di farvi penetrare amore autentico e di sperimentare la sua forma più autentica e più alta, l’intimità e la reale condivisione delle anime.

La mia vita sentimentale: un susseguirsi di uomini complicati, chiusi, impegnati, sfuggenti oppure, l’altra faccia della medaglia, ossessivi, possessivi, dipendenti.
Oppure ancora: divenire io ossessiva, dipendente, oppure sfuggente, chiusa, complicata.
E ancora: decidere di legarmi a uomini per cui non nutro reale interesse, razionalizzare il legame, trovare motivazioni intellettuali o che s’ispirino alla sicurezza che l’altro può offrire.

Tutte tattiche infallibili, direi quasi un’arte.
L’arte minuziosa e malefica di eludere l’intimità , di lasciarsi andare davvero, vivendo al contempo nella convinzione di essere autentica e di penetrare in profondità grazie ad un escamotage: il portare ad estrema intensità le mie emozioni attraverso la passione, il sesso, il dolore.

Ma da dove nasce questo terrore di aprire davvero me stessa?
Nasce da un messaggio lontano, eppure permanente, che ho studiato e ben interiorizzato da molto piccola:

“l’intimità non va bene, l’intimità ti farà male e ti farà male perché io stessa ne sono infastidita, perché la tua espressività, la tua voglia di donarti e di vivere mi fa stare male, mi fa soffrire. E quindi ti giudico, di modo che tu, che dipendi da me, imparerai a giudicarti da sola. I miei occhi giudicanti ed opprimenti, repressivi, ti seguiranno ovunque, te li cucirai dentro, tanto che non avrai nemmeno più bisogno delle mie parole o dei miei occhi per sentire dentro di te che…l’intimità è male..e ti farà male” 

Questi messaggi morali espressi da chi ci cresce (non necessariamente tramite parole, che per la verità sono molto meno efficaci dei fatti e dell’espressione giudicante degli occhi) sono molto comuni e sono spesso, molto più spesso di quanto si possa pensare, la base ed il terreno fertile per lo sviluppo della paura dell’initmità .

Quando siamo piccoli e dipendenti in modo feroce dai nostri genitori, la cosa più brutta che ci possa capitare è di percepire il loro dolore e di intuire che qualcosa di noi lo ha provocato.
Per questo sopprimiamo le nostre esigenze ed impariamo ad accondiscendere le loro, se queste si scontrano. Non possiamo dare precedenza al nostro “sentire” e “desiderare”, pena la perdita, nella nostra mente, del loro amore, di cui non possiamo fare a meno.

Questa scelta, se abbiamo interiorizzato un messaggio così importante, così potente, ci insegue poi per tutta la vita, tanto che non possiamo più prescindere da esso nelle nostre scelte di vita, fino a che non sfatiamo la sua irreversibilità, agendo direttamente su di esso e ridimensionandolo.

E’ così che è accaduto che io firmassi un contratto con me stessa in cui potevo vivere ed essere amata solamente in cambio della soppressione della mia reale espressività, in cambio della mutilazione della capacità di condividere la mia intimità, quindi della violazione dell’intimità stessa.

Io oggi ho compreso tante cose di me e della mia esistenza, ma non mi sono ancora liberata dalle catene che imprigionano l’espressione di me stessa, quella che conduce al vero amore, il solo che permette a due intimità libere di esprimersi di stringersi davvero e di condividersi.

Oggi sto elaborando questo.
E’ molto dura, e ci sono molte resistenze, ma sono molto determinata perché tenere chiuso, o socchiuso, il mio cuore, relazionarmi con chi ha la stessa tendenza, frenare le mie inibizioni sentimentali, mi sta rendendo stanca.
Ma non sono stanca della vita, o della ricerca d’amore; tutt’altro, sono piena di speranza e fiducia e voglia di amare sul serio.
Ho voglia di donarmi sul serio, di creare un ponte stabile di comunicazione affettiva e d’intimità, anche se so che ancora non ne sono completamente capace, e sono felice di avere trovato (perché le ho cercate) delle chiavi dentro di me e qualcuno che mi accompagna in questo percorso.
So che a tratti sarà doloroso, ma è la mia strada verso la condivisione autentica di amore e non ho intenzione di lasciarmela sfuggire.

Vi invito a lasciare commenti o riflessioni su quanto ho scritto, se ne avete voglia, perché ne ho bisogno davvero.

Grazie se mi avete letta e un caro abbraccio a tutti.
Yana

 

 

Ciao Yana

leggendoti ho ripercorso e rivissuto emotivamente gli ultimi tre anni della mia vita.

Dopo aver frugato in tutti i meandri del mio corpo e della mia mente alla disperata ricerca del guasto che creava in me tanto disagio (anche se ben nascosto) ho fatto la scoperta più inquietante : non potevo stare bene perchè stavo perdendo il cuore.

Avevo sempre pensato che fosse il mio punto di forza e invece era proprio lui che mi stava abbandonando.

Le esperienze dure dell’infanzia probabilmente erano talmente dure da sopportare che nell’adolescenza probabilmente la mia difesa è stata quella di rinunciare a far vivere la mia anima.

Far vivere la mia anima ,con le sue esigenze, significava entrare in intimità con un altra persona cosa che mi avrebbe costretto a fare i conti con le mie paure.
Paura di non essere un amante adeguato.
Paura di dare sfogo alla mascolinità che sentivo ma che reprimevo e che della quale spesso mi vergognavo per il dolore che esseri del mio stesso sesso avevano procurato.
Paura che l’istinto prevalesse sull’amore.

Fino a un anno fa non ero consapevole di tutto ciò ma ora il cerchio si sta chiudendo e capisco perchè mi sono per tanti anni rassegnato a vivere in maniera accondiscendente : vivevo per il piacere e il bene altrui perchè al mio avevo già rinunciato.

Avendo rinunciato ad ascoltare l’anima avevo rinunciato all’intimità.

Ma capita che ti innamori veramente e quando capisci che nonostante l’amore manca una vera intimità-fusione fra due anime e due corpi allora cominci a farti delle domande e cercare soluzioni perchè la posta in palio è troppo importante.

Nel mio caso le risposte alle domande sono arrivate quando ormai era troppo tardi per salvare il rapporto ma ringrazio il cielo per avermi donato un amore tanto travagliato che mi ha permesso di uscire dalla mia stessa prigionia.

Il cuore si nutre attraverso il lavoro dell’anima.
Io nutrivo il mio cuore con il cervello e lo stavo uccidendo come era morto Maramao perchè veniva nutrito a pane,acqua e insalata nonostante fosse un carnivoro.

Ora ho iniziato ad ascolatare le esigenze dell’anima che tanto avevo trascurato nel mio delirio illuministico di onnipotenza e il mio cuore ringrazia.

Aspetto anch’io che con naturalezza la mia anima sia pronta a vivere finalmente l’INTIMITA’.

Mi sento rinato ma naturalmente non so cosa mi serberà il futuro.
So solo che mi sono riappropriato dell’unica cosa che conta: la propria ANIMA

Un abbraccio fortissimo

Robedamatti

 

 

Carissimo Robedamatti,
le tue parole mi hanno toccata molto,
e le sento molto mie, soprattutto in questi passaggi:

“ho fatto la scoperta più inquietante : non potevo stare bene perchè stavo perdendo il cuore. 
Avevo sempre pensato che fosse il mio punto di forza e invece era proprio lui che mi stava abbandonando” 

“vivevo per il piacere e il bene altrui perchè al mio avevo già rinunciato”

“Avendo rinunciato ad ascoltare l’anima avevo rinunciato all’intimità”

Fare tale scoperta è doloroso, ma soprattutto, almeno per me, è stato difficilissimo.
La paura dell’intimità molto spesso, e nel mio caso, giace in uno strato di noi profondissimo, che sembra irraggiungibile.
La mia è rimasta dormiente (anche se tremendamente attiva) sotto le macerie che negli anni ho scoperto di avere dentro e che ho cominciato a curare come fossero figli da accudire.

Ma la paura dell’intimità, quella non l’avrei mai scoperchiata credo, se non avessi avuto una mano e se non mi fossi scrutata dentro scovando prima altri nodi da sciogliere. Quei nodi erano importantissimi, ma soprattutto nascondevano un blocco sottostante, quello di cui parlo.

Non avrei mai potuto sospettare di questa mutilazione dell’anima perchè anche per me, come per te, il mio cuore era il mio punto di forza.

Era la parte di me attorno alla quale credevo di far ruotare i miei desideri e le mie azioni, invece tutto ciò era soltanto un vano tentativo, che non poteva realizzarsi completamente, perchè avevo dimenticato di avere chiuso a chiave il mio cuore tantissimi anni prima.

E’ come avere una paralisi dentro, come vivere senza sensi.
Per questo per anni sono andata a tentoni, convinta di essere consapevole delle mie sensazioni. Invece le ignoravo perchè avevo scelto di ignorarle molto presto ed ero diventata molto fedele a questo “credo” che mi era stato inculcato.

Nella mia vita ho vissuto sempre dando estrema importanza ai sentimenti, ma oggi posso dire che quando le emozioni più profonde cercavano di entrare realmente in contatto con me io ho sempre trovato il modo di scacciarle, completamente ignara di tutto ciò.

Chi si “avvicinava” “troppo” non poteva durare a lungo, perchè io non ero in grado di gestirlo e di sentirmici meritevole.
Chiudere il cuore significa scomparire, sentirsi fatti a pezzi nel momento in cui qualcosa di vero cerca di attraversarlo.

Aprire il cuore inconsciamente per me si traduceva in “non sentirsi più”, evaporare, sentirmi a disagio.

Eppure in qualche modo avevo il bisogno si percepirmi, di sentire che esistevo, e lo facevo splendidamente occupandomi degli altri, delle loro ferite (questo, invece, mi avevano insegnato che era “bene”), e scomodando qualche altra intensa sensazione come quella del dolore e del vuoto. Dovevo sentirmi viva in qualche modo, sentire che c’ero, anche se avevo messo da parte il cuore.

La tragedia dei sentimenti e dell’anima.

Ma adesso mi sento pronta a rinascere, perchè se continuo a vivere così è come uccidermi.

Grazie ed un abbraccio fortissimo anche a te

Yana.

 

 

Ciao cara Yana,
ho letto il tuo post e, d’impulso, ho pensato che dovevo risponderti…ma, come dici bene tu, è difficile, quando la propria esperienza non consente di immedesimarsi, dire cose sensate su argomenti come questi a una persona di cui non si sa nulla o quasi.

Così ho deciso di parlarti semplicemente di me nella speranza che dal marasma delle riflessioni inutili allo scopo salti fuori qualcosa che invece ti serva quantomeno da spunto.

Quando ripenso alla mia infanzia non ho ricordi infelici. I miei genitori hanno a loro modo amato molto me e mio fratello e hanno sempre cercato, benché le difficoltà non mancassero, di non farci mancare niente, soprattutto in termini di senso di “sicurezza e protezione” familiare.

Tuttavia, a parte qualche foto di quand’ero piccolissima in cui stavo in braccio a mio padre o a mia madre e si vede che mi stanno coccolando, non ho molti ricordi dell’espressione dell’affetto attraverso il contatto. Mi sforzo, ma non riesco a trovare, impresse nella memoria, immagini di abbracci o carezze consolatorie, di incoraggiamento, o di qualunque altra natura. Anche pensando al rapporto fra i miei genitori come coppia: non credo di averli mai visti abbandonarsi in un abbraccio o darsi un bacio spontaneamente. Piuttosto, mi viene in mente quella scena del film “Caruso Paskoski” in cui Francesco Nuti, ubriaco perso, vuole a tutti i costi un bacino: “Dai, dammi un bacino!…NO…Voglio un bacino, dammi un bacino!…NO…” Hai presente? Nel film fa ridere…e anche a casa mia, a dire il vero. Peraltro, questo, è un ricordo recente perché mia madre non è molto che si è “ammorbidita”…sarà la vecchiaia!

Comunque, tornando a noi, il punto è che nella mia famiglia si sa che ci si vuole bene ma non è considerato necessario dimostrarlo con gesti affettuosi considerati da tutti i membri, me compresa, un’inutile “sdolcineria”. Per renderti l’idea: io ADORO mio fratello, è la persona che occupa un posto di assoluto privilegio tra i miei affetti…eppure, anche quando non ci vediamo per un po’, ci salutiamo senza abbracciarci. Tutt’al più un paio di baci sulle guance, e di solito neanche quelli. E’ questo il tipo di “intimità” che manca nelle mie relazioni.

Risultato di tutto ciò: l’immagine che gli altri hanno di me è di una persona estremamente forte e decisa, che sa dimostrare il bene che vuole con fatti molto concreti, con una grande vicinanza emotiva, che ama aiutare il prossimo, che è sempre disponibile, che ha sempre una parola buona, a cui si può confidare tutto e chiedere aiuto per qualunque cosa ma che non ha bisogno di ricevere gesti affettuosi e a cui non appartengono slanci di dolcezza. Niente di più falso, ma quasi nessuno lo sa. Perfino al mio ex, con cui sono cresciuta, capitava di dire “lo so che ti faccio un torto, ma so che tu sei forte e puoi capire”… come se io non potessi essere ferita da niente e nessuno… Giusto per rendere l’idea…E anche per i miei genitori le cose non sono molto diverse.

Io stessa ho capito da poco, grazie all’infinita dolcezza della persona che ho adesso al mio fianco, quanto sia bello ogni tanto potersi “abbandonare”, non dover essere sempre quella capace di risolvere i problemi di tutti, ma avere dei momenti per lasciarsi cullare dall’affetto degli altri. Lui mi ha definito “estremamente chiusa ma estroversa per contrasto”. Contraddittorio? Può darsi, ma sicuramente vero…
Il punto è che ormai la gente che faceva parte del mio mondo da prima di questa meravigliosa scoperta ha quell’immagine di me e si comporta di conseguenza. Non so se cercherò mai di attuare un’inversione di tendenza. Per ora mi basta sapere che sono riuscita ad entrare in contatto con una parte di me che pensavo non esistesse. Ed è solo l’inizio, perché non si passa da uno stato di rigidità ad uno di fluidità completa dall’oggi al domani… anche avendo accanto un persona in grado di agevolare la più completa e libera espressione di me. Io sento di essere ancora frenata su molte cose. Per esempio, spesso mi mancano le parole. Vorrei esprimere un sentimento, un pensiero…ma quando è emotivamente troppo carico mi si chiude la gola, una stretta allo stomaco e non riesco a fare uscire un fiato. A volte servono giorni. Lavoro per giorni su quella difficoltà e alla fine magari riesco anche a superare il blocco. Altre volte, però, passa il momento…semplicemente…e allora rimane in fondo, aspettando la prossima occasione…se capiterà.

Vedi, Yana, le nostre esperienze sono certamente diverse, le origini di alcuni blocchi affondano in contesti che probabilmente non hanno niente a che vedere l’uno con l’altro e forse quello che ti ho raccontato non può tornarti utile in alcun modo. Ma ti ho offerto la mia testimonianza solo per dirti una cosa: quando arriva il momento di fare scattare il meccanismo, lo riconosci. Io questo ho imparato. Dal nulla e senza sapere perché sbuca qualcosa, qualcuno, un’esperienza in grado di dare il “la” e mette in moto qualcosa che non puoi più fermare perché va a toccare giusto quella corda sepolta in profondità che fa suonare la prima nota di una melodia che mai avresti potuto pensare di contenere in te. L’importante è imparare a non opporsi e, quando succederà, sfruttare l’onda.
A presto

Dana

Io ci ho dovuto pensare un po prima di rispondere,nonostante avessi già chiara in testa questa idea da diverso tempo oramai,si parla di anni probabilmente,ma il fatto che continuassi a schivarla non mi ha mai consentito di vedere così nettamente il problema.

Anche nel mio caso,alla luce di tanti ricordi che ho,che sono affiorati(e tanti che non ho più,subito dopo i 5 anni,alla nascita di mio fratello è come se una pensante censura fosse calata su di me,ricordo davvero poco nulla tra i 5 e i 9 anni circa,e quel poco è negativo..),ho compreso che soffro della paura d’amare,della reale paura di concedermi in tutta la mia persona,per quello che sono veramente,attingendo onestamente a quello che sono in grado di offrire,senza quelle forme caricaturiali della dipendenza affettiva che per me hanno sempre significato l’esternazione dell’immagine che volevo dare,non il mio reale “io”.
Il timore di essere rifiutato per me è sempre stata una montagna invalicabile,con tutte le persone con cui ho avuto a che fare,amici,parenti e genitori.Anzi nel mio caso addirittura più il rapporto è stretto più io scappo,io credo che davvero i miei genitori conoscano il 10% di me,sono le persone che meno mi conoscono,e ci soffro per questo,non posso più far finta.

Ma allora perchè non riesco ad aprirmi con loro?Ho girato per tanto attorno alla risposta,la vedevo eppure ci continuavo a girare attorno dicendomi che il problema sono io che non sono il figlio che loro volevano(cosa invece successa con mio fratello),ma la realtà è un po diversa e sta attenuando questa morsa di odio che ho sempre tenuta nascosta nei loro confronti.
Ora non provo più odio ma delusione,perchè mi rendo conto che a me non è mai stato insegnato cosa significhi raggiungere l’intimità all’interno di un rapporto familiare che si presuppone essere più saldo e profondo di qualsiasi altro rapporto:nella mia famiglia è successo esattamente il contrario sopratutto perchè mio padre non ci ha mai concesso di andare oltre gli aspetti più materiali della famiglia,avere un buon lavoro,un buono stipendio con cui mantenerci e poco altro.
Ricordo come se fosse oggi i suoi silenzi riguardo alla mia curiosità infantile,addirittura arrivava a zittirmi quando qualcosa andava oltre il muro che lui stesso si era posto.

Io sono sempre cresciuto con questa paura di chiedere in famiglia(tutto spettava a mio fratello nel ricordo inconscio che ho),paura di semplici domande che col tempo si è tramutata nella convinzione di
non poter avere nulla dai miei genitori,convinzione di non poter avere nulla e di non meritarmelo sopratutto che si è convertita in chiusura totale alla reale intimità che può garantire un rapporto umano.

Dopotutto l’insegnamento che mi era arrivato era stato quello per cui l’intimità deve essere bloccata,smorzata e tenuta lontana a tutti i costi.
Intimità sentimentale per me è stata sopratutto sesso,le mie relazioni affettive sono quasi tutte nate dal sesso,nel cercare morbosamente l’intimità in questo modo scavalcando tutte le fasi precedenti,le parole,il dialogo,il piacere di apprezzare sinceramente una persona e non in funzione di quello che potrebbe offrire se io mi comporto in maniera impeccabile con lei.
Dove non arrivava il dialogo per me,arrivava il sesso.
Non c’erano le parole per farmi sentire a mio agio?c’era pur sempre il contatto fisico che mi illudeva di arrivare all’intimità reale,forte,sincera.

Ho avuto la prima smossa in me qualche mese fa,anche grazie a una persona,che mi ha mostrato cosa significa offrire affetto senza paura,e io ho visto chieramente la differenza tra questo tipo di affetto e il mio.
Ero stato male,malissimo,avevo smesso di mangiare,di dormire,non avevo mai avuto una sensazione simile in vita mia,era come se fosse stato premuto un tasto che era lì ma che non riuscivo mai a premere.

Avevo scoperto la mia paura più grossa:non quella di non ricambiare(come pensavo),ma quella di ricambiare.

Ethan Hunt

 

 

Carissima Dana,
grazie per il tuo intervento, che non era affatto fuori tema e che mi ha dato moltissimi spunti, nonchè qualche minuto di emozione intensa..lo ammetto..sulle ultime righe mi hai commossa.
Ti ringrazio tanto!

Dunque, innanzitutto vorrei dirti che, a dispetto di tutte le differenze che ci possono essere tra le nostre storie e le nostre famiglie, c’è sicuramente una cosa che condividiamo: anche io ho vissuto a contatto con una famiglia incapace di esprimere affetto tramite..l’affetto.
E’ una condizione che conosco molto bene, tanto che certe “smancerie” è come se fossero implicitamente bandite in casa. Nessuno lo ha mai vietato esplicitamente, ma l’atteggiamento costante e vigente è quello.
E sappiamo quanto l’atteggiamento e l’esempio in casa propria siano più potenti e permanenti che mille parole o altrettanti divieti.

La mia famiglia è composta da persone molto aperte mentalmente ma estremamente chiuse emotivamente.
Tanto per spiegarmi con un esempio, si può parlare di tutto in casa mia (anzi loro, perchè oramai vivo da sola), tranne che dei nostri sentimenti. Espressioni di emozioni e tutto ciò che ne consegue sono stati sempre un tabù e continuano ad esserlo. Ogni tanto ho tentato di andare contro corrente, ma è stato difficilissimo ed ho ottenuto sempre ben poco.

Da un pò di tempo ho compreso che è meglio accettare il loro modo di relazionarsi piuttosto che tentare di cambiarlo, sarebbe una battaglia persa e forse anche ingiusta.
Però indiscutibilmente tutto ciò mi ha ferita ed ancora oggi ne porto le conseguenze nelle mie relazioni.

Mi ritrovo molto nella descrizione che fai a proposito di te stessa quando dici:

” l’immagine che gli altri hanno di me è di una persona estremamente forte e decisa, che sa dimostrare il bene che vuole con fatti molto concreti, con una grande vicinanza emotiva, che ama aiutare il prossimo, che è sempre disponibile, che ha sempre una parola buona, a cui si può confidare tutto e chiedere aiuto per qualunque cosa ma che non ha bisogno ”

Ho interrotto la tua frase alla parola “bisogno” perchè nel mio caso quello che spesso mi sono sentita pesare è stata proprio l’immagine di chi è talmente forte da “non avere bisogno”, cosa che non è affatto vera e che ho contribuito io a creare.

Tutto quello che dici è molto bello e mi serve sentirmelo dire, le tue ultime frasi mi hanno toccata molto.
Quello che dici sul qualcosa o il qualcuno che in qualche modo contribuirà a scaldarmi ed aprirmi il cuore quando sarò pronta lo comprendo e lo condivido. Ho provato questa sensazione riguardo ad altri aspetti, sui quali mi sono sciolta e sono cresciuta parecchio.

L’inghippo che però necessito di superare e che mi spaventa un pò è il fatto che le mie emozioni mi hanno confusa ed ingannata talmente tante volte che adesso temo possano fuorviarmi di nuovo.
O meglio, che io scambi per emozioni e sensazioni ciò che in realtà sono solo rapprsentazioni mentali sottoforma di paure.
Mi spiego. Anche se non so bene cosa senti esattamente tu in questo momento, ti posso dire che io mi sono sentita alcune volte nel modo che tu descrivi.
Ma è sempre durato giusto la fase dell’innamoramento.
Io non so gestire emotivamente ciò che viene dopo, è difficilissimo da spiegare a parole.
Ho avuto anche una storia piuttosto lunga, ma dopo il primo anno c’è stato sempre palesemente qualcosa che non funzionava e non funzionava dentro di me, perchè io non riuscivo, non potevo aprirmi completamente e serenamente.

Arrivo sempre ad un certo punto, poi scatta qualcosa.
Non sapevo cosa fosse questo qualcosa fino a qualche tempo fa, quando ho scoperto che questo qualcosa è il terrore che qualcuno possa davvero giungere nel profondo del mio cuore.
Per questo mi “ha fatto comodo” (ovviamente ci ho sofferto come un cane, perchè questo è il pegno da pagare..) scegliere figure complicate o sfuggenti con cui relazionarmi, perchè inconsciamente sentivo che non sarebbero mai potute arrivare lì dove temevo potessero raggiungermi.
Ci sono sicuramente altre cause dietro a questo modo di relazionarmi, ma sotto a tutto c’è il peccato originale: aver sperimentato quanto aprire il cuore e donarmi spontaneamente possa farmi male.

Quando ho incontrato persone più disposte al dialogo, alla costruzione di un progetto comune, persone in un certo senso meno problematiche e più aperte, qualcosa è comunque scattato in me nel momento in cui la relazione si stava stringendo.
Un tempo era tutto molto annebbiato, oggi, col senno di poi, posso dire che scattava qualcosa nell’esatto momento in cui l’altro tentava di andare un pò più in profondità.
Io avvertivo questa cosa come una violazione e fuggivo. Non la potevo gestire.

E’ difficilissimo per me parlare di queste cose, e tentare di farmi comprendere, non so quanto sia potuto arrivare.

Però Dana, le tue parole davvero mi scaldano (e probabilmente è davvero questo di cui ho bisogno ) e mi danno tanta fiducia.

In questi anni di introspezione ho raggiunto comunque delle parti molto profonde di me, alcune delle quali nemmeno sapevo esistessero, ed ho sicuramente imparato a gestire una cosa che per me era devastante ed insormontabile: la solitudine.

Questo è stato il primo passo, che credo abbia contribuito a sciogliere molte sovrastrutture e che mi ha rafforzata e scaldata quel tanto da permettermi ora di scontrarmi anche con qualcosa che sta ancora più nel profondo.
Ho fiducia sul fatto di farcela, ma sto procedendo ancora con un passo tentennante

Un abbraccio fortissimo

Yana

 

 

Cara Yana, ho letto il thread qualche giorno fa e mi ha fatto molto pensare. e mi ha anche irritato. e rifatto pensare. poi non ci ho più pensato. poi ho pensato di risponderti e poi che volevo dire troppe cose in poco spazio. insomma tutto ciò è segno evidente che l’argomento mi tocca molto da vicino. come ho detto altre volte ho scoperto in me molto più di un tratto narcisista. e l’intimità è un problema tipico delle personalità connotate dal narcisismo. al di là della teoria ti descrivo quello che è successo a me, con alcune varianti ma con lo stesso “nocciolo”, le (poche) volte che mi sono innamorata. in primis c’è la “fusione”, la sensazione di riconoscersi, il perdersi nell’altro, bellissima ma che dura poco. subito dopo iniziano le paranoie, la ricerca ossessiva di conferme se l’altro sfugge, o di fughe se l’altro ti sta troppo addosso.ed è una fase in cui c’è aggressività, o mi sento aggredita, malgiudicata etc.. o sono io che lo faccio. devo dire che, se si ha la pazienza di sopportarmi, riesco poi a trovare un equilibrio e dal terrore che manifestano questi comportamenti passo ad un “prendere le distanze o le misure” che sono in grado di sopportare. allora torno ad essere abbastanza tranquilla, affidabile e positiva, o almeno in controllo. se non riesco io o l’altro a superare questa fase c’è una separazione. devo dire che fino ad ora ero stata fortunata, nessuno mi aveva mai abbandonata. almeno che io mi ricordi, evidentemente un abbandono “originario” ci deve essere pur stato. in verità anche con i miei più cari amici, a volte, ho dato vita a questo teatro, specie in situazione (guarda caso) di “contiguità” fisica, campeggio, casa in comune etc… devo dire che, con gli anni, ho imparato abbastanza bene a convivere con questi impulsi e a gestirli, ma non li avevo mai capiti a fondo. “debordavano” nella mia vita in modo imprevedibile, incasinandola molto, ma poi, grazie ai miei radicati valori e alla mia vita più che irreprensibile di persona disponibile, buona etc.. tutto rientrava nei ranghi. che dire, nonostante tutto, sono riuscita a mantenere rapporti lunghi di amicizia e di amore, ad avere due figli meravigliosi e una vita ricca e piena. mantenendo le giuste distanze. ora sto “guarendo” dal mio narcisismo, ancora ce ne vuole, ma sono in cammino. con molte persone le distanze le sto accorciando, chiedo scusa, dico grazie, accetto di non bastare a me stessa, di essere “invasa”, mi affido agli altri. tutto questo non sempre, a volte non spontaneamente, a volte ci devo pensare prima di agire, ma ho buoni risultati. è difficile uscire dai nostri comportamenti compulsivi, a volte ci vuole anche la volontà, anche se la volontà da sola non basta. ci vuole un profondo sentire ma anche la volontà di agire in accordo con questo. spero che la mia esperienza ti possa in qualche modo essere utile, un abbraccio

Zoe29

 

 

Cara Zoe,
grazie del tuo intervento, che mi è molto utile ed in cui mi ritrovo parecchio.

MI rispecchio molto in questa dinamica: ” in primis c’è la “fusione”, la sensazione di riconoscersi, il perdersi nell’altro, bellissima ma che dura poco. subito dopo iniziano le paranoie, la ricerca ossessiva di conferme se l’altro sfugge, o di fughe se l’altro ti sta troppo addosso ”

Talvolta la prima fase è durata anche tanto, il problema era riconoscere che veniva protratta la fase fusionale e che non c’era stato un passaggio alla vera intimità, come io amavo illiudermi.
Dall’altra parte c’era qualcuno che sapeva muovere splendidamente i miei stessi passi ed allora pareva proprio il “principe azzurro”: quello che non invadeva troppo i miei spazi, sia quelli leciti che quelli cui una persona che ami dovrebbe poter avere accesso.

Prendere le misure.
E’ difficile per me perchè in me convivono due tendenze opposte che in realtà rivelano le medesime paure originarie, quella di poter essere abbandonata e di non essere accettata per tutto ciò che sono e che mi porto dentro: compresa l’intimità e la sua esternazione/condivisione.

Le due tendenze opposte sono state per molto tempo un continuo stringermi fino a farmi in qualche modo fuggire e non vivere l’amore.
Da un lato mi facevo invadere eccessivamente, ma in quelle dimensioni per me accettabili (e per molte persone sane assurde).
Accettabili perchè avevo fatto un buon allenamento fin da bambina, imparando a mercanteggiare fin troppo bene il mio “altruismo” per ottenere ciò di cui avevo bisogno: amore?
Non esattamente.
Mercanteggiavo un modo di ricevere attenzioni ed affetto che però non mi chiedesse in cambio di lasciarmi veramente andare.
E come potevo? Non ne ero capace, o forse ne sono stata capace, ma poi sono stata manipolata inconsapevolmente per smettere di farlo.
E poi se chi teme l’intimità e la rifugge ne è inconsapevole ed ha il compito di crescere un’altra creatura, pur senza costrizioni o parole le tramanderà il rifiuto dell’intimità.

E’ tutto un grande intreccio molto difficile da esprimere in modo lineare.

E’ difficile per me mantenere un equilibrio tra il non farmi invadere dove effettivamente verrei derubata e il lasciarmi andare per amare e condividere profondamente.

Sono diventata piuttosto brava nella prima parte, ho imparato a dire di no quando lo sento, a salvaguardare la mia incolumità e la mia dignità, a rifiutare l’invasione reale e a non elemosinare compagnia, ma a godere davvero anche della mia sola presenza. Ma sono rimasta chiusa nella mia paura dell’intimità, quella che se non la condividi rimane quasi opaca e snaturata della sua reale e totale bellezza.

L’intimità che non riesco a donare è quella che compone l’amore autentico e credo che l’amore vero sia fatto per essere condiviso ed espresso, non importa sotto quale forma od esperienza.

Yana

 

Cara Yana, scusa se ti rispondo solo oggi, ma ho dei problemi di connessione in questi giorni. ho letto con molto interesse il tuo post e ho continuato a pensarci in questi giorni. La mia lunga storia di paura dell’intimità ha coinvolto sia l’aspetto del corpo che quello della mente. quando ero giovane mi metteva in crisi anche l’invasione del corpo, cosa che ho gradatamente superato, anche perchè ho avuto la fortuna di vivere in un momento storico che “glorificava” il corpo e ogni sua espressione, compresa quella sessuale, e quindi non ho “condito” di molti sensi di colpa la mia difficoltà a mettermi in relazione affettiva con gli altri. non ti immaginare non sono un tipo chiuso e scostante, anzi, sono una persona molto aperta, altruista, disponibile e che fa volentieri nuove esperienze. il problema è sotto la superficie. i problemi maggiori sono stati con l’aspetto psicologico, e lì, forse, il mio carattere aperto ha fatto si che non mi paralizzassero. Cos’è che mi faceva stare a quelle che io chiama “le giuste distanze”? la paura di essere invasa e il vedere l’altro come un prolungamento del mio io. Quindi la difficoltà a vedere l’altro per quello che è e non come un appendice che ti valorizza, un appendice anche molto potente, di cui spesso non puoi fare a meno chè senza di lui/lei non ti attribuisci valore. di fatto è una modalità di relazione altamente insoddisfacente, primo perchè l’altro non lo vedi nemmeno o almeno molto poco. non ti rendi conto di quello che ti viene dato, ma pretendi solo nel momento del tuo bisogno. al momento che l’altro “risponde” al tuo bisogno provi un appagamento momentaneo, ma avverti immediatamente che il gesto dell’altro non è del tutto gratuito e rilanci.diventa un meccanismo che si avvita su se stesso scivolando quasi sempre nel gioco di potere. il problema non è chiedere, quello è giusto e sano, il problema è chiedere sempre e non ascoltare mai. la vera intimità, per me, è stare in ascolto dell’altro, cogliere i suoi sentimenti, le sue sensazioni sia verso di te che verso il mondo in generale, e sentire quello che liberamente dona. l’intimità è una dialettica di sentimenti che si crea fra due persone. il famoso dare e avere, che ha come presupposto il dono, non la pretesa del soddisfacimento di un bisogno in nome dell'”Amore”.vista così sembrerebbe una cosa tutta cerebrale. ma non lo è affatto, il corpo ci conduce alla mente e viceversa. sono aspetti che in me stanno ancora maturando. senz’altro, ad esempio l’esperienza della maternità ti costringe a fare i conti con un tipo di intimità sia di corpo che di mente che è assolutamente rivoluzionaria, e non ti lascia certo come ti ha trovato. e anche la maternità la si può leggere come una tappa di maturazione verso la capacità di vivere l’intimità, non è possibile affrontarla se non si ha il coraggio di oltrepassare alcune “colonne d’ercole”, se non si accetta di essere invasi nella misura (enorme) in cui ti invade un altro essere umano. poi ci può essere una reazione anche forte per cui, magari, passi il resto della tua vita a difenderti dall'”invasore” (il figlio), a me non è successo, ma onestamente devo ancora capire che tipo di effetto ha avuto sulla relazione con mio marito, ad esempio.
per ora mi fermo qui, spero che la mia esperienza ti dia qualche spunto di riflessione utile, ti abbraccio con affetto

Zoe29

 

 

Ciao Zoe,
grazie per avere deciso di condividere la tua esperienza con me (e con gli altri).

Ci sono alcuni aspetti in cui mi ritrovo, altri no.
Su altri sto lavorando…

Per quanto riguarda l’invasione emotiva/invasione fisica (questa dimensione che hai toccato è molto importante secondo me, nella questione “intimità”) io ho vissuto esperienze diverse.
Al contrario di te, non ho vissuto disagio con le invasioni più propriamente fisiche, almeno per quanto riguarda il campo sentimentale.
Ad esempio, parlando del sesso, ho spesso anzi teso a scambiare l’intimità fisica per reale intimità, cosa che ovviamente non è.
Molti dei miei rapporti di coppia si sono retti in equilibrio anche grazie all’aspetto fisico e passionale e, proprio per questo, quando subentrava successivamente (e naturalmente) una fase più stabile e più matura dell’affetività e dello scambio tra due persone, spesso qualcosa dentro di me scattava. Un allarme, percepibile molto spesso anche a livello fisico, oltre che emozionale.
Probabilmente in questo aspetto ci sono elementi che comunque ci accomunano.
Ad esempio, non so se in questo ti ritrovi, credo che questa mia problematica si sia risolta anche in una qualche spaccatura tra la sfera fisica e quella emotiva.
La parte che ama, che “sente” le emozioni, non può convivere troppo a lungo con la parte che agisce e che si lega al desiderio ed al piacere.
Ma quest’ultima riflessione è un’ ipotesi su cui ancora sto riflettendo e sulla quale per ora mi fermo.

Per quanto riguarda l’ascolto, questo è stato sempre l’aspetto che principalmente, insieme alla passione, ha sempre tenuto in piedi, finchè sono durati, i miei rapporti, quantomeno come atteggiamento (e tattica inconscia) da parte mia.
Potrei dire che le mie relazioni si sono basate tantissimo sull’ascolto, quello che sfocia nell’empatia, nell’accoglimento e nella comprensione del sentire dell’altro, tanto da essersi trasformato in un atteggiamento eccessivo e nocivo per me, che ha fatto sì che l’altro invadesse “sul serio” una sfera mia personale che non avrei dovuto permettere di invadere.

Ho sviluppato una modalità dipendente di relazionarmi, che si basava su una grossa lacuna nell’autostima (dovuta a diversi fattori) e sull’interiorizzazione di tale modello portato dai miei stessi genitori.
Questa disfunzionalità ha portato quindi alla massa in atto di strategie (inconsapevoli ed automatizzate) volte all’accoglienza e all’accettazione di me stessa da parte degli altri.
Il mio problema non era dare, ascoltare, comprendere.
Il mio problema era farlo in libertà, senza aspettarmi altro in cambio.
Oggi invece il mio problema è dare me stessa. Un problema che è sicuramente sempre esistito ma che giaceva sotto questi multistrati ormai smascherati.

Oggi sono senz’altro più autentica e sono felice di non aver scelto di sopprimere la mia empatia per preservarmi dalle “invasioni”.
Ho posto però dei paletti, che mi servono per salvaguardare la mia dignità, i miei diritti, le mie esigenze, imparando al contempo a ripettare meglio e in modo più consapevole anche quelle degli altri.
Mi sento più libera e desidero che chi mi sta vicino (chiunque) si senta libero.

Ma nonostante questi passi in avanti, con fatica, tempo e pazienza conquistati, chiaramente sono ancora in cammino e sento che, proprio per la mia acquisita consapevolezza ed autenticità, riesco a percepire in modo più vero e sensibile i miei limiti e le mie sensazioni più reali.
Ad esempio il mio limite di dare me stessa. O di sapere arrivare sempre fino ad un certo punto.
Un limite oltre il quale, piuttosto che offrire parti di me irreali, o fasulle, ho preferito non dare.
E forse sto ancora scegliendo (in modo incontrollabile) di non dare in questo senso, cosa che mi ostacola e mi tarpa le ali.

Ma la paura che sottende questo “non darmi” è ancora incisa dentro di me in modo profondo e sono conspevole che la volontà di combatterla non possa essere l’unica alleata di questo mio percorso.
Ci vuole un profobndo sentire ed una profonda elaborazione, che è quello che sto gradatamente affrontando.

Grazie per tutti i vostri interventi, spunti, condivisioni.
Siate liberi di scrivere tutto ciò che vi viene in mente.
Grazie
Yana

 

Ciao yana

credo sia normale avere un atteggiamento prudente di fronte a qualcosa che si percepisce ma non si conosce.
In questo momento sei come un adolescente che affronta per la prima volta un qualcosa che non conosce ma che sa che lo porterà a crescere. Sai che è un passo obbligato e che prima o poi si concretizzerà e credo che sia un buon segno che tu dia la giusta importanza all’evento.
Il bambino è più impulsivo, ha bisogno di inserire più dati possibile nel suo computer, agisce spinto dalla curiosità.dai bisogni primari ma è ben consapevole della sua dipendenza.
L’adolescente invece si appresta ad affrontare sfide che lo porteranno autonomamente a costruirsi il suo futuro.
Quello che ho capito io è che sei uscita dalla fase infantile di dipendenza per entrare in quella adolescenziale di ricerca della tua strada.
Hai la possibilità di rivivere tale fase evolutiva sapendo cosa cercare.
La tua paura nasce dal fatto che la consapevolezza non basta perchè ciò che stai cercando è qualcosa di inesplorato.

Non sono daccordo sulfatto di definire irreale ciò che sei in questo momento e ciò che potresti offrire. Adesso sei più reale che mai è solo che forse non ti senti ancora pronta per vivere ciò che stai cercando.

La vera capacità acquisita è ,secondo me,quella di riuscire ad aspettare e riconoscere l’obiettivo della nostra ricerca senza arraffare casualmente tutto ciò che capita per paura di perdersi qualcosa.
Per tornare all’esempio del computer, ora non inserisci semplicemente più dati possibili ma segli quelli significativi per sviluppare il programma che ti interessa.

Sono nella tua stessa situazione ma ho capito che la paura che provo adesso è reale mentre la presunta sicurezza di prima quella si che era irreale.

La voglia di superare le proprie paure è il più grande motore che io conosca per raggiungere i propri obbiettivi vincendo le proprie sfide.

Troppo spesso combattiamo battaglie che crediamo nostre mentre in realtà non lo sono solo per svincolare dal pèroblema reale. Ma quando riconosciamo il vero ostacolo non possiamo fare a meno di affrontarlo se continuamo ad avere dentro quella sana curiosità nei confronti del mistero della vita.

Un abbraccio

Robedamatti

 

 

Carissimo Robedamatti,
grazie per essere così empatico, davvero.

Quando dici che secondo te non è vero che quello che sono oggi è fasullo penso che sia vero. Hai ragione.
Rileggendomi, comprendo che per come l’ho scritto io sembra che sia come hai inteso tu, invece hai ragione, quello che posso dare oggi è quello che sono e va accettato perchè è reale ed esprime il mio sentire di oggi, con tutti i suoi limiti.
Peraltro concordo pienamente anche sul fatto che è molto più autentico ciò che provo e posso permettermi di offrire oggi rispetto a ciò che pensavo di riuscire a dare prima.
La mia paura attuale è senz’altro più reale dell’immaginaria sicurezza di un tempo. E per questo motivo forse anche persino più bella.

Ho espresso male un pensiero, in realtà intendevo rappresentare qualcosa che non ho forse ancora ben chiaro nella mia testa, o che afferro malamente anche con la pancia.
Mi rendo conto che quando scrivo in questo thread non ho la stessa lucidità che ho per altri aspetti che mi riguardano, perchè, come ben hai colto tu,
” In questo momento sono come un adolescente che affronta per la prima volta un qualcosa che non conosce ”
Niente di più vero, penso.

L’irrealtà di cui parlavo, l’attribuisco più che altro a ciò che ero convinta di donare prima.
Nel senso che per un tratto della mia vita appena trascorsa, mi sono resa conto di essermi fermata un attimo a riflettere su tutte queste mie rivelazioni su me stessa, sulle mie paure e su ciò che mi portavano a fare/dare-non fare/non dare.
Ho sentito dentro di me in modo molto vivo l’irrealtà di un sentire che avevo confuso con intimità ed amore e che invece si era rivelato una moltitudine di paure, che invadeva molte sfere della mia vita ed il mio stesso presentarmi al mondo.

Così mi sono trovata per un pò senza sapere realmente cose fare per sciogliere questo nodo molto stretto, finchè alla fine ho capito che avevo bisogno semplicemente di mettermi in ascolto con onestà, coraggio ed attenzione, cercando di affrontare le sensazioni negative che necessariamente scaturivano.
Sono riuscita in parte a prendere le distanze dai miei aspetti non autentici, sciogliendomi piano piano su molti punti determinanti e sentendomi di conseguenza molto più libera.
A volte ho provato una sensazione di pienezza di me, non intesa in senso negativo, ma positivo. Perchè, nel bene e nel male, stavo incominciando forse per la prima volta, o forse semplicemente dopo tantissimo tempo, ad entrare in contatto con la vera mia sostanza, con ciò che sono, che ho percepito essere bellissimo in tutta la sua imperfezione.
Ed ho capito che era quella l’unica strada che mi serviva percorrere.

Oggi però comprendo che ci sono parti di me ben nascoste che ancora giocano a nascondino e che è dura raggiungere e permettermi di esprimere.
Mi sono resa conto che oggi c’è un’immensa volontà di dialogare con quelle parti e di farle emergere in qualche modo. C’è tantissima voglia di dare, nel senso autentico e profondo del termine.
Ci riesco in alcune sfere, ma cado nella vita privata.
E il mio modo di cadere oggi non è quello di sbagliare, ma quello di frenarmi.
Il punto è che non ho ancora “disattivato” bene questa modalità, so che è improduttiva, che non mi porta a nulla, ma non riesco a controllarla, a dischiudere quelle parti di me che invece vorrei condividere e che non so come descrivere. Non sono pensieri, nemmeno emozioni, oserei chiamarla “apertura”. Apertura verso luoghi profondi di me in cui desidererei permettere di entrare per potermi davvero condividere.
Ma è una modalità inconscia; è consapevole perché so che esiste, ma scatta automaticamente ed io me ne rendo conto solamente col senno di poi. Per ora non sono in grado di opporle resistenza e questa forse è già un’indicazione.
Probabilmente c’è bisogno ancora di tempo e di comprensione.

Grazie, scusate per la successione di pensieri molto sconnessi, non riesco a descrivere questa fase in modo molto lucido, né lineare.
Ma so già che molti di voi sono in grado di comprendere ugualmente, o comunque di accogliere.

Yana

Ciao Yana

se di vera “APERTURA” si tratta allora non hai bisogno di far entrare nessuno per condividere la tua intimità.
Le cose importanti ,nella condizione che tu descrivi, trapelano e si espandono intorno a noi.
Sentirsi aperti o sentirsi pronti per un’eventuale apertura non sono la stessa cosa.
La prima è strettamente personale indipendente da qualsiasi contenuto esterno, è uno stato individuabile da tutti.
La seconda invece presuppone ancora l’esistenza di una seconda persona al quale regalare tale apertura ( ma ti apriresti a tutti o solo a persone meritevoli?).

Questo è ciò che mi viene da risponderti
Un abbraccio

Robedamatti

 

 

Ciao Robedamatti,
provo a rispondere alla tua domanda.
Voglio essere aperta e mi sento aperta in generale. Ed è vero, in questo caso non c’è bisogno di condivisione, in quanto la condivisione avviene naturalmente. Ci esprimiamo nel mondo per quello che siamo e quello che siamo arriva. Arriva la chiusura ed arriva l’apertura.

Quello che invece tu hai chiamato un’ “eventuale apertura” è forse più legato alla condivisione di sentimenti, progetti e percorsi insieme ad un’altra persona. Condividendo e nutrendo il tutto attraverso vera intimità, che chiaramente si acquisisce nel tempo. Perchè credo di aver capito che sia quella che può potenzialmente tenere in piedi ed è capace di nutrire un rapporto con delle solide basi e che sempre quello aiuti nei passaggi difficili di tutte quante le relazioni, nelle crisi, nei momenti duri, nella maturazione delle persone e del rapporto stesso.
Non può di certo costituire una garanzia, anzi, deve essere un vivere ogni giorno l’esperienza curandola come una cosa preziosa che nel tempo si evolve, però è secondo me un aspetto base per la costruzione di qualcosa che possa resistere ed in cui si possa credere.

Onestamente oggi non mi sento “vuota” senza una persona di fianco (un uomo), però nutro il desiderio di costruire un rapporto soddisfacente, stabile, attraverso cui sperimentare amore ed intimità (dandolo e ricevendolo e non “dandolo per ricevere”). Quindi non certamente con “chiunque”, ma con una persona che mi piaccia realmente.
Su questo mi sento piuttosto centrata, ho le idee chiare, ma mi sono resa conto che ciò che comunico maggiormente in questo senso è, al contrario, chiusura. Attraverso quei codici che istintivamente gli altri percepiscono e che io invio senza nemmeno parlare.
Oppure l’apertura arriva dove c’è ancora chiusura.
Questo è ancora un modo per eludere l’amore e la condivisione, l’intimità.

Ci ho messo un pochino a capirlo, ma poi questa cosa è emersa.
Sta emergendo.
Ma la mia “postura” di chiusura sentimentale (metaforicamente parlando) è qualcosa che non riesco a gestire e che frena ogni mio passo anche quando vorrei correre.
Non so se rieco a trasmettere la sensazione di frustrazione che sento dentro e che parte sicuramente da me.

Sotto c’è sicuramente la paura di correre davvero; la voglia di costruire e condividere c’è a livello di desiderio sano, ma poi nel profondo è ancora invalida ed evidentemente non ancora sufficiente rispetto alla paura che ne ho.

Grazie

Yana

 

Ciao Yana

Quello che percepisco io dalle tue parole è molta consapevolezza in quello che vorresti o che cerchi. Come lo percepisco io lo percepiscono anche gli altri e, credimi, fa molta paura dover essere all’altezza di aspettative cosi elevate.
Io credo che quando incontrerai una persona con le stesse tue esigenze,allora scopi,fini e obiettivi in comune si realizzeranno.
Le persone non sono vittime del destino o del fato o del caso.
Sono convinto che come ci autoinfliggiamo delle dure punizioni con storie impossibili e dolorose, cosi siamo anche in grado di riconoscere ciò che è bene per noi,andarcelo a cercare e infine viverlo.
Per fare ciò è necessario essere pronti.
Per quello che cerchi tu bisogna essere pronti in due.
Il fatto che tu riconosca l’apertura o la chiusura in te nei confronti delle altre persone e viceversa lo vedo come un fatto positivo.
Ora hai le redini un pò più tese e stai guidando il tuo cavallo nella direzione che vuoi.
Ci sono momenti in cui è giusto cosi ma credo anche che l’obiettivo finale sia riuscire a cavalcare con le redini ben strette( per eventuali imprevisti) ma con le briglie sciolte.
Se non vai a cavallo ti spiego cosa intendo dire: se vuoi andare da Trieste a Milano puoi farlo sia con estrema attenzione tenendo sempre sotto controllo la situazione guidando in ogni istante il tuo destriero, ma puoi farlo anche rilassandoti in sella ed intervenendo nei rari casi necessari.
In entrambi i casi arriveresti a Milano felice ma nel primo caso stanca e stressata perchè avresti usato il cavallo solo come mezzo di trasporto, nel secondo caso invece ti saresti regalata un piacevole viaggio, non solitario, in compagnia del tuo cavallo con la possibilità di osservare il paesaggio, parlare con chi incontri, gioire del viaggio pur sapendo che il tuo obiettivo è Milano.
Questa per me è la differenza fra usare e condividere anche se gli scopi, i fini dei due compagni di viaggio non sono gli stessi.
Questo si può fare solo con tanto amore per il viaggio e tutto ciò che comporta (comprese le sventure).
Non è possibile se in testa c’è egoisticamente solo il raggiungimento della meta. Non dico che non sia giusto ma solo che si perde una grande occasione.
Per non sentirsi soli conoscere la meta non basta bisogna accettare e riuscire a godere del viaggio.
Generalmente il percorso risuterà più piacevole,arricchente e breve.

Un abbraccio

Robedamatti

 

 

Caro Robedamatti,
grazie ancora di.. “starmi così dietro” , questi confronto per me è molto costruttivo e mi induce a riflettere.
Mi serve molto sentirmi dire cosa viene percepito dal di fuori e sentire pareri differenti, tra cui in particolare quello di un uomo, e che comprende certi miei trascorsi in fatto di “chiusura”.

La penso come te, ho capito e mi ha fatto molto riflettere la tua metafora a proposito della modalità di andare a cavallo e credo che l’equilibrio stia proprio in ciò che hai descitto essere un pò l’obiettivo in sè della ricerca della serenità.
Insomma, un pò come se la serenità fosse l’unico mezzo per raggiungere serenità.
E alla stessa stregua, l’unico modo di godere e sentire con pienezza un sentimento è quello semplicemente di goderne, con tutto ciò che comprende, in negativo e in positivo, e assaporarlo in pieno.
Sono d’accordo.
E sono d’accordo sul fatto che se l’obiettivo è meramente quello di “costruire”, cioè di “fare”, arrivare ad uno scopo, il sentimento sfugge di mano, e magari si costruisce lo stesso, ma qualscosa di asettico. Si usa l’altro per riempire la propria vita di una relazione, e così si commette l’errore di trasformare una relazione potenzialmente sana, o comunque funzionante, in qualcosa di insano perchè innaturale.

Forse è superfluo dire che non è questo che vorrei e che nutro semplicemente il desiderio della bellezza della condivisione ma, come dici tu, sto lasciando che questo accada quando sarò pronta e quando questo desiderio si muoverà verso qualcuno che sarà altrettanto pronto e che toccherà spontaneamente il mio cuore.
Non vorrei che sembrasse che io sia in ricerca di una relazione, del tipo “A.A.A. qualcuno per costruire cercasi”
Non è così, ma capisco che fare un’analisi dettagliata della mia vita sentimentale e del mio sentire prima/ora, tracciandone anche le differenze, possa indurre a pensare questo.
Quando dico che vorrei costruire, comprendo e condivido l’idea che questo non possa essere deciso a tavolino, ma che possa solamente essere una nascita spontanea.
Ho sempre vissuto le mie relazioni, seppur contorte, assecondando molto l’istintività, pur peccando di inconsapevole chiusura, e mai sarei capace di vivere in serenità all’interno di qualcosa di preconfezionato ed utile solo per arrivare ad una meta.
Posso anche dire che stavo per cadere in un errore simile, ma il mio modo di essere non mi ha permesso di finire nella trappola; non appena avverto rigidità ed innaturalezza mi sento invasa da un senso di disagio e non riesco a restare dentro.

Quello che tento di esprimere è invece un senso di frustrazione per il fatto di avere avvertito in me un’eccessiva chiusura, un ripiegamento su me stessa e sulle mie cose che dura da troppo tempo.
Ho imparato a non sentire più la necessità di negoziare affetto, a stare bene da sola, a godere delle mie cose e della mia compagnia, a crearmi una base che sia solo mia ed alla quale una nuova persona potrebbe semplicemente “aggiungere”, senza dover “compensare” la voragine interiore che avvertivo in passato.
Tante cose meravigliose fanno parte della mia vita e la rendono ricca, ma credo sia normale e sano dopo molto tempo da sola desiderare di innamorarmi, di lasciarmi trasportare dal sentimento.

Ho notato che però questo non accade, non ne sono in grado e mi sono posta delle domande. Perchè qualcosa si blocca quando sembra che in qualche modo io mi stia lasciando andare. O si blocca da una parte, o dall’altra, non so se capisci cosa intendo dire.
Credo che la risposta stia semplicemente in ciò che hai detto tu: evidentemente non sono pronta.

Questo mi rende desiderosa di comprendere ciò che arresta il mio viaggio a cavallo, per utilizzare le tue parole, perchè vedi: il tragitto non inizia nemmeno, neppure se avverto sintonia con il cavallo
Per me questa è chiusura. Paura.

Mi ha colpito molto il tuo discorso sulla paura e la difficoltà di essere “all’altezza di aspettative così elevate”.
Mi colpisce perchè è una cosa su cui ho riflettuto spesso e su cui mi sono posta delle domande.
Quando io esprimo la mia consapevolezza su ciò che cerco in realtà non so cosa mi aspetterà, ne voglio programmarlo.
Però, dopo aver vissuto molte illusioni, sia da parte mia che da parte dell’altro, e conseguentemente delle delusioni; dopo aver sofferto per via di una mancata consapevolezza di ciò che cercavo o di cosa potesse rendermi felice, oggi sono semplicemente consapevole di cosa non voglio più. Non sono più disposta a costruire qualcosa solo per non stare sola o per provare emozioni riempitive.

Forse la mia consapevolezza (che non è sicurezza, credimi, per quanto riguarda la sfera sentimentale, tutt’altro..) può spaventare, me lo sono chiesta.
Ma allora mi domando come trovare un equilibrio reale tra avere contatto con se stessi e ciò che si vuole e creare “ansia da prestazione negli altri”..
Non so se mi sono spiegata…..

Yana

Ciao Yana

hai colto molto di quello che intendevo dire ma non tutto.
Condivido nei contenuti tutto quello che dici ma ci sono delle sfumature nel mio ragionamento che vorrei spiegare meglio.

Tu sei già in viaggio per Milano, seguendo la metafora, ma Milano è quello che cerchi. Sarai pronta solo quando giungerai a destinazione perchè li troverai quello che cerchi.Solo li potrai,come dici tu, costruire o fare.
Fino a quel momento puoi solo decidere se percorrere un viaggio in solitaria o in compagnia, in fretta o con calma, gustandotelo o,con l’ansia di arrivare.
Il vero problema è accettare che si è ancora in viaggio e ,per me , la soluzione è modificare l’atteggiamento verso lo stesso.
Avrai notato anche tu che ci sono persone che iniziano le vacanze dal primo giorno godendosi anche il viaggio che fa sicuramente parte del pacchetto estivo. Durante il tragitto chiacchierano, cominciano ad uscire dalla routine, gioiscono di nuovi incontri(anche solo in autogrill),iniziano a rilassarsi e magari a scaricare qualche tensione di troppo per poi arrivare più leggeri e sereni possibili all’appuntamento sperato.
Altri si incazzano perchè sono costretti a percorrere una lunga strada prima di raggiungere la destinazione e sicuramente quando vi giungono dovranno smaltire lo stress della inutile fatica.Dico inutile perchè un atteggiamento diverso avrebbe potuto rendere tutto più semplice e bello.

Quando parlo di viaggio a cavallo non intendo dire che lo scopo sia il rapporto con il cavallo ma esso rappresenta lo strumento attraverso il quale puoi raggiungere la tua meta condividendo con amore un pezzo di strada con chi sai dovrai salutare alle porte di Milano.
Il cavallo è l’oppotunità che hai per imparare a raggiungere una vera intimità anche con chi non fa parte della meta.

Per quanto riguarda il compagno di viaggio questo è solo un contenuto irrilevante perchè se vuoi veramente gioire del percorso sarai anche in grado di scegliertelo e cambiarlo all’occorrenza.
Ci sono situazioni in cui si è costretti ad accettare anche presenze scomode delle quali ci si può liberare appena possibile senza perdere il piacere di proseguire.
Ciò che rende complicato il tutto è la possessività, l’incapacità di di lasciare andare un compagno che ci porta o che portiamo fuori dalla sua o dalla nostra rotta,la scarsa apertura mentale che non permette di scorgere subito con chi viaggiare meglio, l’egoismo che ci fa false promesse di scorciatoie e comodità ecc ecc
Chi ha questi problemi in viaggio credo non abbia ancora imparato ad amare e apprezzare il viaggio stesso.

Per quanto riguarda la domanda finale io credo che conoscere la meta e amare il proprio viaggio sia il vero contatto con se stessi, cosapevolezza che non bisognerebbe mai perdere o barattare , mentre ” l’ansia da prestazione negli altri” si evoca nel momento in cui si cerca di portare sulla propria strada qualcuno che non sarebbe in grado di affrontarla o che semplicemente è diretto altrove e non sente suo ciò che gli viene proposto.
L’equilibrio di cui parli sta nel rispetto, nella fiducia e nell’amore nei confronti di ciascun viaggiatore con la speranza sincera , e augurando con il cuore, che ognuno possa raggiungere la sua meta perchè siamo tutti un pò nomadi prima di averla raggiunta.
Non so se mi sono spiegato ma so cosa intendi

Robedamatti

” Tu sei già in viaggio per Milano, seguendo la metafora, ma Milano è quello che cerchi. Sarai pronta solo quando giungerai a destinazione perchè li troverai quello che cerchi.Solo li potrai,come dici tu, costruire o fare ” ….. (Robedamatti)
Ciao Robedamatti,
grazie ancora per la tua attenzione e per la tua sensibilità.
La tua visione sull’argomento, che ho riportato in parte, e ciò che ne consegue, è molto affascinante, mi piace.
Ho capito, adesso (credo), cosa intendevi con la metafora del viaggio.
Sono in accordo con il tuo sentire, anche se dissento su un punto, su una sfumatura. Poi magari non ho compreso in pieno quello che volevi dire.

Condivido quando dici che solo quando sarò giunta a destinazione sarò davvero in grado e “pronta” per costruire, per crearmi ciò che cerco con tutte le sue potenzialità.
Ragionando sempre per metafore, è stupido pensare di aver già trovato Milano quando mancano ancora un pò di chilometri, e sarebbe anche illusorio convincersene, o cercare affannosamente il cartello “Milano” dove non potrà mai esserci.
Però credo che pensare, o “prestabilire”, di non poter inizare a costruire nulla fino all’arrivo sia un pò autocastrarsi, raccontandosi (almeno nel mio caso sarebbe così) che, nel frattempo, posso comunque concedermi di godermi il viaggio, pur senza pensare di poter costruire.
Che in ogni caso io mi possa godere la corsa, ed anche trarne ulteriore crescita e conoscenza, è senz’altro una verità e anche secondo me questo è l’atteggiamento migliore da assumere.
E, come dici tu, adottare un atteggiamento positivo e sereno, di curiosità anche direi, nei confronti del proprio viaggio è il modo migliore e più costruttivo di viverlo. Di vivere la propria vita.

Sono talmente d’accordo su questo che, nonostante tutto, io ritengo (oggi) di amare immensamente il mio viaggio, tanto che, mentre procedo, m’infilo interessata, e a volte divertita, in ogni piccola viuzza sconosciuta che incontro.
Ma penso che durante il tragitto possa davvero accadere di tutto, specialmente se noi viaggiamo a cuore aperto.
E’ questo ogni tanto il mio pensiero.

So che se la mia meta è quella di aprire il cuore non posso pensare che questo avvenga prima, altrimenti vorrebbe dire che sono arrivata già a destinazione (anche se detta così è un pò forzata: non credo si arrivi mai a destinazione…per fortuna!). Sarebbe una contraddizione i termini.
Ma in realtà secondo me non lo è, non per come la vedo io.
Credo che la costruzione di qualcosa di bello da condividere sia un processo lungo, che contiene momenti, esperienze e fasi differenti.
Anche l’apertura del cuore è un processo lungo e penso che possa avvenire anche insieme a qualcuno.
Intendo dire che non credo sia necesario prima aprire il cuore e poi iniziare o tentare di vivere un’esperienza comune in cui ci sia reale crescita e condivisione. Credo che, a seconda delle esperienze e delle persone, sia possibile, anche se non è una regola, contemporaneamente viaggiare, costruire, vivere, aprire sempre un pò di più il cuore.
Non penso che necessariamente chi mi accompagnerà in questo viaggio, se ci sarà, dovrà poi staccarsi da me una volta arrivata alla meta.
Non credo nemmeno che sia quello che intendessi dire tu in verità, solo che le tue riflessioni amplificano le mie, mi inducono ad allargare il mio pensiero e a definirlo meglio secondo il mio sentire.

Chiaramente, se invece il mio viaggio è inteso come la strada che mi conduce ad essere in grado di “iniziare a riaprirmi di nuovo verso qualcuno concretamente” (la mia difficoltà attuale) va da sé che prima di quel momento probabilmente non ci riuscirò. Ma in questo caso non ci sarà nessuno ad accompagnarmi in quel particolare tratto.
L’unico modo di affrontare questo pezzo di strada è forse quello di accettare che sia così, comprendendo che non lo sarà per sempre.

Sto in effetti lavorando per arrivare a dischiudere il cuore, e per fare questo devo scomodare momenti e vissuti passati, quelli che hanno concorso o causato la chiusura ermetica.
Credo di essere sulla strada giusta, solo che ogni tanto emergono un po’ di insofferenza e frustrazione. Questo è uno di quei momenti e quando accade mi succede di provare un po’ di irrequietezza, che mi depista un po’ dall’assaporare il momento che ora mi appartiene.

Per quanto riguarda uno degli atteggiamenti che possono inficiare l’apprezzamento del viaggio della propria vita, forse quella che tu chiami possessività è ciò che io chiamo “attaccamento”.
E’ vero che quando questo è un modello comportamentale eccessivo è senz’altro invalidante per quanto riguarda accettazione, serenità e crescita; ma in generale credo che questa sia una tendenza che appartiene al genere umano e che non può essere eliminata del tutto.
Un conto è la dipendenza, un altro è l’attaccamento alle cose terrene del genere umano.
Se un compagno mi tiene la mano durante un viaggio, qualsiasi esso sia, non voglio e non potrei illudermi che al momento del distacco, se ci sarà, rimarrò inerme.
Se avrò costruito alla base una mia personalità salda, saprò fronteggiare il momento, ma ci sarà sempre una certa resistenza nel lasciare andare. Ed una certa fatica, in quel frangente, ad apprezzare il viaggio in sé, anche se concepito come un disegno più ampio e costruttivo.
Credo che questo atteggiamento, con i dovuti limiti, faccia parte della natura umana e non potrà mai essere superato in modo totale.

Ti ringrazio per le tue riflessioni Robedamatti, sono molto utili per me, anche quando non le comprendo in pieno
Mi forniscono spunti ed emozioni importanti e mi fanno sentire compresa.
Un abbraccio grande
Yana

Ciao Yana

io credo che ci si debba intendere sulla parola costruire.
Penso che sia senz’altro necessario costruire qualcosa durante il viaggio ma non è senz’altro qualcosa di immobile, di stazionario perchè altrimenti ti impedirebbe di proseguire. Al limite puoi accamparti temporaneamente o decidere di passare un pò di tempo in un luogo per scoprire qualcosa di importante , per riposare un pò o semplicemente per godere dell’attimo.
Quello che devi sicuramente costruire è la capacità di relazionarti e di entrare in intimità. In questo senso il cavallo può essere lo strumento attraverso il quale puoi arrivare a destinazione più completa, arricchita di una parte di te che stavi cercando.
Per imparare ciò non puoi isolarti e decidere di viagiare sempre sola perchè ti mancherebbe l’opportunità di comprendere ciò che ti serve.

Sento che forse c’è un pò di timore dell’eventuale distacco con un compagno fedele di viaggio con il quale magari hai costruito una relazione importante una volta raggiunta la meta.
Quello che penso io nella maniera più profonda è descritto nella parte finale della precedente risposta.

Grazie a te di permettermi di fare ogni tanto il punto della situazione perchè ciò che vivi riguarda anche me
Un abbraccio

Robedamatti

Ciao Robedamatti,
allora: costruire..
Penso possa voler dire molte cose, o meglio, il significato è sempre lo stesso, ma si possono costruire un’infinità di cose.

Sono d’accordo con ciò che intendi tu, nel senso che se costruisco qualcosa all’interno del mio viaggio, questo non è detto che duri per sempre, e non solamente restando nel campo delle relazioni, ma in generale. Durerà per sempre perchè diverrà parte del mio bagaglio interiore e mi formerà, ma potrebbe anche prendere un’altra direzione, che non sia necessariamente parallela alla prosecuzione della mia vita.

Ma io penso anche che questo non si possa stabilire o conoscere a priori: magari inizio a costruire qualcosa che nel tempo si evolverà e che prenderà le sembianze di quello che cerco.
(A parte che, nel mio sentire, tutto si evolve, le relazioni non sono mai stabili).
Un pò come avere a disposizione solo il materiale per costruire una casa dalle fondamenta, ma non avere il resto per farla crescere, addobbarla, renderla non solo una casa, ma una casa “viva”, personalizzata, tutta tua e davvero calda.
Può essere che quando si avrà la possibilità di acquisire tutto ciò che la renderà tale si deciderà di cambiare appartamento, magari perchè alcuni mobili su misura per noi saranno troppo grandi o troppo piccoli per la casa stessa; come può essere benissimo che i nuovi mobili ed i nuovi colori, con le nuove forme, sostituiranno i vecchi e completeranno la casa, donandole una dimensione diversa.
Ho cambiato metafora, , tanto per variare un pò, e poi perchè sono appassionata di case ed arredamento

Secondo me tutto dipende dalla misura in cui si cresce insieme e da quanto questa evoluzione continui ad incastrarsi con quella dell’altro.

” Quello che devi sicuramente costruire è la capacità di relazionarti e di entrare in intimità. In questo senso il cavallo può essere lo strumento attraverso il quale puoi arrivare a destinazione più completa, arricchita di una parte di te che stavi cercando. 
Per imparare ciò non puoi isolarti e decidere di viagiare sempre sola perchè ti mancherebbe l’opportunità di comprendere ciò che ti serve ” 
Sì, sono assolutamente d’accordo. Mi sono davvero isolata per un certo periodo, e questo mi ha fatta allarmare esattamente come quando, al contrario, non riuscivo a stare da sola.
L’isolamento e la totale dipendenza dagli altri sono due facce della stessa medaglia, senza contare che molto spesso isolarsi può significare “paura di dipendere”.

” Sento che forse c’è un pò di timore dell’eventuale distacco con un compagno fedele di viaggio con il quale magari hai costruito una relazione importante una volta raggiunta la meta ”
La paura dell’abbandono è sempre stata in cima tra le mie preferenze
E’ senz’altro diminuita, perchè sono riuscita ad eleborare alcuni abbandoni molto forti per me, accettando e vivendo la solitudine e la perdizione che ne sono conseguite, ma chiaramente è un timore molto radicato da tenere sempre sott’occhio.
L’attaccamento che descrivevo io, però, era inteso in senso più ampio. Non mi voglio illudere, perchè non ci credo, che ridimensionare la paura dell’abbandono si traduca nel non soffrire durante la sua sperimentazione. Non sarebbe umano ed io neppure voglio diventare così.
Ho imparato fino a qui a gestire il distacco in maniera più matura e serena, ma so che genera comunque sofferenza e non potrebbe essere differente.
Il “lasciare andare” di cui parli, era una cosa per me impossibile fino a qualche anno fa. Mi riempiva di rabbia e mi destabilizzava in maniera quasi insostenibile. Non lo accettavo.
Poi, affrontando la cosa di petto, ho imparato a farlo. Ho imparato che è anche una cosa bellissima e che se vogliamo vivere in libertà, dobbiamo accettare che anche gli altri lo facciano.
Peraltro, lasciare andare significa rendere liberi anche noi stessi e progredire sul nostro cammino in modo naturale e, molto spesso, permette di acquisire e non di perdere.

Alcune persone che ho accettato di lasciare andare, oggi scelgono di starmi vicine e questa è stata una conquista enorme per me, anche perchè è avvenuta spontaneamente e senza forzature.
Questi sono i rapporti più veri che ho.

Un abbraccio
Yana

Ciao Yana
leggo che il tema del distacco è molto importante per te e vorrei dirti come la penso io su questo argomento.
Credo che esistano delle dinamiche che sono presenti in maniera assolutamente naturale in tutti gli esseri sociali.
I miei maestri sono stati i cavalli, gli esseri che meglio conosco e vorrei offrirti il loro punto di vista(anche per cambiare).
Se osservi attentamente un branco di cavalli noterai che il “distacco” è un elemento fondamentale per la crescita, per la formazione e l’indipendenza sia del singolo che dell’intera comunità.
Il distacco è sempre un gesto d’amore . E’ vero che può creare una momentanea sofferenza , ma in natura ogni distacco è finalizzato ad un bene. Ogni tanto succede che qualcuno venga sacrificato ma sempre per un bene superiore.
In natura lo sviluppo delle potenzialità del singolo e della comunità vanno di pari passo e il distacco è uno degli strumenti principali con cui questo avviene.
La madre accudisce il puledro nutrendolo , proteggendolo e trasmettendolgli le competenze specie-specifiche ma la più grande dimostrazione di forza,maturità ed amore la dà quando insegna al suo piccolo a distaccarsi da ciò che non è più indispensabile per crescere più forte e seguire il suo destino,qualunque esso sia.
Il distacco in natura ha una funzione altamente formativa e credo sia fra le prime competenze che vengano trasmesse e rinforzate.
Chiedere aiuto solo nel reale bisogno permette di crescere meglio,prima e permette anche al singolo di diventare un valore aggiunto per il branco piuttosto che un peso.
Il distacco o meglio l’isolamento viene utilizzato sia dalla madre che dal branco come forma estrema di punizione quando non si dimostra di meritare la convivenza all’interno della famiglia o del gruppo.
Il cavallo vive solo in questo momento il senso di abbandono che diventa per lui la situazione più terrificante che possa provare.
Ma anche in questo caso l’allontanamento è sempre e solo conseguenza di un comportamento sbagliato del quale il reo subito capisce la gravità.
Le porte non vengono mai chiuse definitivamente perchè al primo vero segnale di pentimento e di comprensione dell’errore che avrebbe potuto mettere a repentaglio gli equilibri,e quindi la sicurezza, del gruppo,il soggetto viene riammesso nel branco senza rancore e con tanto amore.
Tutti i cavalli in natura tifano per i loro simili perchè ognuno di loro sviluppando al massimo le sue potenzialità e imprarando a condividere le regole del gruppo ,diventa la vera forza del branco.
Tutti potranno usufruire di tale forza: non può esserci invidia.

Non vorrei dilungarmi perchè so che la mia passione non può essere codivisa da tutti ma volevo solo dirti che il modo di vivere e definire il distacco e l’abbandono nei termini che noi conosciamo sono frutto della mente bacata dell’uomo: in altre specie presenti da 5 milioni di anni tutto ciò non esiste.
Ancora una volta l’uomo è riuscito a complicare ciò che è estremamente naturale ed essenziale.

Un abbraccio

Robedamatti

Che bella discussione! Riappaio dopo molto tempo ( molti non mi conoscono) in questa discussione che mi “prende” moltissimo e mi ci butto in mezzo 🙂
Il tema dell’intimità e dell’abbandono! Mi sento così coinvolta anche io che non posso stare solo a leggere ….
Il tema dell’intimità: anche io come te, Yana, provo molte cose in comune. Anche io ho provato molte strategie che sono diventate arte ( come accennavi nei primi interventi) , per evitare la vera intimità e il vero coinvolgimento emotivo. Ho sempre voluto amare senza mai perdere il controllo e così anche io mi sono ritrovata a sperimentare molte situazioni di cui tu parli. Fino a giungere alla consapevolezza che questo non era l’amore a cui io volevo arrivare davvero.. storie complesse, che mi hanno dato molto ma che non mi hanno portato all’amore che avrei desiderato nei miei sogni, che non hanno riempito il mio cuore di amore ma piuttosto di lacrime. Anche io , come te, mi trovo in una fase in cui ho subito la frustrazione di voler costruire qualcosa, di avere la consapevolezza di avere molto da dare ma di non riuscire a trovare un corrispettivo. Penso anche io che se non troviamo il corrispettivo è perché non abbiamo ancora aperto la porta del cuore.. Io non ho ricette ma credo di “sentire” che la giusta via ( e forse posso parlare solo per me perché ognuno ha il suo cammino) è affidarsi alla vita senza aspettative, senza desideri. Affidarsi al mare della vita che ci porterà le esperienze necessarie che, se sapremo coglierle mettendo da parte la paura, e viverle, riempiranno le nostre lacune e ci renderanno più forti e ci permetteranno di aprire il nostro cuore un giorno. Tu sai che è più di anno che ho intrapreso un viaggio dentro di me che mi ha portata e mi sta portando molto oltre quella persona che ero ( almeno.. questo è quello che vorrei e che percepisco di me) .. molta strada ho da percorrere, molte cose sono accadute.. sono dell’idea che la consapevolezza e il nostro lavoro consapevole sia importante ma che questo debba essere unito all’accettazione delle esperienze come parte del nostro cammino eliminando la frustrazione. Ogni piccola esperienza, se vissuta nel modo giusto, è un passetto in più verso noi stessi. Darsi tempo ed accettarsi è fondamentale, nella mia esperienza. Ovviamente questa è la teoria mentre nella pratica di tutti i giorni non credo sia possibile talvolta non provare aspettative e frustrazioni..siamo umani! E ben venga la nostra umanità!
Sull’abbandono e il distacco…. Mai tema più attuale per me in questo momento, purtroppo! Sono molto in linea con quanto dice robedamatti quando fa i suoi esempi parlando di cavalli. Personalmente ho sempre pensato che dovremmo imparare molto dagli animali.. vedi i figli, ad esempio! Esistono delle regole che sono naturali ed essenziali per la crescita dell’essere vivente…. Ma l’uomo è diverso. Gli animali accettano di crescere i loro figli fintanto che non sono indipendenti e poi li allontanano: l’uomo non ne è capace ( in genere).. gli animali accettano la morte e gli abbandoni come parte della vita.. oserei dire che anche l’uomo sa fare questo.. dipende dalle culture! Più l’uomo pensa di essere evoluto e più si allontana dalle leggi naturali della vita, più soffre e diventa disumano ( vedi quando per non distaccarsi si attua l’accanimento terapeutico). Inoltre vorrei dire un’altra cosa che mi è stata detta pochissimo tempo fa e mi ha fatto riflettere: l’uomo, comunque, con tutto il rispetto che si possa portare ad ogni essere vivente ( e io rispetto perfino le pietre!) penso sia più complesso.. le nostre relazioni sono basate su regole diverse di quelle degli animali. Loro seguono regole naturali ma non hanno un sistema di comunicazione come il nostro, non hanno emozioni come le nostre . Il nostro piano relazionale è diverso e quindi credo sia anche ovvio che l’uomo sia portato a complicare ogni cosa e debba “faticare” di più per trovare un equilibrio che per un animale è naturale. E probabilmente se questo avviene ci sarà un motivo… detto ciò sono anche io dell’idea che gli abbandoni siano tappe fondamentali della nostra vita che ci fanno crescere.. ma sono tappe molto pesanti per un essere umano e in anche in questo c’è la nostra umanità.
ciao
Gio62

Eccomi Robedamatti,
grazie ancora per la tua riflessione, che ho trovato molto interessante ed altamente costruttuva.
Credo invece che questa tua passione possa appassionare e che comunque offra degli ottimi spunti, non vedo perchè mortificarla!

Oltretutto ognuno di noi esprime al meglio ciò che sente e ciò che ha con il linguaggio che più sente suo.

Condivido in pieno tutta la tua riflessione sul distacco e non c’è cosa più vera del fatto che esso sia uno strumento importantissimo, nonchè parte integrante della natura, per la crescita e l’acquisizione dell’autonomia.
Però una cosa è il distacco costruttivo, un’altra è, per esempio, l’abbandono.
Non parlo di fatti relativi ai rapporti sentimentali, ma dei concetti e delle sensazioni a cui si riferiscono simbolicamente, al significato da noi esperito nel momento in cui ci è stato insegnato cosa comportano in termini emotivi.

Come dici tu, e come c’insegnano i cavalli e moltissime specie animali, il distacco è costruttivo, oserei dire indispensabile per la crescita di un individuo.
E qui hai centrato un punto importante che si collega alla mia vita ed al mio relazionarmi: non mi è stato inculcato il distacco con significato di crescita e benessere, maturazione ed autonomia, e questo perchè chi mi accudiva ne aveva il terrore: la paura dei distacchi a causa di vissuti propri ha limitato la conquista della mia indipendenza.
Nella mia famiglia qualcuno aveva il terrore di perdermi e, inconsciamente, mi ha allevata addestrandomi all’attaccamento, prima di tutto verso di sè, in modo da stringere silenziosamente un patto con me: quello secondo cui avrei attuato ogni possibile strategia pur di rispettare questo imperativo. Pur di rimanere dipendente anche crescendo anagraficamente.
In questo modo sono diventata affettivamente dipendente, prima di tutto nei confronti dei miei genitori.

Il problema sta nel fatto che se il distacco non è tramandato in maniera costruttiva, pedagogicamente è un errore drammatico.
Ci si trova così di fronte alla costruzione di una personalità fragile che non riesce ad affermare la sua autonomia, cosa che in verità è tra i primi diritti fondamentali di tutti gli uomini. Ma non è una cosa che si trova per strada, è una facoltà che va di pari passo, nella natura umana, alla costruzione del legame affettivo, sempre molto forte, con chi ci accudisce. Dipende da esso.

Il fatto è che l’uomo è molto più complesso degli altri animali e spesso agisce per paure che si rifanno a questa complessità.
Ma le nostre paure fanno parte della natura umana e secondo me l’unico atteggiamento da tenere è come sempre quello dell’accettazione.
(peraltro la paura dell’abbandono esiste anche negli animali, se esperita, e può essere anche per loro estremamente invalidante).

Per molte cose la nostra natura è animalesca ed è anche questo il suo fascino; ma d’altronde gli animali praticano ciò che noi chiamiamo incesto, quindi, secondo me, è vero che noi abbiamo spesso moltissimo da imparare dagli animali, ma il nostro modo di significare molte cose è differente.
Perchè i nostri legami, per moltissimi versi, sono differenti.
(mi scuso per aver abbreviato un argomento così complesso e delicato)

Sono comunque assolutamente sulla tua linea quando affermi che il distacco è altamente formativo e che costituisce un gesto d’amore.
Condivido nel modo più assoluto e questo dovrebbe essere uno degli insegnamenti più importanti da fornire quando si cresce qualcuno. Questo è ciò che ho imparato io.
Ma ho imparato anche che se non ti è stata fornita questa stessa risorsa, tu stesso sei dipendente e ti sai nutrire solamente attraverso la dipendenza. E’ difficile tramandare il significato formativo di un distacco se nessuno lo ha fatto con te e se non ne sei consapevole.

Io, che ne sono consapevole, voglio continuare su questa strada per conquistare su tutti i fronti la mia libertà.
Grazie ancora Robedamatti,
grazie per questo confronto
Yana

Ciao,

So che avete capito cosa intendessi dire e le vostre risposte lo dimostrano.
Io parlo sempre e solo delle mie sperienze e diciò che le stesse hanno significato per me.
Ho scoperto ,attraverso i cavalli ,che la relazione e l’intimità potevano concretizzarsi soltanto attraverso la verità che è il risultato di quello che si è in quel preciso istante (nel bene e nel male).
Verità nel senso di spogliarsi delle proprie maschere e strategie per mostrarsi nudi e crudi per quello che si è.
C’è molto rispetto verso coloro che hanno il coraggio di mostrare il fianco , la loro vulnerabilità, le loro paure perchè sono dimostrazioni di consapevolezza dei propri limiti ma è anche dimostrazione di grande coraggio perchè si è pronti a correre qualche rischio pur di instaurare una relazione. Il coraggio di osare con intenzioni ben riconoscibili senza finalità diverse da quelle che si palesano permette spesso l’abbassarsi di certe difese.
Detto ciò il mio vero problema con l’intimità lo associo alla sessualità.
In questo i cavalli sicuramente non possono essermi di aiuto.
Loro mi hanno permesso di scremare il mio atteggiamento da tutte quelle misere strategie che servivano a nascondere il nocciolo del problema.
Ciò su cui tanto puntavo era il vero tormento che mi portavo dentro.
Una parte di me rifiutava il sesso come intimità, come scambio d’amore.
Una parte di me non accettava di poter essere come coloro che usano il sesso per attuare le peggiori violenze.
Allora si è creata una frattura fra la mia parte istintiva che chiedeva soddisfazione, la mia componente emotiva che poteva accettare il sesso solo nella misura del piacere altrui, la mia componente razionale che andava alla ricerca della assoluta approvazione.
Conclusione:non sono mai riuscito ad entrare in uno stato di intimità vero nel momento in cui si avvicinava l’atto sessuale.
Non avevo mai pensato di avere questo tipo di problema anche perchè era un pò il mio cavallo di battaglia l’intesa sessuale.
Ma capivo sempre più nel tempo che l’affannosa ricerca dell’intesa non avesse niente a che fare con l’intimità.
Ora credo di aver individuato le cause profonde del mio malessere interiore,credo di sapere quale sia la mia meta ma ancora non so se mai riuscirò a giungere a destinazione. Lo saprò solo in futuro se avrò il coraggio di ricominciare come un adolescente che non sa o non ha capito niente dell’intimità sessuale.
Ho vissuto ultimamente delle storie che mi hanno permesso di capire che sò individuare la non intimità e che il sesso senza intimità proprio non mi interessa più.
Vorrei un giorno riuscire a stare con una donna regalandomi e regalandole anche il mio piacere senza sentirmi parte di quel genere maschile che usa il sesso per scaricare la propria aggressività o per trarre piacere a discapito di qualcun altro.

Un abbraccio a tutte
Confido

Robedamatti

Carissimo Robedamatti,
il tuo post mi ha toccata molto.

Mi sono ritrovata in molte delle cose che hai scritto.
Come te ho sempre pensato che l’intesa sessuale fosse un mio punto di forza, e forse in realtà lo era, nel senso che lo era appunto lo scambio sessuale, che però non aveva nulla a che vedere con l’intimità.
Ma l’ho scoperto solo tempo fa.
E’ difficile comprenderne per me le cause precise, è un aspetto delicato su cui sto lavorando adesso, ma, almeno in parte, è sicuramente associato alla paura dell’intimità di mia madre e più in generale dei miei genitori.

Questo aspetto ha complicato enormemente le mie relazioni, senza che io me nerendessi conto, e ancora adesso non è semplice spiegarmi.

Confondevo la libertà sessuale e l’intesa che ne scaturiva con l’amore, con l’intimità vera e totale, ma quando la fase iniziale della passione scemava (perchè evidentemente non sorretta da uno scambio davvero saldo), o quando l’altro tentava di entrare emotivamente più in profondità, sebbene fosse ciò che desiderassi, qualcosa scattava, come ho accennato qualche post fa.
Scattava perchè non potevo far coincidere dentro di me la parte istintiva con quella emotiva, non ero in grado di donare davvero me stessa attraverso la parte fisica. Era come se, in un certo senso, estremizzando una dinamicha che certamente non è stata così schematica ma piena di sfumature, una parte dovesse per forza escludere l’altra.
Altrimenti entravo in crisi.
Infatti le mie storie più disturbate erano perfette da un punto di vista sessuale e passionale, cosa che mi confondeva molto sulla loro “non funzionalità”.

Paradossalemente invece, la mia storia più lunga ed in cui credo di essere stata maggiormante rispettata e desiderata in modo totale, non funzionava sul lato fisico. C’era qualciosa che mi bloccava, che io non potevo accettare totalmente.

Tutte queste considerazioni mi erano impossibili allora, perchè nelle mie relazioni io costruivo inconsciamente il mio mondo emotivo e percettivo attraverso le scosse passionali, intese non solo come sesso, ma come emozioni forti in generale. “Meglio” ancora se l’altro aveva come me una difficoltà a lasciarsi andare, o qualche problema legato all’affettività ed all’intimità. In quel caso eravamo fatti “l’uno per l’altra”!
Questo probabilmente accadeva per poter equilibrare il mio handicap in fatto di intimità autentica profonda e per la paura che avevo di colmare questa lacuna perchè mi faceva sentire in colpa.
Ma avevo bisogno di sentirmi viva nonostante una parte importante di me fosse stata messa a tacere, e di esprimermi, ed ho trovato il mio modo perfetto di farlo.
Il tutto ovviamente in maniera assolutamente inconsapevole.
Io credevo davvero di donarmi e di ricevere in maniera completa ed intima.

Ti abbraccio
Yana

Ciao a tutti,

ho letto finalmente per intero tutto questo thread: veramente ricco di spunti riflessioni molto importanti.

Per quanto mi riguarda non avevo mai considerato di avere paura dell’intimità, ma credo, come è successo a Yana, che sia una mia paura tanto profonda, che soltanto ora riesco a percepirne lievemente il profilo in penombra.

Sono innamorata di una persona che si comporta in modo ambiguo: da un lato mi cerca, dall’altro si allontana infastidito a ogni mio tentativo di affetto, che sia un semplice bacio o una carezza al di fuori del sesso, perché a suo parere si tratta di gesti “intimi” che presuppongono un rapporto d’ “amore”. Ho sempre sofferto molto di questo suo comportamento, ma attualmente quel che mi sembra di percepire è solo una gran paura di intimità, di non lasciarsi in qualche modo “scoperto” su tutti i fronti. Questo è ciò che mi dico, perché se è vero che non mi ama, ed è quindi ovvio che lo infastidiscano particolare effusioni amorevoli, è anche vero che sono due anni quasi che va avanti questa pseudo-relazione.

Sono partita dal parlare del suo comportamento perché in relazione alla sua “freddezza” io mi sono sempre pensata come una ragazza pronta a donarsi completamente e a lasciar brillare le parti più intime di sé in una relazione sentimentale. Oggi ho capito che sbagliavo. Prima di tutto il mio essere molto affettuosa, al di là del fatto che sia di per sé qualcosa di bello, nel mio caso nasconde tutta una serie di problematiche e lacune affettive di vario tipo. Un amore non corrisposto mi permette/permetteva di continuare a vedermi in questo modo: semplice, trasperente, cristallina e capace di dare e ricevere amore in modo sano. No, non è così. Ho avuto una relazione sana durata a lungo, ma ripensandoci con più attenzione nel momento in cui siamo entrambi cresciuti, e forse le cose avrebbero dovuto prendere una strada di costruzione comune, mi sono allontanata e l’amore si è dissolto.

C’è un lato del mio carattere che ho sempre considerato assurdo: sono molto affettuosa solo con i miei “fidanzati” o pseudo-fidanzati. Invece il contatto fisico anche lieve o solo la vicinanza fisica di qualcuno che so essere interessato a me in qualche misura e che a me non interessa mi “infastidisce” molto. Mi infastidiscono abbracci da amiche o amici per i quali non provo attrazione fisica. Inoltre sono sempre stata molto fredda anche con i miei genitori, per cui spesso erano loro, anche quando ero più piccola, a cercare di abbracciarmi mentre io mi scansavo, un po’ come fa S. adesso con me…

Mi fermo qui perché ci sto ancora riflettendo, e/o forse ho anche un po’ paura a rifletterci, perché sento che c’è un nodo importante dietro questo mio atteggiamento.

Mi è piaciuto anche il fatto che si sia preso ad esempio il mondo animale. Nell’ultimo mese sono riuscita a “curare” una gattina di appena un mese: aveva pochissime speranze di riprendersi e invece ce l’ha fatta. Prendermi cura di lei mi ha fatto bene e continua a farmi bene. Nel guardare gli occhi sofferenti e spenti di quel piccolo animale mi sono resa conto di quanto noi esseri viventi, al di là della specie, siamo accumunati: quello era lo stesso sguardo di mia madre l’ultimo giorno in cui è stata a casa. Sembrerà assurdo forse, ma è stato un modo per cominciare ad elaborare il lutto di mia madre, perché è un miscuglio così denso di dolori che spesso non riesce ad uscire.

Forse ho scritto in modo confuso, ma è un argomento che non ho chiaro né razionalmente né emotivamente.

Vi mando un sorriso,
Elegys

Buongiorno Elegys!

” C’è un lato del mio carattere che ho sempre considerato assurdo: sono molto affettuosa solo con i miei “fidanzati” o pseudo-fidanzati. Invece il contatto fisico anche lieve o solo la vicinanza fisica di qualcuno che so essere interessato a me in qualche misura e che a me non interessa mi “infastidisce” molto. Mi infastidiscono abbracci da amiche o amici per i quali non provo attrazione fisica. Inoltre sono sempre stata molto fredda anche con i miei genitori, per cui spesso erano loro, anche quando ero più piccola, a cercare di abbracciarmi mentre io mi scansavo ” (Elegys)

Ecco, mi hai descrtitta!
Queste caratteristiche mi appartengono ed in effetti sono molto legate alla resistenza nel lasciarsi andare.
Evidentemente c’è stato qualcosa nel momento di costruzione d’identità che ha frenato l’ espandersi con naturalità.
Non dico che non bisogna creare e proteggere i propri confini, ma se si innalza un muro troppo alto e resistente, questo poi va ad intaccare anche le sfere che sono collegate alle sensazioni d’amore (inteso in senso lato..infatti si parla di anche di amici, genitori ecc..).

Mi ha colpita la frase sui tuoi genitori che ti cercavano e che tu scansavi, perchè questo è l’emblema del paradosso del rapporto genitoriale: sono proprio loro che ci educano a relazionarci ed il nostro modo di farlo è legato ai loro insegnamenti (consapevoli o meno), ma molto spesso da adulti (e non solo!) si confondono la causa con l’effetto. Ad esempio mia madre dall’adolescenza in poi ha spesso rimarcato questa mia tendenza a distanziarmi fisicamente, percependola semplicemente come una caratteristica del mio carattere “naturale”.
Lo capisco, è più o meno nella norma, se non si è a stretto contatto con le dinamiche descritte dalla psicologia, guardare gli atteggiamenti attraverso questa lente “distorta”. Tanto che anche io ho sempre pensato che questo mio modo di essere (che non ha nulla di “male” in sè, per carità) appartenesse solo a me, finchè poi non ho iniziato a guardare la vita e le relazioni sotto diversi aspetti, più consapevoli.

Oggi è emerso in modo feroce quanto questa mia chiusura affettiva sia legata strettamente a mia madre, sia per quanto riguarda il modello affettivo da lei propostomi, sia per quanto riguarda precise dinamiche che coinvolgono lei, mio padre e addiritttura mia sorella.
A volte i genitori non sono consapevoli di quanto stanno tramandando ai loro figli, e di quanto questi siano dipendenti da loro sotto l’aspetto relazionale.
Il modo di essere dei figli è l’effetto di due dinamiche molto determinanti nella strutturazione di un essere umano: l’imitazione e la reazione (ad altre dinamiche, modi di essere, atteggiamenti ecc..)

La questione sul mondo animale e sulle analogie e le differenze tra noi esseri umani e le altre specie è molto legata a questo aspetto.
C’è una grossa differenza che traccia una linea molto netta tra il nostro mondo ed il loro: a livello relazionale gli altri animali non sono così dipendenti da chi indica loro la strada.
Questo ha a che fare con il dna.
Nel loro, ci sono inscritti i codici necessari per muoversi nel mondo, mentre noi, per farlo, abbiamo bisogno di guide.
Se un gattino cucciolo viene lasciato da solo in una foresta, e non è ferito gravemente, riuscirà a sopravvivere e poi ad imparare quanto gli serve per vivere; un essere umano no.
Questo perchè gli animali si possono rifare all’istinto, mentre il nostro, biologicamente, non contiene informazioni tanto preziose.

L’essere umano impara quanto gli serve per vivere e sopravvivere attraverso l’interazione con gli altri -che per lui sono affettivamente significativi- (imitazione e reazione), quindi attraverso il suo “relazionarsi”, perchè il suo cervello non contiene alla nascita le informazioni necessarie per muoversi nel mondo, com invece accade alle altre specie.
Ecco perchè i nostri atteggiamenti e le nostre percezioni derivano direttamente da chi ci ha accuditi da piccoli e diventano poi quello che è il nostro personale ed automatizzato modo di vedere e vivere la vita.
Chiaramente non c’è nulla di male in questo, è la nostra natura, il nostro metodo di apprendimento, e sarebbe anche molto triste, secondo me, se tutti crescessimo indistinti, con le stesse prospettive e i medesimi atteggiamenti.

I “problemi”, secondo me, sorgono quando alcuni modi di vivere o di percepire il mondo non ci rendono giustizia e arrecano dolore ed insoddisfazione a noi stessi o agli altri.
E’ qui che c’è la possibilità, se si vuole, di “reinventarsi” in un certo senso, con la consapevolezza che certamente gran parte della nostra personalità è già formata e che è proprio da lì che si può partire. Imparando ad accettarla ed a convertire alcuni limiti in virtù.
A volte, per trasformare un problema in una caratteristica, basta solo accoglierla ed accettarla come tale, perchè molto spesso è il giudizio negativo (implicito od esplicito) dei nostri genitori che ci ha fatto percepire negativamente un modo di essere che ci appartiene, portandoci a reprimerlo ed a viverne sulla nostra pelle poi le conseguenze.

Le paure che ci accompagnano e che, aldilà di quelle comuni ed appartenenti alla “condizione umana”, sono differenti sia per tipologia che per intensità a seconda delle persone, non sono altro che paure apprese o reazioni a situazioni che noi abbiamo percepito come “allarmanti”.
Sono queste paure che stanno alla base dei nostri atteggiamenti di difesa, e che, quando sono eccessivi od inopportuni, ottengono l’effetto contrario, ovvero ci espongono alla sofferenza anzichè proteggerci.

Scusate se mi sono dilungata ancora sull’aspetto istinto animale/umano, ma trovo l’argomento molto affascinate ed interessante.

Un abbraccio a tutti.
Grazie ancora per gli interventi e i diversi spunti di riflessione che per me sono molto utili,
Yana

Cara Yana e cari tutti,
come al solito, mi inserisco in una discussione già matura, rischiando di dire cose già dette più volte da altri. Ma il tema è così importante, anche per me, che qualche parola sento di poterla spendere anch’io. Per me la mancanza di contatto fisico è forse l’aspetto che più di ogni altro ha condizionato tutta la mia vita, da quando ero neonato fino ad oggi. Ho imparato che “le persone non si toccano” fin da piccolissimo, e ricordo in modo chiarissimo un episodio di quando avevo tre anni, quando mia madre mi punì perché, per gioco, mi ero permesso di toccarle il seno. Da allora non l’ho mai più toccata e non le ho mai permesso di toccarmi, di guardarmi negli occhi o anche solo avvicinarsi a me. I bambini sanno essere di una crudeltà inaudita… e con mia madre io sono stato davvero crudele.
Inutile dire che anche con tutte le altre donne il mio comportamento è simile: se anche solo sfioro per sbaglio una ragazza, subito scatta la vocina interiore che mi dice: “maiale! la stai violentando!”.
Anni fa ho partecipato a un corso di evoluzione personale di gruppo, e il trainer, quando raccontai il mio problema, mi diede un compito molto speciale: per quattro giorni (tutta la durata del corso) avrei dovuto abbracciare continuamente le ragazze presenti. Inizialmente fu una tortura, ma dopo le prime incertezze, vedendo che loro erano ben disposte ad aiutarmi a “fare i compiti”, ci presi la mano (anzi, le braccia!) e mi piacque da matti! Per quattro giorni mi sentii veramente in Paradiso. Da allora qualcosa si è sbloccato e ora riesco a stabilire qualche contatto fisico senza troppi traumi, ma devo ancora convivere con quelle vocine accusatorie. Di strada da percorrere ne ho ancora tantissima.
Quello che più mi ha sorpreso leggendo questo thread è che spesso si parla di sessualità separandola dall’intimità vera. Io ho invece sempre pensato che l’unione sessuale fosse l’apoteosi dell’intimità tra uomo e donna. Non ho mai conosciuto il sesso (ebbene sì, sono un raro caso di maschio adulto vergine), ma ho sempre pensato che quell’emozione stupenda che provo quando ho un’occasione di contatto fisico con una ragazza fosse solo un assaggio dell’emozione che dà l’unione sessuale. Di certo posso dire che, per quanto mi riguarda, piacere sessuale ed intimità affettiva sono strettamente legati: se una bella ragazza mi abbraccia io provo entrambi, e li percepisco come due aspetti della stessa realtà, entrambi meravigliosi. Naturalmente, la mia è solo l’esperienza di un ignorante (di sesso e di affetti). Spero comunque di aver dato un contributo “originale” a questo thread.
Un abbraccio a tutte/i
Davjde

Ciao Davide,
grazie per essere intervenuto in questa discussione per me così importante.
Mi ha colpito ciò che hai scritto.
Le tue “vocine interiori accusatorie”, che hai già cominciato a combattere (complimenti per il percorso intrapreso!), si fanno sentire quando affermi che “i bambini sanno essere di una crudeltà inaudita” in riferimento al rapporto con tua madre.
Non voglio colpevolizzare tua madre, anche perchè, senza neppure incappare nell’estrema giustificazione, se ha assunto un atteggiamento così rigido e distante nei tuoi confronti, punendoti per avere espresso il tuo umano e naturale attaccamento materno di bambino, di certo questo deve avere delle origini. Che probabilmente hanno a che fare con l’intimità.
In ogni caso la responsabilità del messaggio che ti ha inviato e fatto interiorizzare, anche se fatto in buona fede, è sua e io non sono d’accordo sulla crudeltà dei bambini: essi rispondono per legittima difesa ed attraverso le poche risorse che hanno a disposizione, che sono quelle che conoscono e che apprendono attraverso i loro stessi genitori.
Anche io ho vissuto un disagio anche di tipo fisico con mia madre, che ancora oggi mi condiziona nel rapporto con lei, anche se si è manifestato in maniera differente dall’ esperienza che racconti qui.

Parli del rapporto tra sesso ed intimità.
Hai ragione quando dici che le due sfere sono strettamente collegate, difatti una condiziona l’altra.
Quando parlavo della loro scissione, mi riferivo al fatto che, parlando ad esempio del mio caso, se una persona contiene nel profondo la paura dell’intimità (magari nascosta, come nel mio caso per molto tempo), nel vivere l’esperienza del sesso ne è influenzata o limitata, anche senza saperlo. Non necessariamente rifiutando di viverne l’esperienza, ma anche vivendola senza in realtà concedersi emotivamente del tutto.
Nel mio caso, ed ho notato in quello di molti, qui e fuori di qui, mi sono resa conto di aver spesso confuso o fatto coincidere il sesso con l’intimità, nel senso che attraverso il sesso, anche forse per via dell’intensità delle sue sensazioni e della tipologia di coinvolgimento (fisico e molto invasivo) mi sono illusa di aver raggiunto la vera intimità, che invece probabilmente non ho mai sperimentato con un compagno.
Questo, nonostante le buone e sincere intenzioni, le convinzioni di saper amare, di sapermi condividere ed abbandonare, nonostante sentimenti ed emozioni molto forti, attrazione e quant’altro ed anche nonostante l’esperienza di una relazione lunga.
Il sesso, quando non è altro o “solo sesso”, è una delle componenti dell’intimità, o meglio ne è una delle modalità espressive e comunicative, ma da solo non costituisce intimità autentica.
Con questo non intendo dire che ho asetticamente vissuto solo esperienza di sesso, assolutamente, ci stanno mille sfumature in mezzo, anche molto intense, ma ad oggi mi sono resa conto che la condivisione reale tra due persone è cosa differente dalla passione e da ciò che ho saputo condividere, o comunque ha delle caratteristiche diverse, oserei dire “in più”, che si conquistano in tempi e modi differenti per ognuno, ma solo se c’è apertura.

Credo di avere personalmente sperimentato differenti tipi ed intensità di rapporti, ma credo anche di non essere mai andata oltre un certo punto, emotivamente, per paura e a causa di imperativi morali accusatori interiorizzati che mi hanno sempre limitata in questo senso.
Non mi hanno frenata sul alto fisico o relazionale in modo assoluto come tu racconti, ma non mi hanno comunque permesso di entrare in intimità. E quando è successo o stava per succedere ecco che suonava l’allarme e scappavo. Sono scappata in tanti modi differenti, ma sono sempre e comunque scappata.

Grazie per il tuo intervento, che fa riflettere, spero continuerai a confrontarti.

Un abbraccio Yana

Grazie a te Yana per i tuoi commenti sulla mia esperienza. Riguardo a mia madre, direi che c’è una “catena di dolore” che si tramanda dai genitori ai figli attraverso più generazioni: i miei nonni (genitori di mia madre) erano rigidissimi, rispetto a loro mia madre ha compiuto dei progressi ma non abbastanza da evitare di trasmettere a me quelle “vocine accusatorie”. Io sto cercando di compiere altri progressi e spezzare definitivamente quella catena di dolore. Se mai dovessi avere dei figli, certamente presterei un’attenzione speciale alla comunicazione affettiva, anche a livello fisico, perché ora so quanto sia importante.
Per il resto, vorrei dirti una cosa che sento leggendo i tuoi post, ma riguardo alla quale forse potresti rimproverarmi (se lo ritieni opportuno, fallo). Io penso che tu non abbia affatto il cuore chiuso. Se osservi la gente che popola le nostre città, i nostri luoghi di lavoro, di svago, di villeggiatura, ti accorgerai che la grandissima maggioranza delle persone ha il cuore molto, ma molto più chiuso del tuo. Le coppie per lo più si reggono su un compromesso, non sulla comunione dei cuori. Ciò che le tiene in piedi è un processo adattativo reciproco (del tipo tu soddisfi i miei bisogni, io soddisfo i tuoi, e andiamo avanti così). Le coppie in cui si realizza la fusione dei cuori sono davvero rare, così come sono rare le persone che hanno il cuore davvero aperto.
Tu hai condotto un’autoanalisi così serrata e approfondita da scoprire che non sei mai entrata in intimità profonda con nessuno… ma quante persone ci entrano? Dici che hai vissuto esperienze di passione, di trasporto affettivo molto potenti, ma che esse non sono ancora l’intimità piena. Ma non c’è il rischio che in questo modo tu ponga l’intimità autentica su un livello troppo alto, un livello che quasi nessun essere umano ha mai raggiunto? Forse sto dicendo solo stupidaggini, però leggendoti è questo il pensiero che mi sovviene… che tu sia troppo severa con te stessa e ti ponga un ideale troppo elevato. Scusami se mi sono sbilanciato troppo: contestami pure, se me lo merito.
Un abbraccio forte
Davjde

Ciao Yana,
ti sono molto grata per i tuoi contributi. Le tue parole hanno illuminato per un attimo il mio cammino che è spesso al buio, su strade ignote. Hai espresso benissimo ciò che sospetto da tempo..ho paura dell’intimità…Sono prigioniera di quell’infinita danza in cui se lui fa un passo indietro io posso farne uno in avanti e se viceversa lui fa un passso in avanti io devo necessariamente indietreggiare perchè è di fondamentale importanza che ci sia sempre tra me ed il mio partner quella certa distanza. Da qui la scelta di uomini sfuggenti, complessi, abbandonici, chiusi che mi garantivano LA GIUSTA DISTANZA…tutto sommato il mio specchio! Con loro mi sono sempre sentita maestra nell’amore, bravissima nel donarmi e VIVA!
Da un pò di mesi sto da sola. Tutto bene, tanta serenità ma sento che è solo un momento di riposo, che la lotta è altrove. Adesso vorrei vivermi una relazione per trasformare la danza, ma so bene che devo stare molto attenta alla scelta del cavaliere. Combatto quindi la mia forte attrazione per l’ennesimo uomo algido, combatto contro la mia voglia di fargli le moine, di farmi invitare al ballo delle emozioni, accolgo e cullo la mia bimba dentro che reclama la sua attenzione…perchè questo è un film arcinoto e ne conosco l’epilogo. E allora
perchè è ancora così forte in me la tentazione di lasciarmi andare, perchè ancora spero che stavolta le cose andranno diversamente?
Ti abbraccio
v_veronica07

Carissimi Davjde e Veronica,
grazie a voi per i vostri interventi, entrambi importanti e ricchi di verità.
Vi rispondo uno per volta.

Davide,
a parte il fatto che hai comunque il sacrosanto diritto di esprimere le tue impressioni e la tua opinione, hai centrato un punto che mi riguarda molto da vicino: IO SONO TROPPO SEVERA CON ME STESSA, sì.
Il punto è che è proprio questa rigidità rivolta a me stessa che ha creato la tendenza a mantenere le distanze..nel mio caso emotive.

Credo di capire quando parli di aspettative troppo elevate e questo in qualche modo mi riguarda, io pretendo sempre tanto da me stessa ed è uno degli aspetti che sto infatti affrontando in terapia.
Mi hai saputa leggere molto bene ed oltre le apparenze.
Sono d’accordo anche quando parli del fatto che la difficoltà nel raggiungere una vera “fusione” sia una cosa piuttosto diffusa.
In effetti, aldilà delle manifestazioni patologiche o di blocchi affettivi estremi, io sono convinta che il problema del lasciarsi andare sia quasi un vero e proprio “problema sociale”, in ogni caso molto diffuso e nello stesso tempo parecchio inconsapevole.

Si tende a dividere la normalità dalla non normalità, ma in realtà alcuni lati oscuri ce li hanno tutti, anche perchè, credo, nelle gnerazioni precedenti non era semplice nè ususale accedere a certe infomazioni riuguardo l’affettività e i suoi legami con la genitorialità.
Io credo che molte persone che vivono una vita o delle relazioni in qualche modo insoddisfacenti abbiano qualche legame con la paura di lasciarsi andare davvero, con intensità, modi ed origini differenti.
Questo perchè accettare di lasciarsi andare, e farlo in modo naturale ad un livello quantomeno sufficiente, corrisponde ad un buon livello di:
– accettazione di se stessi
– autostima
– accoglienza anche dei propri difetti o comunque della propria non perfezione
– convinzione di poter essere amati o “conosciuti in profondità”, e non necessariamente rifiutati, puniti od abbandonati, anche se si commettono degli sbagli ed anche se non si è, appunto, perfetti, e si contengono dei limiti

Le quali cose sono strettamente legate quando non addirittura sovrapponibili.
Quando non c’è una salda o sufficiente accettazione e stima di sè, concepire emotivamente di lasciarsi andare diventa ostico, se non addirittura impossibile.
Il punto è che ci sono tantissimi modi di frenare la maturazione di questi aspetti di sè da parte dei genitori, addirittura alcuni di questi nascono e pongono le basi, con i relativi effetti, durante la gravidanza, quindi individuarli è spesso difficile e colpevolizzare qualcuno è altrettanto spesso inutile quando non addirittura ingiusto.

Credo che molto spesso ci portiamo dentro delle convinzioni inconscie nate in tempi antichi che ancora oggi ci influenzano, anche se magari non hanno più molto a che vedere con la realtà e anche se oggi potrebbero potenzialmente smettere di opprimerci e guidarci, proprio perchè non siamo più oggettivamente i bambini indifesi che eravamo. Questo nonostante in tempi non sospetti possiamo averle realmente vissute o percepite.
In alcuni casi poi, da adulti, è anche possibile uno scambio, quantomeno razionale, su alcuni aspetti critici con i propri genitori; ma penso che finchè non si individuano bene i nodi che ci hanno bloccati su questi aspetti profondi e non li si affrontano di petto, il cambiamento rimane più difficile di quanto potrebbe essere.

Io pretendo tanto da me stessa, perchè in un certo senso si è preteso tanto da me in un età in cui non avevo le risorse necessarie per poterlo fare e allo stesso tempo ho vissuto in un ambiente familiare molto chiuso dal punto di vista affettivo. Questa situazione prolungata ha creato dentro di me degli scompensi molto forti di cui sono consapevole da poco e che hanno condizionato tutte le mie realazioni e che in parte ancora mi condizionano.

Vorrei però specificare una cosa che forse ho espresso male o non si è capita. Quando dico che vorrei arrivare a vivere una relazione serena in cui condividermi davvero, non lo dico perchè le sensazioni forti e le passioni che ho provato, condiviso e vissuto in passato non fossero “abbastanza” per me a livello di intensità.
Il punto è proprio che io non cerco più l’intensità estrema delle emozioni, anche perchè non sta lì il mio problema (anzi!), ma piuttosto voglio essere capace di emozionarmi all’interno di un rapporto tranquillo, sereno, soddisfacente, senza che, passata una certa soglia, io debba sentire dentro l’impellenza di fuggire.
Altrimenti passo la mia vita da nomade, anche da me stessa, e questo non lo voglio più.
Io scappo o mi allontano quanto più una persona si avvicina a me, davvero ed emotivamente.
Capisci che se mi accontento della mia modalità/capacità di relazione attuale (o passata..) non farò altro che vivere tante storie adolescenziali (quando non addirittura problematiche) senza darmi la possibilità di costruire qualcosa di solido?
Peraltro in passato la delusione rispetto al fallimento era doppia, perchè io ero convinta invece di sapermi dare e di saper costruire.
Quando arrivava la crisi, per me questo costituiva un vero e proprio shock perchè non riuscivo a capacitarmi del fatto che improvvisamente per me la condivisione costituiva un pericolo, un’incombenza, un disagio, piuttosto che un piacere.
Mentre se, come ben descritto da Veronica, era l’altro a fare un passo indietro o a mantenere le distanze, allora mi sentivo drammaticamente e perennemente rifiutata o abbandonata.

Tengo a precisare che queste sono analisi molto approfondite e che non è stato così semplice arrivarci e comprendermi: a me ed alla maggiorparte delle gente che mi circondava sembrava che io fossi un pò masochista, senza una vera ragione, o che semplicemente “non avessi ancora trovato la persona giusta”. Se quest’ultima considerazione è in un certo senso vera (la persona giusta), ad un certo punto è stato necessario iniziare a scrutarmi dentro un pò più approfonditamente e trasformare quello che ho interiorizzato sottoforma di colpe in responsabilità verso me stessa.

Yana

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

PAURA DELL’ABBANDONO, DELLA SEPARAZIONE

La mia sola consolazione, quando salivo per coricarmi, era che la mamma venisse a darmi un bacio non appena fossi stato a letto. Ma quella buona notte era così di breve durata, ella ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentivo salire… era un momento per me doloroso… Qualche volta, quando dopo avermi baciato, ella apriva la porta per andarsene, volevo chiamarla indietro, dirle “dammi ancora un bacio”, ma sapevo che subito ella avrebbe fatto il viso scuro, giacché la concessione che faceva alla mia tristezza e alla mia agitazione, salendo ad abbracciarmi, portando quel bacio di pace, irritava mio padre (…)

Abbandonai ogni fierezza verso Albertine, le spedii un telegramma disperato che le chiedeva di tornare a qualsiasi condizione, che essa avrebbe potuto fare tutto quello che avesse voluto, che io chiedevo soltanto di poterla baciare per un minuto tre volte la settimana prima che prendesse sonno. E se lei avesse posto come condizione una volta sola, avrei accettato anche una volta.

Marcel Proust – Recherche

ANGOSCIA – A seconda di tale o talaltra circostanza, il soggetto amoroso si sente trascinato dalla paura di un pericolo, di una ferita, di un abbandono, di un improvviso cambiamento – sentimento che egli esprime con la parola angoscia…

Lo psicotico vive nel timore del crollo. Ma “la paura clinica del crollo è la paura d’un crollo che è già stato subito… e vi sono dei momenti in cui un paziente ha bisogno che gli si dica che il crollo la cui paura mina la sua vita è già avvenuto”. Lo stesso avviene, a quanto sembra, per l’angoscia d’amore: essa è la paura di una perdita che è già avvenuta, sin dall’inizio dell’amore, sin dal momento in cui sono stato stregato. Bisognerebbe che qualcuno potesse dirmi: “Non essere più angosciato, tu l’hai già perduto(a)”.

Roland Barthes – Frammenti di un discorso amoroso – Einaudi

Sofferenza […] ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non può eludere quesi segnali di allarme che sono il dolore e l’angoscia, dal mondo esterno che contro di noi può infierire con forze distruttive inesorabili e di potenza immane, e infine dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza che trae origine dall’ultima fonte viene da noi avvertita come più dolorosa di ogni altra. (Freud, 1929)

Per colmare un vuoto devi inserire ciò che l’ha causato. Se lo riempi con altro ancor di più spalancherà le fauci. Non si chiude un abisso con l’aria. (Dickinson)

“Basta ricordare che siamo fatti d’acqua calda, che siamo soffici, liquidi ed elastici. L’abbandono è uno stato difficile a cui non siamo più abituati, perchè sempre ossessionati dal controllo a tutti i costi dei particolari.

L’abbandono invece è partecipazione alle pienezza, una forma di consapevolezza. Come dire: è così chiassosa la storia, nell’infinito silenzio universale, che è inutile aggiungere altro rumore.

Dunque è un prendere atto di esistere, di possedere braccia, dita e talento non nostri, di essere in possesso di un’identità che ci è data, così come tutto in noi e attorno a noi ci è donato, ci avanza, trabocca le nostre aspettative: nulla ci appartiene.

Allora ecco risvegliarsi in noi l’infantile stupore per ogni cosa, sempre nuova, sempre provvisoria. L’abbandono è una costante primavera, dove tutto continuamente nasce.”

(“la musica in testa” di Giovanni Allevi)

Ognuno si lascia dietro qualcosa che non va più d’accordo con la sua vita, senza che tuttavia abbia la sensazione di essere diventato più povero. D’altra parte esistono persone che non riescono a separarsi da nulla. Per paura di perdere le storie della loro infanzia le raccontano fino alla nausea ai loro interlocutori. Guai a lasciare in giro una parola dimenticata! Quelle persone muoiono tenendo in braccio lo stesso orsacchiotto con il quale sono cresciute. Si vede che l’orecchio mancante è stato aggiustato con affetto, però si vede anche che è stato aggiustato. M. Krüger, La violoncellista.

 

La paura della separazione, dell’abbandono accompagna la vita di tutti: da bambini abbiamo paura della separazione dai genitori, ma anche da adulti continuiamo a temere che le persone che amiamo ci abbandonano.

Per la psicanalisi la prima esperienza di separazione avviene al momento della nascita, quando ci si separa dalla “fusionalità” corporea con la madre. Ogni tentativo successivo di fusionalità coll’altro è un tentativo di riparare all’originaria separazione. Sarà proprio la figura materna, che durante il processo evolutivo, dovrà porre riparo a quella separazione originaria e far evolvere il proprio figlio verso un maturo svincolo dalle figure genitoriali. Se questo processo non avviene o avviene in modo ambivalente tutte le successive separazioni saranno estremamente dolorose.

Dietro la paura dell’abbandono c’è la paura della solitudine, ma anche qualcosa di più profondo: la paura di non esistere. Quando siamo amati da qualcuno abbiamo anche la conferma della nostra esistenza: la persona che ci ama ci fa sentire importanti ed amati, ma prima di tutto ci fa sentire che ci siamo. Nel momento in cui questo amore viene a mancare ci sentiamo smarriti e proviamo un senso di vuoto. Non è così per tutti, ma per alcuni la perdita dell’amato ha a che fare con la perdita di se stessi.

Per riuscire a vincere questa paura il primo passo è quello di ammetterla e riconoscerla.
Quando ci innamoriamo sopravvalutiamo l’altro, che ci sembra perfetto. In realtà trasferiamo sull’altro tutte le qualità che vorremmo avere noi. Ci costruiamo nell’altro un “noi stessi” perfetto. Nel momento in cui un rapporto finisce ci ritroviamo piccoli e di poco valore, ci sembra di non esistere o di non valere.
Per riuscire a vincere questa paura è necessario “strutturare” non stessi, di non riversare sugli altri le cose che non abbiamo e che vorremmo avere, ma di cercare piuttosto di costruircele dentro.
Il distacco, se ci ripensiamo a distanza, porta con sé anche aspetti positivi. E’ in realtà anche una fonte importante di riflessione. Quando lasciamo passare il tempo necessario perché la ferita si rimargini ci accorgiamo che il distacco è stata una ricchezza, che ci ha fatto crescere, ci ha fatto capire più cose, ci ha fatto vedere il mondo con altri occhi, ci ha offerto più opportunità.
Può quindi rappresentare uno stimolo verso situazioni nuove, di cui non dobbiamo avere paura.

C’è anche un altro lato della medaglia In alcuni casi la paura della separazione e dell’abbandono è così forte che si comincia a non volere più nessuno accanto, per evitare di essere abbandonati. Si tratta di persone talmente terrorizzate all’idea di essere abbandonate e di trovarsi incapaci di governare le emozioni, che preferiscono anticiparle. Se sono loro stesse a provocare il distacco, cioè, hanno la sensazione di poterlo governare meglio. Quindi, ad esempio, ci sono soggetti che, per non subire la frustrazione e il dolore di essere lasciati, preferiscono lasciare per primi, anche se la relazione non presenta particolari problematiche.

In ogni caso concordo con l’affermazione di Barthes che la paura della perdita e come fosse una perdita già avvenuta, perchè non permette di vivere il qui ed ora della relazione, ma proietta quest’ultima nel passato abbandonico ed in un futuro simile.

Infine la paura dell’abbandono, della perdita dell’altro ha anche un altra faccia: la paura che l’amore emerso dal nostro inconscio, possa andare via così come è arrivato.Quindi perdita non intesa come perdita dell’altro, ma perdita dell’amore che si prova.

DISTURBO D’ANSIA DI SEPARAZIONE

I criteri diagnostici per il Disturbo d’Ansia di Separazione sono i seguenti:

Ansia inappropriata rispetto al livello di sviluppo ed eccessiva che riguarda la separazione da casa o da coloro a cui il soggetto è attaccato, come evidenziato da tre (o più) dei seguenti elementi:

  1. malessere eccessivo ricorrente quando avviene la separazione da casa o dai principali personaggi di attaccamento o quando essa è anticipata col pensiero
  2. persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo alla perdita dei principali personaggi di attaccamento, o alla possibilità che accada loro qualche cosa di dannoso
  3. persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo al fatto che un evento spiacevole e imprevisto comporti separazione dai principali personaggi di attaccamento (per es., essere smarrito o essere rapito)
  4. persistente riluttanza o rifiuto di andare a scuola o altrove per la paura della separazione
  5. persistente ed eccessiva paura o riluttanza a stare solo o senza i principali personaggi di attaccamento a casa, oppure senza adulti significativi in altri ambienti
  6. persistente riluttanza o rifiuto di andare a dormire senza avere vicino uno dei personaggi principali di attaccamento o di dormire fuori casa
  7. ripetuti incubi sul tema della separazione
  8. ripetute lamentele di sintomi fisici (per es., mal di testa, dolori di stomaco, nausea o vomito) quando avviene od è anticipata col pensiero la separazione dai principali personaggi di attaccamento.
  1. La durata dell’anomalia è di almeno 4 settimane.
  2. L’esordio è prima dei 18 anni.
  3. L’anomalia causa disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, scolastica (lavorativa), o di altre importanti aree del funzionamento.
  4. L’anomalia non si manifesta esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, di Schizofrenia, o di un altro Disturbo Psicotico e, negli adolescenti e negli adulti, non è meglio attribuibile ad un Disturbo di Panico con Agorafobia

Dott. Roberto Cavaliere

TESTIMONIANZE

mariate Età: 52 Sono una donna di 52 anni vivo sola dopo la rottura di una penosa convivenza durata ben sei anni anni in cui mi sono occupata principalmente di mia madre malata di Alzheimer, ho incontrato ahimè un altra persona, ma da quando lo conosco la mia già non buona situazione condizionata da un gran senso di solitudine che io ho comunque gestito bene creandomi molte occasioni per uscire di casa e qualche nuova amicizia, è molto peggiorata. Premetto che svolgo un lavoro di responsabilità sono un avvocato e dirigo un settore di un certo rielivo all’interno della struttura dove lavoro. Sono sempre stata instabile nei miei rapporti affettivi e penso anche questa volta di essere arrivata alla conclusione della mia storia dalla quale ne uscirò sicuramente umiliata e soprattutto molto sola. Ho tanta paura ed ho bisogno di aiuto. Il mio attuale “fidanzato” così lui si definisce secondo me mi aggredisce psicologicamente con continue critiche alla mia persona ed al mio carattere. Non saprei da dove inziare ma alcune amiche che a causa di questa storia hanno poi deciso di tagliare i ponti con me mi hanno messo sull’avviso che secondo loro aveva un carattere psicologicamente disturbato.Mi sento circondata dalle continue critiche di tutti o sono io che esagero? Non mi sento amata ed ho una grande paura di essere sola e abbandonata e rifiutatada tutti. Sono stata in analisi anni fa e certe problematiche si erano risolte ma ora sono nella merda a cinquanta anni una donna sola non può e non sa più come vivere.Non so se è giusto e se devo trovare la forza di troncare questo rapporto soprattutto perchè da un momento all’altro potrebbe farlo lui con ulteriore senso di fallimento per me, e soprattutto perchè si apre un baratro di solitudine immensa in cui ho paura di sprofondare. Se provo a cercare qualche amica ricevo rifiuti incomprensioni o aggressività, un’aggressività che non so esprimere con nessuno tranne che al lavoro dove ho imparato a gestire ben 30 persone senza problemi così nella vita ma quando si tratta di amici parenti e fidanzati la paura di non essere amata o di perdere l’amore e la stima delle persone che mi circondano combino dei disastri bestiali. Ho paura che lui mi voglia lasciare sono disperata.

Età: 30 Anche stamani mi sono svegliata con le lacrime agli occhi: nessun messaggio da lui che è lontano per lavoro.
Sto male,dottore,male davvero, perchè vorrei che fosse più presente, perchè ogni volta ho paura che tornando a casa pensi a me e non mi voglia più vedere. Mi rovino la mente nel fare castelli in aria sui suoi presunti tradimenti: pensi stanotte l’ho anche sognato, ed era la stessa scena che avevo vissuto,però realmente, col precedente fidanzato.
Mi aiuti,sto male,non voglio rovinare questa storia.Lui dice di volermi bene,tanto, e che anche quando non c’è deve bastarmi la consapevolezza del nostro amore. Dico di sì:ma poi da sola mi consumo di paure,tristezza,insicurezza,rabbia…
Perchè è così? Cosa rincorro,perchè a me l’amore non basta mai,perchè non mi fido…perchè? Perchè?
Dare la colpa ad un padre assente? Ad una mamma soffocante,ma infantile? Alle “attenzioni” di un parente,troppo “premuroso”?
Non lo so,so solo che vivo male ogni legame affettivo,vivo col terrore dell’abbandono e per questo passo da un letto all’altro,perchè sto bene solo nella fase iniziale della storia,quando si pensa che mai finirà…per quello strano gioco di ormoni ed endorfine! Ma poi,quando si consolida il rapporto,via che si ripiomba nel vortice; allora due alternative: lasciare o ossessionare per farsi lasciare.
Ma questa volta no,voglio che duri,voglio conoscere davvero questa persona,non voglio scappare. Come posso riuscirci?
Cavolo, anche adesso sto piangendo come una vite tagliata,sto male dottore,mi aiuti, non riesco più a vivere: sono due persone,davanti a lui la persona ragionevole che capisce i problemi di un’azienda in crescita,da sola una persona fragile che guarda compulsivamente il telefono e piange perché “lui non pensa a me perchè chissà con chi starà facendo l’amore adesso”.
Ho paura non voglio distruggere la mia vita,non voglio distruggere questa storia.
Mi aiuti,per favore, due parole per dare luce a questo buco nero di paure e pensieri.
E poi: se mi lasciasse? Morirei? No…lo so,ci sono già passata,ma è proprio l’idea dell’abbandono che mi fa morire dentro al solo pensiero di passarci ancora in mezzo. Mi aiuti,voglio iniziare a star bene. Grazie.

COMMENTI

Cara amica ti capisco perchè ci sono passata anch’io.. Ho la tua stessa età e per dieci anni sono passata da un fidanzato all’altro senza stare sola neanche un giorno per il terrore di stare sola. Poi negli ultimi due anni sono stata sola passando anch’io da un letot ad un altro ed ero molto più serena e tranquilla. Adesso mi sto nuovamente affezionando ad un altro ed ho le stesse paure.. Il segreto di “l’importante è non pensarci” e capovolgere la frase in “Posso stare con te e senza di te” è altrettanto una buona idea.. nel frattempo tu hai avuto qualche novità?

Sono stata fidanzata con un ragazzo per 4 anni,tra romanticismo,bugie,dolcezze,tradimenti(suoi),passioni travolgenti. 
Quando è finita questa storia mi sono sentita morire dentro.Da allora sono passati 9 anni lui ha avuto diverse storie “serie”,io invece storielle senza impegno o il sesso di una notte.Non abbiamo mai smesso di sentirci anche se non con una frequenza giornaliera ma,come si usa dire,ogni morte di papa.Negli anni siamo stati insieme tra la fine di una sua storia e l’inizio di una nuova.Io non sono mai riuscita a creare qualcosa di vero con un altro uomo.Mi sono sempre data la colpa per lui e per chi è venuto dopo d’essere io quella sbagliata,quella che non merita d’essere amata e che deve ringraziare Dio se di tanto in tanto qualcuno si interessa anche solo per una notte.Mi sono resa conto che legarsi significa rischiare di perdere,d’essere lasciati soli eppure il meccanismo che ho innescato gioca proprio su questo.Ci sarebbero tante cose da dire per definire la mia storia ma la cojnclusione è una sola…mi sento sola,vuota,mi sento come se non valessi un soldo bucato ma non lo dico ad amici o parenti per non sentirmi definire”vittima”.Gli anni dalla chiusura di quella storia sono passati sopportando un dolore immenso e profondo che non mi lascia respirare.

riferito al commento sopra: forse hai solo scelto di idealizzare qualcosa per paura di scegliere.

anche io sono stata innamorata ed ho idealizzato tanto una persona ma, consapevole di non poterla mai avere, ho preferito avere le mie storie.. continuando solo a sognare questo Luca..

Ti auguri con tutta me stessa che tu trovi un pò di serenità.Perchè anch’io ho i tuoi stessi problemi.Ho 24 anni e passo da un ragazzo all’altro ormai da 10 anni senza rimanere mai sola e con tutti i ragazzi che ho avuto ho sempre avuto l’ossessione di essere lasciata.Adesso sono sola da 2 mesi e vado da uno psicologo.la mia vita è un inferno perchè ho capito che non stando mai sola non ho mai avuto il tempo di pensare seriamente a me stessa e ad amarmi per ciò che sono e adesso ho paura perchè mi sento sola.

Anche io sono nella stessa situazione. Ho 24 anni e in tutte le mie storie passate ho sempre avuto una paura folle di essere lasciata…l’ironia è che è sempre stato questo atteggiamento a portare il mio lui a lasciarmi. Ho riflettuto molto su questa situazione e mi sono chiesta più volte come uscirne. Una volta messo a fuoco il problema (io non ero consapevole di questa mia sindrome da abbandono fino a poco tempo fa) bisogna lavorarci sopra, è un lavoro duro ma fatto con uno slancio positivo darà i suoi frutti. Dobbiamo convincerci che abbiamo dentro di noi il valore necessario per vivere bene e felici anche da soli, che volendo attaccarci agli altri per sentirci protetti distruggiamo noi stessi e la relazione a cui teniamo. Per poter costruire un legame sano dobbiamo riuscire ad riappacificarci con noi stessi, coltivando la nostra autostima e le cose che amiamo, concedendo ai nosri bisogni il ruolo importante che gli spetta e accettando i nostri limiti. Cara amica, la felicità non ti potrà mai essere data dall’amore di un’altra persona, sei tu che per prima devi iniziare ad amare e rispettare te stessa. Spero che tu riesca a superare l’angoscia e la paura, hai la forza per farlo!
Ilaria

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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I MIEI FIGLI VOGLIONO UNA MAMMA NORMALE (discussione tratta dal forum)

Ho 50anni ,sono mamma e ora anche nonna; sono sarda e vivo il legame affettivo con i figli con un po di conflitto: non per il giudizio che gli altri possomo esprimere verso le mie azioni,quanto per le risposte che quelle azioni producono sui figli.E’ come se non sapessi mai che cosa è meglio fare,non solo per loro ,ma per me stessa: il messaggio è chiaro? che messaggio sto dando? quanto sono egoista?io vi dico che quando ho iniziato a dire ai miei figli: “d’ora in poi vi occuperete del vostro letto”, poi ” d’ora in poi vi occuperete della vostra stanza”, “d’ora in poi vi occuperete della vostra biancheria”, e per finire “d’ora in poi vi occuperete della vostra cena”,ho vissuto momenti di timore come se provassi un non amore verso i miei figli quasi fossi cattiva nei loro confronti,ma contemporaneamente mi dicevo :”devono imparare a gestire poco per volta la loro vita,anche perche’ prima di tutto devono imparare ad essere autonomi e poi anche indipendenti, e : se io non ci fossi ?.e pero allo stesso momento mi chiedevo se non stessi esagerando.Comunque la cosa è andata avanti, i miei figli vorrebereo UNA MAMMA NORMALE . sembra una non dipendenza affettiva ma secondo me lo è ma senza sfiorare la malattia, altrimenti non mi porrei la domanda sul mio egoismo.Far fare loro le cose loro mi ha donato quello spazio che prima non avevo perche’ impegnata quasi 24 ore su 24.Preciso che quando ho messo in campo cio che ho descritto ,una figlia aveva 16 anni e gli altri 12. grazie a chi ha creato questo forum
difficile risponderti, specialmente per chi, come me, è figlio ma non genitore……… secondo me nei rapporti tra genitori e figli c’è un aspetto materiale e uno affettivo…. tu hai deciso che dal punto di vista materiale i tuoi figli devono essere più indipendenti possibile.. e questo mi sembra anche una cosa positiva…. ma dal punto di vista affettivo ? … con la scusa che devono essere indipendenti sei anche assente dal punto di vista emotivo ? li allontani materialmente per non averli vicini sentimentalemente ?
secondo me è questo che dovresti chiederti, come sono emotivamente verso i miei figli ? loro vogliono una mamma normale nel senso che vogliono qualcuno che cucina e lava il bucato o vogliono una mamma che li ami ? nel primo caso forse hai più ragione tu, nel secondo loro…….. spero di esserti stato utile almeno un pochino ciao Enrico

Ciao, io sono ancora solo figlia ma se avessi dei figli vorrei abituarli fin da piccoli come hai fatto tu!
Renderli autonomi non significa togliere loro qualcosa, ma renderli migliori!
Nella mia famiglia io e mio fratello siamo stati cresciuti ed educati in maniera differente perchè lui maschio ed io no che scemenza!
Io però nonostante tutto non ho mai provato gelosia ho un rapporto molto tranquillo con entrambi ma ho giurato a me stessa che un giorno quando avrò dei figli saranno uguali e dovranno fare le stesse cose dovranno diventare responsabili, l’unica cosa che cercherò di dare loro sempre sarà il mio appoggio, e il mio amore! Per il resto vorrei essere esattamente come te! saluti lella

ciao lella e grazie per cio che mi dici,nonostante tutto fa sempre piacere(è come ricevere un coccola)sapere che c’è chi condivide e comprende cio che faccio.pergiunta da una figlia ,mi fa ancor piu tenerezza e mi sono commossa.a volte è difficile capire i figli anche perche si sta vivendo oggi una realta molto ma molto diversa da queela che posso aver vissuto io.non cambiano solo le cose che i figli possiedono, cambia sopratutto il modo di relazionarsi con le persone in genere.anch’io ho vissuto il gruppo, la forza del gruppo,l’appartenenza ad una ideologia,ma ci si chiedeva fra noi cosa volevamo fare come ,partire ,scoprire il mondo. oggi ,spero di sbagliarmi,io non riesco a sentire l’entusiasmo per la scoperta,la voglia di andare,vedo piuttosto un attaccamento esagerato per pc e tv, e una mancanza di sogni;sognare è ed era per me lo stimolo ad andare avanti,spingersi oltre le regole,con l’incoscienza e l’irresponsabilita che trovo sano si debbano vivere.oggi si confonde tutto, la voglia di non fare niente perche tanto c’è mamma che ti mantiene,passa come depressione da mancanza di lavoro(io non ci credo,ma questa discussione è molto piu ampia per farmi capire in poche righe) e poi i ricatti morali(mi sento diverso dagli altri)e quantaltro ti viene in mente,e io a spiegare a cercare di far capire che non è importante avere 5 paia di scarpe o la giacchina firmata o gli occhiali con la doppia stanghetta, che è importante la persona per quello chè ,per la sua disponibilita,per il suo sostegno,per l’essere presente quando un amico ha bisogno di te ma,girala come vuoi i miei figli vogliono una mamma normale,di quelle forse che sono sempre presenti tutte le volte che loro ne hanno voglia anziche dire : ” voglio leggere questo libro,per favore un po di silenzio”oppure far chiedere loro se una reazione da parte di un amico si è determinata per una loro azione nei suoi confronti, e loro a dirmi che io metto sempre in discussine loro e mai gli altri e……ti giuro,i figli sono una meraviglia, ho giacato con loro,ho sofferto con loro,ho gioto con loro, e non mi pento neppure un attimo della scelta che ho fatto,ma ,ti giuro, a volte sono sfinita,ancora adesso ,quando vado a dormire non posso fare a meno di dare uno sguardo dentro la loro stanza e mi sento gli occhi riempirsi di lacrime, e pensare ,nonostante tutto per ,oro è comunque difficile ,e io devo aiutarli a essere forti in questa società/giungla. ti abbraccio forte e spero e ti auguro tu possa realizzare i tuoi sogni

TESTIMONIANZE PROBLEMATICHE AFFETTIVE VERSO I GENITORI

“I vostri figli non sono figli vostri. Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benchè vivano con voi non vi appartengono. Potete donare loro amore, ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro pensieri. Potete rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno. Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: la vita procede e non s’attarda sul passato. Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti. L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi tende con forza affinchè le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell’arciere; poichè come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell’arco.” KHALIL GIBRAN

 

HO SEMPRE CERCATO L’AFFETTO DI MIA MADRE

Salve mi chiamo Sabrina ed ho 29 anni. Per la prima volta oggi ho letto alcune storie in questo sito e mi è venuto da piangere perché mi ritrovo un pò in ognuna di esse. Cioè per capire meglio bisogna partire da mia nonna… La mia è una famiglia unita per certi versi io voglio bene a loro ma allo stesso tempo provo una rabbia infinita. Tutto inizia da mia nonna o almeno così è per i miei ricordi. Mia nonna è una despota, lei non da affetto o almeno lo da a modo suo cioè tramite i beni materiali, pensa che cucinare, lavare o stirare sia segno di affetto.. Non che dispiaccia ma non è sicuramente affetto.Sta di fatto che questo modo di fare si è trasferito su mia madre e mia madre lo ha fatto a me. Ho una sorella più grande di 3 anni ma lei non è trattata allo stesso modo ed è lo stesso tipo di relazione che vedo tra mia madre, mia nonna e mia zia. Non che mia nonna sia molto affettuosa con mia zia ma sicuramente lo è di più che con mia madre e la stessa cosa accade tra mia madre, mia sorella e me. Oggi ripensavo al perché mi sento rifiutata e sono risalita ad una cosa che mi disse mia madre quando ero piccola, io sono nata 29 anni e 2 giorni dopo il suo compleanno. Il giorno del suo compleanno lei doveva andare a cena fuori con papà ma il dottore la ricoverò perché dovevo nascere a breve e mia madre mi raccontò che pianse perché non voleva andare in clinica il giorno del suo compleanno. Io mi ricordo che le chiesi “mamma ma non eri felice che stavo per nascere io?” lei mi rispose “sì sì” ma non lo disse conconvinzione. Sono cresciuta con la convinzione di essere sbagliata io, di aver fatto qualcosa di male. Tra l’altro mia nonna ha sviluppato un metodo perverso di far sentire in colpa le persone esempio se uno va fuori a cena per lei è una cosa abominevole, perché lei cucina per tutti (mia nonnna abita al piano di sotto), è stata e sarà sempre invadente nella nostra vita, non ha rispetto della privacy della nostra famiglia e questo tipo di metodo perverso l’ho visto anche fare a mia madre proprio su di me…io ero e sono la pecora nera. Mi sarebbe piaciuto andare all’estero a studiare l’inglese ma mia madre mi ha fatto sentire in colpa. Diceva che il la facevo sentire una cattiva madre perché volevo imparare a gestirmi da sola. Con l’andare del tempo il nostro rapporto è peggiorato.. io mi sento sempre sotto accusa da parte sua, mi sento sempre mortificata. Mi rendo conto che anche io ho fatto degli errori, ma chi non li fa? Mi rendo conto che quando si è più piccoli non si pensa al futuro alle cose; in passato ho fatto l’errore di non mettermi nulla da parte però piano piano son riuscita a capire che era ora di fare qualcosa per me, mi sono messa da parte dei soldini ed ho dato l’anticipo per la mia macchina nuova. La cosa che mi dispiace é che lei non mi ha incoraggiato dicendomi “ok hai capito il nostro insegnamento per il futuro” ha puntato il dito urlandomi contro “no non hai capito un tubo se avessi inziato anni fa a quest’ora potevi comprartene 3 di macchine”. Sicuramente ha ragione sul fatto che io ho sbagliato ma mi sembra di aver fatto un miglioramento…ma a lei non basta mai.. Io per lei non sono abbastanza brava, non sono abbastanza intelligente, non sono abbastanza carina, sono una fallita perché ha 29 anni non sono sposata mentre lei alla mia età aveva già due figlie ed inoltre il fatto di avere un lavoro a tempo determinato per lei è un conferma di ulteriore fallimento, io sono una perdigiorno, una cattiva ragazza perché mi piace uscire la sera mentre le brave ragazze escono solo il sabato e con i propri fidanzati.Ho fatto due anni di psicoterapia dopo un periodo di forte depressione, un periodo in cui avevo tentato il suicidio, ed un pò della mia autostima è migliorata, il mio distacco da lei è parzialmente avvenuto anche se quando litighiamo riaffiora tutta la rabbia che ho. So di valere, non è vero che sono una pecora nera, solo perché mi piacciono delle cose diverse dalle sue non significa che siano sbagliate ma mi rendo conto che non sono riuscita a staccarmi completamente. Il mio corpo è spaccato a metà. Ho problemi con l’alimentazione e non solo, mangio soprattutto quando sono nervosa, mangio per sopperire a quella mancanza di cui soffro, quelle rare volte che stiamo in pace lei mi compra le cose ed io dentro di me penso che invece vorrei un semplice abbraccio.Mangio per spegnere quell’ansia che mi avvolge perennemente, mi sveglio la mattina col cuore a 3000, faccio fatica a respirare, mi sento spesso stanca ed ho delle vampate di calore improvvise. Nel giro di un anno ho messo su 20 kg e mi sono rinchiusa in me.Da un mese a questa parte ho deciso di rimettermi a dieta sono andata da un dottore che mi sta seguendo anche se penso che per guarire il fisico prima bisogna guarire l’anima. Cioé in parte mi rendo conto di aver fatto dei progressi, che so di valere, che so di non essere come mi dipinge lei, so di meritare, so che ho dei difetti e che si possono migliorare ed in fondo penso dio disse “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, ma non penso di essere un mostro allora perché ogni volta che litighiamo si attiva quel meccanisco perverso capace di annullare le mie difese e di farmi sentire una nullità? Solo dopo che sfogo la mia rabbia riesco a vedere le cose con lucidità e a dire a me stessa no non è così oppure ok ho sbagliato ma posso rimediare… perché lei punta sempre e solo il dito senza vedere un minimo di buono di bello? In vita mia mi sono sempre sentita inferiore, mia sorella era più brava, era più bella, più intelligente, lei frequentava il liceo mentre io solo un istituto tecnico. Ed ora? Ora lei è sposata da 10 anni, hanno adottato un bambino che adoro ma di cui allo stesso tempo sono gelosa perché lei da a lui tutte le attenzioni e tutte le gratificazioni di questo mondo. Si sono gelosa di mio nipote. Io non mi reputo una fallita perché non ho un figlio, sinceramente non mi sento pronta ad avere una famiglia o forse ho semplicemente paura che il rapporto perverso si possa ripetere, sta di fatto che sono incappata come tutti in storie amorose in cui io davo pur di essere accettata perché dentro di me pensavo dare = ricevere, invece non è così. Ho sempre cercato l’affetto di mia madre in altre persone e quindi i rapporti con l’altro sesso erano un disperato bisogno di affetto, da quando sono andata in psicoterapia sono riuscita ad amarmi un pò di più e a non traslare sui rapporti amorosi la mancanza di affetto di mia madre, ma ancora oggi ho difficoltà col cibo, sto seguendo la dieta ma a volte ho dei raptus di fame notturna ed inoltre quest’ansia terribile che non mi lascia mai. Insomma come posso fare ad avere un rapporto più sereno con me stessa? Come faccio a tagliare definitivamente questo cordone ombelicale? Grazie mille e scusate per le troppe parole

MARITO E PADRE

Gianluca Età: 25 Sono un ragazzo di 25 anni e mi sento molto legato all amia famiglia. Mio padre (65 anni) però sta diventanto sempre più nervoso, litiga sul lavoro e con amici ma soprattutto in casa. Mio fratello lavora con lui (ed è un ottimo ragazzo) ma quello che fa non va mai bene, dice anche alla gente che non è capace di lavorare e non impara niente. Inoltre da quando si è sposato mio fratello non ha mai accettato sua moglie (lei ha sì più carattere di mio fratello ma posso garantire è una bravissima ragazza) dicendo che lui fa tutto quello che vuole lei. Con me si arrabbia per cretinate, l’ultima volta davanti ad amici di famiglia, rinfacciandomi che ho più dei miei amici ecc… Io non ho nessun vizio, non sono mai stato richiamato, non ho mai avuto problemidi nessun genere, non vesto firmato e non sono spendaccione e spesso quando sono in discoteca, a 25 anni, devo chiedere ai miei amici di tornare a casa per paura di tornare troppo tardi ed essere richiamato. Ad essere sincero sono arrivato al punto che devo fare le cose prevedendo di che cosa si potrà lamentare di lì a poco perché non gli va mai bene nulla, e non è un bel vivere. Ma la cosa tragica è che ad ogni litigio accusa mia madre, dice che noi non gli portiamo rispetto per colpa sua, se facciamo una cosa che non gli va bene è colpa sua…e noi non facciamo mai nulla di male, e mia madre è una santa perché manda giù in silenzio tutto quello che dice. Ultimamente sta andando inpensione e, credo, gli roda anche il fatto che io e mio fratello siamo diventati autonomi, non abbiamo bisogno di lui, se si litiga, neanche per isoldi. Lui è sempre stato felice del fatto di essere indispensabile per tutto (mia madre non lavora) e ad ogni occasione ci rinfaccia il fatto di essere benestante. E quando litighiamo è arrivato al punto di dire che vogliamo che muoia (ha avuto problemi di cuore e quando si litiga si infuria letteralmente). Ad ogni modo ultimamente è diventato sempre più difficile portare pazienza, si arrabbia per tutto e minaccia di andare a stare via (ha investito in unappartamento da restaurare per farne una compra-vendita e minaccia di andare a stare là. Ho pensato che potesse avere un’amante… in passato può darsi che abbia avuto qualche scappatella, ma negli ultimi anni è uscito sempre meno la sera e adesso non esce quasi più…non so quindi dire…Io non so che fare, se fregarmene o cosa, vorrei solo che fosse sereno e non avrebbe nulla da lamentarsi: non ci sono problemi economici, ha una moglie perfetta e 2 figli che sono bravi ragazzi e che non hanno mai dato problemi…

DIPENDENZA AFFETTIVA VERSO MIA MADRE

Caro Dottore, sono un paio di giorni che sono venuta a conoscenza del vostro sito e del vostro lavoro. Ho 36 anni, sono un’insegnante di scuola media e mi sto specializzando nel sostegno ai ragazzi diversamente abili. Credo, anzi ne sono sicura, di soffrire di dipendenza affettiva, prima di tutto nei confronti di mia madre. Sono l’ultima di 4 figli, nata quando mia madre aveva quasi 40 anni, e nata nel periodo in cui mia madre veniva a conoscenza di una situazione lavorativa ed economica a dir poco disastrosa di mio padre.
Ho risentito fortemente, fin da piccolissima, del fatto che, “se se ne fosse accorta prima, non avrebbe concepito il terzo figlio”.
Sono cresciuta in maniera triste, ricordo il mutismo e lo stato di tensione dei miei, mio padre a volte urlava, mia madre piangeva in silenzio, la vedevo tutta rossa in viso e, se chiedevo spiegazioni, mi si rispondeva in maniera evasiva.
Avevo paura di questi stati di tensione violentissima, violentissima dentro di me, almeno, perché la maggior parte delle volte, evitavano di discutere per non turbare noi bambini, senza sapere che i bambini capiscono la tragedia anche da un semplice dettaglio.siamo sempre stati ritenuti una famiglia modello, di livello medio-alto, la nostra situazione economica è sempre dovuta rimanere all’interno delle mura domestiche, niente doveva trapelare, nessuno doveva sapere,e per ottenere ciò, si doveva vedere meno gente possibile. Ogni volta che volevo andare a giocare o studiare a casa di qualche compagna di scuola, si cercava una scusa per non mandarmi oppure mi veniva dato il permesso ma in un alone di mistero e dubbio. insopportabile!
Ricordo la mia infanzia con un papà sempre preoccupato e frettoloso ed una mamma rigida e sempre assorta nei pensieri, preoccupata, lo è anche adesso, di dover far fronte a tutte le necessità domestiche, limitate dal suo lavoro di impiegata statale. Non ha mai frequentato amiche, l’unica persona che veniva a
trovarci era la sorella di mio padre che, conoscendo la situazione, cercava di portarmi via per due tre giorni e farmi “respirare” un po’ nella sua casa di campagna, con il suo cane. E’ morta prima che potessi dirle grazie dei momenti di serenità che mi regalava; avevo 13 anni.
La mia adolescenza si è manifestata come quella di tante altre ragazzine, ma non ho mai avuto occasione di confrontarmi con mia madre o con mio padre. Ogni segnale tipico dell’età veniva represso bruscamente, non c’è stato mai un dialogo o una spiegazione esaustiva di quello che stessi vivendo e mi veniva anche limitata la frequenza di coetanei, per non “prendere una cattiva strada”.
Non parliamo poi della scelta del corso di studi e lavorativa!
Sono stata obbligata a studiare il pianoforte e a frequentare l’istituto magistrale, come le donne di un tempo. Detestavo il pianoforte e, ancora di più l’insegnante, che mi dava le pennate sulle dita per correggerne la posizione e poi volevo frequentare il liceo linguistico.
L’esame di maturità andò piuttosto male, uscii con il voto minimo e mia madre mi disse che “non valevo niente”, mentre i miei fratelli maggiori si erano licenziati con il massimo e frequentavano già brillantemente l’università. Ora sono due ottimi professionisti. A venti anni cercai di prendere la situazione in mano, opponendomi alla prosecuzione dello studio del pianoforte e intrapresi quella dell’organo liturgico. Entrai in conservatorio, comprai lo strumento con i primi tre stipendi di supplente di scuola materna, e iniziai a studiare sodo.
Purtroppo ho avuto la sfortuna di incontrare un maestro introverso e ansioso e, oltretutto, mentre mi accingevo a preparare l’esame finale di diploma, ho dovuto combattere, per un anno circa, contro il cancro. Ho vinto io, sono stata più maligna di lui!era il 2000, mi sono diplomata all’inizio del 2002.
Nel frattempo mi sono fidanzata con un ragazzo più giovane di me di 5 anni. Una
storia durata 8 lunghi anni di assoluta dedizione e tirannia e conclusasi qualche mese fa, terminata sulle macerie di un carattere dipendente, il mio, e uno prepotente e capriccioso, il suo.
Ho passato momenti bui, sia con lui, sia dopo la fine della nostra storia.
Quando i miei hanno saputo i retroscena della nostra relazione, mi hanno aspramente rimproverata, forse anche amata, non so, ma tutto quello che sono riusciti a dirmi è stato: “quanto sei stupida, ma come hai fatto a sopportare tutto questo?”.
Accidenti, veramente, come ho fatto a sopportare tutto questo e tutto il resto per 34 anni?
Dopo la fine della relazione mi sono buttata a capofitto sullo studio, ho conseguito la laurea abilitante per l’insegnamento della musica nelle scuole medie e mi sono iscritta al corso di specializzazione, che tuttora frequento, per docenti di sostegno.nel frattempo, dal 1994 ho sempre lavorato come supplente nella scuola materna ed elementare, facendo salti mortali per arrivare a tutto, sempre correndo per due province per raggiungere le scuole in cui lavoravo e il conservatorio. Stavo fuori tutto il giorno, mangiavo in macchina a 130 Km /h in corsia di sorpasso, per arrivare puntuale…Dio solo sa come ho fatto e quanto ho rischiato. Ogni sera rientravo a casa e i miei mi accoglievano con un radioso sorriso lodandomi per aver sputato sangue, mi si perdoni l’espressione, anche per quel giorno. Quanto ero brava!!!
Quest’anno, con l’arrivo dell’estate, e sospesi gli impegni per circa un mese, ho ritenuto opportuno riposarmi e svagarmi. Sono single, è finito l’incubo della “vacanza” al mare con tutta la sacra famiglia del mio ex fidanzato che non mi risparmiava di cucinare e badare alla casa ecc, ecc, pensavo di poter concedermi un momento mio. Ritrovata la serenità pensavo di poter liberamente uscire la sera con gli amici, con le amiche, anche con un solo amico, perché no.
Pensavo…mia madre ha iniziato la sua battaglia contro tutto questo. Forse mi vede fragile, forse mi teme preda di malintenzionati, forse mi vede un po’ troppo di aspetto “gradevole” per non essere importunata. Un ragazza perbene non esce la sera,non sta bene uscire la sera, la strada è piena di pericoli, una ragazza perbene esce il pomeriggio, chiama casa per rassicurare gli anziani genitori, anche quando sta fuori con gli amici e non vuole pensare ad altro che ad un momento di relax. Ha insinuato anche che sono una sgualdrina…!
E’ arrivata a chiamarmi di sera per sapere dove fossi e rimproverarmi per l’ora tarda (mezzanotte e mezza). Ora è una settimana che non mi rivolge la parola o lo fa molto malvolentieri,ed io è quasi una settimana che mi sono chiusa in camera per non vederla. Una tortura!. Ho rifiutato di uscire con chiunque per non avere ulteriori discussioni, esco solo per accompagnarla a fare la spesa e mi sento a pezzi. Non riesco a reagire, non provo neanche a farle capire che ho bisogno di svago, accetto solo passivamente il suo broncio e il suo piangere silenzioso, che mi ricorda tanto quello che vedevo da bambina.
Ho provato a sfogarmi con i miei fratelli (entrambi sposati, quindi ritenuti “giusti e perbene”), mi dicono di ignorare, di stare tranquilla e di capire e, nel caso, di spegnere il telefono quando sono fuori.
Non ci riesco. Non posso ignorare, sto morendo di sensi di colpa, perché faccio stare male mia madre, ma mi rendo conto che il mio comportamento è assolutamente normale, non mi sembra di esagerare, ho amicizie fidatissime, sono tutti colleghi e compagni di corso. Però, ora non riesco a godermi niente.
Ogni movimento, ogni respiro, dipende dal suo stato d’animo e sto male, anche fisicamente, provo un profondo dolore…
Caro dottore, non so se questo mio sfogo avrà, da parte sua, una risposta.
Voglio comunque ringraziarLa, anche per la sola attenzione nel leggere la mia mail. La saluto cordialmente.

LA MAMMA NON SEMPRE E’ LA MAMMA

Vorrei raccontare la mia storia,spero di non annoiare nessuno,ma devo smentire il detto la mammma è sempre la mamma.Da quando sono nata,più di 40 anni fà,non sono stata mai accettata da mia madre.Non ho mai avuto un abbraccio o un bacio,meglio così sarebbero stati di Giuda.Non parliamo poi di un complimento…Mia madre ha qavuto sempre un debole per mia sorella,non facendo niente per nasconderlo.io ero un pò più rotondetta di mia sorella e mia madre faceva di tutto per metterlo in evidenza quando eravamo in un negozio per acquistare abiti, dicendo che era un piacere vestire mia sorella.Si vantava dei ragazzi che gironzolavano attorno a mia sorella,io non li avrei voluti neanche se ultimi sulla terra e così credendomi una stupidas tramava alle mie spalle elemosinando un fidanzato per me:Ma io srtupida non sono ,e quindi capivo ed evitavo,non stò qui a dire che elementi.Una volta ero fuori città,per degli esami,sono stata molto male e allora hanno chiamato mia madre ma lei non è venuta, sono stata assistita da alcune amiche. Finalmente sono dimagrita,mi sono sposata un bravo ragazzo,colto ,laureato e un buon lavoro.Non è servito a niente,non stò a dire quello che dice su mio marito, ovviamente il migliore è il marito di mia soprella e quando ci invita a pranzo,a lui fa la porzione più grande e migliore .Sono stata operata tempo fa, ho avuto una convalescenza bruttina,mia madre ha aiutato mia sorella perchè lavora,mentre io sono stata lasciata sola.Ci sarebbe mille e mille storie ancora da raccontare,concludo dicendo che tutto quello che faccio è sbagliato,quello che compro è brutto,non so fare niente.Ma io sinceramente ho stima di me stessa,di mio marito e amore ed entusiasmo per me e la mia famiglia,soprattutto non potri mai amare dipiù uno dei miei figlia discapito dell’altro.Accetto i miei figli per quello che sono e soprattutto cerco di dare loro l’affetto che non ho mai avuto,essendo anche molto severa quando occorre, forse delle volte anche troppo,però dopo dimostro loro sempre più affetto.Grazie per l’opportunità datami,delle volte anche questi sfoghi possono alleviare qualche sofferenza.

PERDONARE I PROPRI GENITORI

manuel Età: 45 Ho ascoltato in televisione,purtroppo solo la parte finale, un commento del dott. Cavaliere che invitava un’ospite del programma rai “ricomincio da qui”, a perdonare i propri genitori se non l’hanno mai amata xkè anke loro non lo sono mai stati etc. etc.io ho vissuto una storia analoga, non ricordo d’aver avuto MAI una carezza, un gesto d’affetto,un bacio, dai miei genitori. solo e solo violenza, umiliazioni e tutto quello ke mi ha portato ad essere una xsona incapace d’amare oltre se stesso, anke ki mi sta intorno. avevano fatto di me un uomo così sterile…arido, ke mi infastidiva addirittura se una xsona mi diceva qualcosa di bello, o se manifestava affetto nei miei confronti. sono stanco di sentir dire di xdonare i propri carnefici…o peggio ke in fin dei conti sono i tuoi genitori o fregnacce varie. ho l’impressione ke si tenda sempre a giustificare “loro” e mai una parola di comprensione x noi VITTIME!!sono undici anni ke faccio psicoanalisi, e solo grazie alla mia dottoressa e non ai miei genitori se oggi sono capace di amarmi…di rispettarmi…di essere più indulgente con me.è grazie alla mia dottoressa, e non ai miei genitori, se ho imparato ad amare mio figlio. ho spezzato quella catena di violenza ( e non è stato facile )ke x buona parte della mia vita mi hanno condizionato…avevo paura del buio e non avevo il coraggio di alzarmi la notte x andare in bagno, o bere se mi veniva sete e sto parlando di un’età adulta.avrei tantissime altre cose da raccontare….oggi sono una xsona serena…veramente serena…ma non grazie ai miei genitori. scusate il mio sfogo. manuel.

MIO PAPA’ NON MI LASCIA VIVERE ?

Caro dottore, sono Alice, (riferimento “dipendenza, codipendenza?”), le raccontavo come ora che ho trovato un nuovo ragazzo che mi sta al fianco, si ripresentino le stesse reazioni in me…le stesse che avevo con il primo ragazzo col quale sono stata 10 anni. Le raccontavo che ho vissuto dai 5 anni in poi con mio padre (ammalato –è in dialisi- e dipendente da me, che mi ha cresciuta e non si è più rifatto una vita, per il quale io ero l’aria, che è in forte depressione da anni e moltissimo da quando non vivo più con lui –due anni- e non manca di farmi sentire in colpa e di dirmi che la sua vita non ha più senso – con il quale negli anni non sono più riuscita a parlare perché avevo e ho dentro un blocco assurdo- nonostante gli voglia un bene dell’anima) mentre mia madre faceva la sua vita assurda (droga, soldi, uomini, inganni…cose “losche” ti tutti i tipi che ricadevano anche su di me mettendomi in pericolo) in giro per il mondo per riapparire ogni tanto (mamma che ora invece ogni tre quattro settimane mi viene a trovare). Le raccontavo del rapporto simbiotico con il mio ex ragazzo, che mi è sempre stato al fianco vivendo tutti i miei problemi anche lui, e con quale ho iniziato a non capire più i miei sentimenti dopo dieci anni, volendolo e non volendolo, non riuscendo più a capire i miei sentimenti visto che un giorno lo amavo il giorno dopo volevo scappare via. Ora sto con questo nuovo ragazzo che viene dalla spagna per me. Ora lo sento, non sono più la stessa persona……sono stata così tanto male che sono cambiata….prima piangevo sempre quando stavo male…..ora le lacrime se ne stanno tutte rinchiuse dentro di me e faccio fatica a piangere (e questo è molto negativo perché solo piangendo riesco a buttare fuori il male che sento…e farlo passare……). Prima parlavo sempre dei miei genitori…..ora faccio fatica ma così è peggio…… ho tante cose in sospeso con loro da risolvere, lo sento che è così…… mia mamma ….non riesco a volerle bene…..o meglio……le voglio così tanto bene che preferisco fare finta che lei non ci sia…. E quando la vedo mi chiudo come un riccio e non riesco a dimostrarle quanto bene le voglio……come faccio ? Come faccio..? per dirle che le voglio bene dovrei dirle anche “cosa stai facendo?” “perché fai tante cose cattive?” “cosa c’è che ancora non so?” “cosa sta succedendo?” “stai bene per davvero o come al solito stai facendo finta?” “quale bugia mi stai raccontando oggi?”…….. etc etc Perchè ormai, dopo un’infanzia ad ascoltare e vivere le sue bugie, ora mi basta guardarla per sentire che è successo qualcosa che io non so, che sta male, che è nei casini, ma non può dire niente. E poi…… “ma perché a volte mi hai fatto così male quando ero piccola?” “ma allora non mi volevi bene?” etc etc…… Tutto questo lo devo tenere ben nascosto dentro di me, ma tutte queste domande continuano a bussare alla mia testolina…..e io le rimando giù facendo finta di niente……. Mio papà…….devo fare finta di non sapere che non sta bene, che non è felice, che gli manco, che è depresso……..devo fare finta di non pensare alla sua espressione triste, di una tristezza lancinante, che ha quando vado via dopo essere passata da casa sua a salutarlo…..devo fare finta che starà bene in eterno e che la sua salute migliorerà e che sarà sempre al mio fianco. Con il mio ex parlavo sempre di tutto questo……mi vedeva sempre piangere e sempre mi consolava…siamo cresciuti così. Quando ci siamo lasciati perdevo la persona che avevo amato, la persona che mi aveva sempre sorretta, la persona che conosceva tutto questo di me. Mi sono chiusa come un riccio…….mi sono ritrovata sola in questa casa enorme piena di 1500 ricordi (la casa dove avevo vissuto un anno con il mio ex) a tu per tu con mia mamma e mio papà che ora accorrevano perché volevano starmi vicino in tutti i modi. E mentre prima c’era sempre un intermediario (il mio ex) che riusciva a fare in modo che io mi aprissi un po’ con mio padre, che mediava un po’, ora c’ero solo io…..già non parlavo più con mio padre da tanto tempo…..o meglio parlavo sì, ma poco, pochissimo, e da mesi e mesi non riuscivo più a guardarlo in viso….mi ha fatta sempre sentire sbagliata e in colpa……sbagliata se dipingevo (“cosa dipingi a fare, non sei di certo Van Gogh”), sbagliata se facevo fotografie (“cosa fotografi a fare che non concludi niente”), sbagliata se volevo stare da sola con il mio ragazzo(“e a me non pensi vero? brava brava lascia il vecchi sempre solo”) , sbagliata se andavo a ballare (“non hai niente di meglio da fare”) , sbagliata se mi vestivo un po’ più da donna, magari solo perché avevo lo smalto sulle unghie (“sembri una puttana come tua madre”)……in tutti i modi cercava di sopprimere la mia voglia di vivere……..ma perché? aveva paura che se vivevo “da sola” le mie passioni, allora mi sarei allontanata da lui? E poi mi faceva sentire sempre in colpa, in colpa perché non stavo con lui, ora in colpa perché l’ho lasciato solo, in colpa se mia madre mi riportava a casa tardi al week end (ma perché? era colpa mia? avevo 6 anni…avevo 10 anni….), in colpa se rispondevo male ( oltre ad arrabbiarsi come un normale genitore farebbe, lui stava seduto sul divano per tre giorni senza togliere lo sguardo dalla televisione spenta e senza più parlarmi….e dopo questi tre giorni il quarto giorno veniva a dirmi qualcosa di normale come niente fosse successo). Quando io e il mio ex andavamo in ferie partivamo sentendoci male perché diceva (“bravi bravi, si si, speriamo che un giorno non tornate che io non ci sono più”). E poi mi faceva sentire sbagliata…..sbagliata perché mi sono chiusa per anni in camera mia, sbagliata perché non parlavo tanto con lui, sbagliata se mi confidavo più con mia mamma che con lui, sbagliata se non convincevo mia mamma ad essere puntuale quando mi riportava a casa (fino a tagliarsi i polsi un giorno per farmi sentire in colpa, e aspettando che me ne accorgessi da sola, sempre sul divano fissando la televisione spenta). Era normale che mi chiudessi in camera mia no? Vivevo tra storie di avvocati, di presunti rapitori, di presunte persone che mi volevano fare male, di litigi fra lui e mia mamma, di casini con le banche a causa di mia mamma……di lui che si tagliava i polsi se mia mamma ritardava a portarmi a casa, di lui che stava come un vegetale tre giorni davanti alla tv per farmi sentire la causa del suo malessere perenne (avevo 10 anni! o 6! o 12! o 15!) e la bambina più malvagia della terra. Poi è merito suo se sono sana, se ho un’educazione, se ho dei principi morali, mi ha cresciuta e ha dato la sua vita per me! Io gli voglio un bene dell’anima! Ho passato la mia adolescenza a piangere per lui o per mia mamma! Ho passato metà del tempo con il mio ex a parlare di mio padre in camera mia. Mi ha fatto sentire sbagliata perfino con il mio ragazzo…ogni volta che parlava con lui diceva cose come “ah…pensaci tu con lei, perché non è tanto normale sai…”, oppure “auguri, speriamo che a te vada meglio”, come per dire che lui con me non riusciva a stare e augurava al mio ragazzo di riuscire a combinare qualcosa di buono con me. L’ha fatto anche con il mio attuale ragazzo la seconda volta che l’ha visto. Eppure mi vuole un bene dell’anima mio padre! Mi ha sempre offesa…..sempre fatta sentire una scema…..scema perché non ricordavo le scadenze per l’assicurazione della macchina o perché perdevo qualcosa. Perché non sono perfetta. Infondo vivo da sola da due anni e la macchina è l’unica cosa su cui mi perdo un po’. Per tutto il resto non ho mai chiesto aiuto, e non lo voglio…..eppure mi offende sempre. E’ il suo modo distorto di farti capire che senza di lui non devo stare, che lui è indispensabile e io non sono nessuno. Poi è buonissimo di cuore, ma ha dentro questo meccanismo assurdo. Quando avevo 15 – 16 –17 anni sono scappata di casa tante volte e non sapevo dove andare. Se andavo da mia mamma era peggio…. Così vagavo per ore nei posti più impensati e tornavo. Oppure avevo scatti di rabbia verso di lui, arrivavamo a litigare così forte che io urlavo così tanto che mi facevano male le corde vocali per giorni, oppure a volte lui per vendetta staccava tutti i miei quadri (dipingo) dai muri rovinandoli e li accatastava per terra, oppure una volta ha preso tutti i fiori secchi (che io avevo seccato per anni) che c’erano in casa e li ha distrutti tutti dentro ad un sacchetto…a volte interveniva il mio ragazzo a fermarlo…..una volta mi ha picchiata così forte sulla testa e sulle mani con non ricordo quale oggetto che avevo i lividi il giorno dopo (questo per fortuna è successo una sola volta, la seconda ho chiamato i carabinieri, avevo 15 anni)………a volte perdeva il controllo e aveva questi scatti assurdi di rabbia. E a volte per reazione io avevo la stessa rabbia verso di lui, sbattevo i piatti sui muri e mi chiudevo in camera sbattendo così forte la porta che cadevano tutti i quadri alle pareti. Non capivo cosa mi succedeva, non ricordo nemmeno, ma tutti questi litigi nascevano sempre perché lui mi faceva sempre sentire male…..faceva sempre l’arrabbiato, sempre l’offeso. Qualsiasi cosa facessi o dicessi non andava mai bene niente. Offendeva anche il mio ragazzo, che era succube di lui. E quando io lo vedevo succube andavo su tutte le furie. Abbiamo passato dieci anni assieme (dai 17 ai 27) sempre in tre, in tre davanti alla tv, in tre al week end (nel senso che anche se soli, dovevamo sempre preoccuparci per lui, in tre ogni sera quando il mio ragazzo veniva a trovarmi). Faceva sentire in colpa anche lui. Con telefonate, minacce, parole offensive, tanto che dopo anni il mio ragazzo è arrivato un giorno a dirgli “brutto vecchio di m – ” e quasi non stava per alzargli le mani. Perché per l’ennesima volta aveva finto di stare male per attirare l’attenzione, noi eravamo corsi come due stupidi con la macchina chiedendo aiuto anche a mia zia e mio zio (visto che eravamo a trenta chilometri da casa), e quando siamo arrivati a casa (con mia zia e mio zio già li), ci ha detto, anche al mio ragazzo, che eravamo degli s – , che di lui non ci importava niente, che la prossima volta che chiamavamo i miei zii in aiuto ce l’avrebbe fatta pagare, che prima o poi la vita gira e che prima o poi sarebbe successo qualcosa di brutto anche a noi, e che era meglio che andavamo fuori dai c – e da casa sua. Quando io e il mio ex siamo andati a vivere insieme non ci ha più fatto vivere. Sempre sensi di colpa, sempre offese. Però quando le vivevo non mi rendevo conto che non erano normali….. Ora, pochi giorni fa, il dottore dell’ospedale (mio papà fa la dialisi) ha detto a mio padre che è meglio che vada da uno psicologo perché ha degli scatti di rabbia (non ha atti violenti ma una rabbia che rasenta la violenza) con la gente non normali, e voleva anche parlare con me. Io so perfettamente quali sono questi scatti di rabbia…è come se lui fosse arrabbiato con tutto il mondo, come se tutto il mondo l’avesse ferito e lui dovesse vendicarsi prima o poi e offendere tutti. Io lo capisco…..ha dato la sua vita per me, mi ha difesa da mia mamma, dai pericoli, ha avuto un esaurimento nervoso per questo, e ora la sua unica figlia non gli parla quasi più e si isola da lui…e lui non ha nessun altro, è in dialisi, quasi non ci vede (ha un difetto di vista che quasi rasenta la cecità – per fortuna ci vede ancora), continua a dire che la sua vita è come quella di una pianta…. Ora il mio nuovo ragazzo vive con me (per poco, sta cercando un suo appartamento), e io non capisco i miei sentimenti verso di lui per l’ennesima volta….oscillo tra amore e vuoto (non lo voglio più?). A mio padre ho cercato sempre di non dire che viveva con me. Lo tengo alla larga e quando mi fa domande sul mio nuovo ragazzo mi chiudo, mi arrabbio, non rispondo. Capisce perché lo tengo così alla larga? Lo tengo lontano. Mi sono creata la mia barriera attorno. Ho paura che faccia la stessa cosa un\’altra volta e io non lo posso aiutare. E sto tanto male! Io gli voglio bene, tanto, ma non posso! L’altro giorno mi ha chiesto “allora avete già cenato?”, quindi alludeva al fatto che io avevo cenato in casa con il mio ragazzo, che vive con me. Io non ho risposto, mi sono innervosita. Appena tenta di allungare una mano verso la mia vita privata io alzo la barriera. La prossima domanda sarebbe: “beh possibile che non avete un po’ di tempo per me?”. Il giorno dopo in effetti mi ha detto, triste, depresso, con il corpo ricurvo “…VENITE a trovarmi qualche volta……”…..senza nemmeno salutarmi quando sono uscita da casa sua dopo essere andata a trovarlo da sola. Ancora sensi di colpa….. E non posso fare diversamente. Mi sento di nuovo minacciata. Lui va velocissimo……se lascio fare….in una settimana mi ritrovo come due anni fa con il mio ex. Sembra quasi che voglia allontanare da me un possibile fidanzato perché infondo infondo è un rivale, perché se non ho il fidanzato allora mi ha tutta per sé. Appena mi sono lasciata con il mio ex ce l’avevo sempre addosso…..sempre li che mi voleva aiutare….ovviamente mi ha anche detto che se volevo tornare a casa la porta era aperta. Non posso farci niente……e questa mia chiusura necessaria mi fa male, malissimo……..non riesco a lasciarmi andare a niente….non posso buttarmi fra le braccia del mio ragazzo, perché è come se avessi altre due braccia che mi tirano dall’altra parte……!! Tutto questo mi fa sentire come in una gabbia….non posso vivere liberamente, e se vivo mi sento in colpa…..quando ho presentato il mio nuovo ragazzo a lui mi sentivo malissimo, mi sentivo come una bambina di 3 anni che presenta a suo padre il suo fidanzato di peluches, insomma mi sentivo come se mio padre pensasse già che anche questa storia non durerà, perché io non me la merito, che finalmente può parlare con il mio nuovo ragazzo visto che io non lo capisco (era questo l’atteggiamento che teneva con il mio ex), che invece con lui potrà far capire il suo dolore e la sua solitudine….lui non mi fa sentire una donna che gli presenta il suo uomo, mi fa sentire una bambina appena nata. Mi sento in una gabbia dove gli uccellini invece di essere due (io e il mio ragazzo) sono tre. Un rapporto a tre, un caos. Quando gliel’ho presentato avevo tutto il corpo che gridava all’impazzata, mi sentivo come ricatturata dentro ad un vortice che non so gestire. Perché da un lato ho voglia che lui lo conosca perché sono orgogliosa di lui, dal’altro mi sento come se lui pensasse che comunque io sono una poveretta e quindi la nostra storia non durerà. Con il mio ragazzo non ho quasi mai parlato di tutto questo, ma ieri l’ho fatto……perché era come se mancava un pezzo….è inutile che a lui io faccia vedere solo io mio lato bello, felice, allegro, matto, nervoso, duro, spontaneo, sensibile, se non conosce anche quello triste e tutto quello che sta dietro. Mi sento sempre insoddisfatta della vita…….sempre che non so cosa mi manca per essere felice……sempre che sento che ho un buco dentro che deve essere colmato e non so da cosa. Ecco, probabilmente ho un conto in sospeso con il passato e finchè non riparo questo, allora ogni tanto avrò sempre la voglia di fuggire via in qualche viaggio e magari dirò che voglio andarci da sola per ritrovarmi…….. in realtà non devo ritrovare niente, devo solo accettare tutta una serie di cose che mi sono successe e che ho vissuto e di affetto che mi è mancato e trovare una spiegazione. E vorrei tanto un giorno sentire qualcuno che mi dica: ALICE, FINALMENTE, NON CI SONO PIU’ PROBLEMI. Tuo papà è felice, non ha problemi psicologici, non l’hai abbandonato tu, non sta male, tua mamma è serena e quindi tu stai tranquilla e sentiti felice. Ho regalato la scorsa settimana un cagnolino a mio papà, dopo anni mi sono decisa, penso gli faccia bene, lo aiuti in tutti i sensi. Probabilmente ho regalato il cane a mio papà più per placare i miei sensi di colpa che per farlo felice. Ma quanto tempo impiegherà per rinfacciarmelo? Poco, pochissimo, già mi ha detto che “così non penso più a lui”. Ho sempre pensato, finita la storia con il mio ex, che quando avrei incontrato un nuovo ragazzo, che non sarebbe stato necessario raccontargli queste cose del mio passato con i miei genitori. Che il passato era passato e finalmente potevo cominciare una nuova storia senza questo peso. Invece no! Una volta ho letto una frase bellissima che diceva: “la storia d’amore più bella è quella che nasce su un treno, nel quale tutto il passato è lasciato indietro e quello che conta è solo il viaggio”. Ma come si fa? E, in tutto questo, io non capisco più niente dei sentimenti che provo per il mio ragazzo, vedo che non sono capace di sentirmi bene se vivo con lui, mi sento ingabbiata….c’è qualcosa che non và….. E con mio papà non so cosa fare….scappare per il mondo non serve a niente…..è lui che non mi lascia vivere o sono io che non sono capace di capirlo? Ci provo in tutti i modi, gli dimostro il mio volergli bene a tentoni ma poi mi ritiro nel guscio perché lui mi investe di sensi di colpa e non mi lascia più……..non posso mai vivere libera….mi sento sempre la mente obbligata ad andare a lui….del resto ha solo me! (e ha dato tutto per me) Grazie, Alice.. scusi per il “papiro”….

 

PROBLEMATICHE CON LA MIA FAMIGLIA

Caterina Età: 49 Vorrei esporre la mia situazione sul blog perché vorrai delle opinione di persone italiane (io vivo in Francia e mi scuso in anticipo per gli errori d’italiano, ho perso l’abitudine di scrivere nella mia lingua). Sono una donna adulta di quasi 50 anni , mamma felice di un maschietto di 8 anni . La mia coppia si é distrutta quando ero incinta del piccolo. Abbiamo fatto la scelta di coabitare per non imporre la separazione al bimbo, non é stato facile ma per il momento ce la facciamo. Questa é la mia situazione attuale. Il problema piu’ grosso e che mi avvelena il quotidiano (già un po’ complicato) é la mia famiglia che vive aMilano. IO ho molto sofferto (adolescente ribelle ma maltrattata e picchiata) ,ho fatto delle fughe, ho anche preso 10 aspirine per potere andare all’ospedale e chiedere aiuto hai medici ; POI A 18 ANNI E TRE GIORNI ME NE SONO ANDATA DA CASA e da quel giorno ho vissuto da un lato normalmente ma dall’altro sempre cercando di dimenticare i miei genitori. Ho una sorella piu’ giovane di me (quasi 12 anni meno di me) che lei non ha vissuto le stesse cose, che ha una relazione intensa e invaissante con i genitori (é andata fuori di casa solo da 4 anni e perché si é sposata). E mia madre andava a trovarla tutti i giorni anche se lei gli diceva di no.Adesso mia madre é ammalata , ha bisogno di assistenza e mia sorella che non lavora da quando ha suo figlio (9 mesi) si occupa di lei ma non ce la fa piu’ e vorrebbe che io andassi in italia ad aiutarla e per farla partire un po’ in vacanza; Ora io non posso et non voglio andarci. Quindi oggi abbiamo litigato (era inevitabile). Certo vi sembrero’ egoista ma ho l’impressione che ho passato i 32 anni in francia ha dimenticare quello che ho subito e che mia sorella ignora perché é piu’ semplice. Rimpiango anche di non avere chiuso i ponti anche con lei. Per me ,andare in italia é una sofferenza, ogni volta che li andavo a trovare per fargli vedere il nipotino mi ci volevano dei mesi per rimettermi, Idem quando mia sorella veniva in francia e si portava dietro mia madre. Inutile di parlare a mia sorella. Ho un po’ di problemi di salute che sono provocati partialmente par queste situazioni. Anche se non vado in italia colpabilizzo per il fatto di non potere amare mia madre e di non precipitarmi in italia come tutta figlia normale dovrebbe fare. IO non posso e dunquesoffro. Scusatemi per lo sfogo ciao a tutti

 

Dott.ssa Rosalia Cipollina

TESTIMONIANZE SULLE DIPENDENZE AFFETTIVE VERSO I FIGLI

“I vostri figli non sono figli vostri. Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benchè vivano con voi non vi appartengono. Potete donare loro amore, ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro pensieri. Potete rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno. Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: la vita procede e non s’attarda sul passato. Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti. L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi tende con forza affinchè le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell’arciere; poichè come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell’arco.” KHALIL GIBRAN

 

Gentile dott.ssa Cipollina,
negli ultimi mesi trascorsi ho imparato a conoscere ed apprezzare il sito sul mal d.amore. da lei curato. Sono infatti affetta da questa dipendenza. Lo sono stata per anni nei confronti di mio marito, dal quale sono separata da circa un anno, e lo sono tuttora nei confronti di mia figlia di 17 anni.
Fino a poco tempo fa credevo che il nostro rapporto andasse bene: io mi curavo di tutti i suoi bisogni e desideri e lei ricambiava confidandomi le sue cose. Io non dimostravo alcun interesse verso me stessa e lei ogni tanto mi diceva di trovarmi un interesse che non fosse stare a casa o lavorare. Qualche tempo fa, casualmente lei ha scoperto bruscamente che frequento un uomo del quale sono innamorata e che mi ama profondamente e senza nulla pretendere! E. successa la fine del mondo: lei mi ha accusata di non essere una buona madre, di voler andare a vivere con il padre, che non accetterà mai questa persona, ecc. Da quel momento tutto è cambiato. E. come se improvvisamente mi si siano aperti gli occhi sul nostro rapporto così come successo con il padre. Non ho negato, non ho dimostrato inutili sensi di colpa e non ho chiesto scusa. Ho mantenuto la calma e spiegato come stavano le cose. Non so se ho fatto bene o male, ma le ho scritto una lunga lettera dove le ho spiegato i motivi della separazione dal padre (ero stata sempre molto generica), le mie sofferenze, frustrazioni, insoddisfazioni, pianti, solitudini, ecc. Le ho spiegato che non ho cercato l.amore, ma è arrivato, poteva non arrivare mai, ma è successo e io sono felice per questo. Le ho detto che una madre è anche donna e che se lei dice di volere bene una persona deve desiderare la felicità di quella persona.
Le ho ribadito che se non ne avevo parlato con loro (ho un.altra figlia più piccola) era perché pensavo che fosse ancora presto vista la recente separazione.
Da quel momento ho cominciato ad osservare il nostro rapporto. Mi sono resa conto del suo profondo egoismo e del mio nauseante servilismo. Mi sono accorta di quanti atteggiamenti simili a quelli del padre abbia e di quanto simili siano anche i miei. Anche lei me lo ha detto e che le dispiaceva aver preso il posto di suo padre nel provocarmi sofferenza e di quanto era costernata nel non sapere dimostrare affetto. Ma nulla è cambiato. Lei continua a farsi i fatti suoi e io cerco di impormi con scarsissimi risultati. Siamo stati di recente in vacanza insieme e si è completamente disinteressata di me e, come era prevedibile, ha smesso pure di confidarsi e si limita ad un rapporto formale come per punirmi. Abbiamo forti scontri ultimamente perché io le dico ciò che mi infastidisce di lei e lei non mi parla per ore. Non so come recuperare il rapporto.sono disperata.amo mia figlia, ma non voglio più rinunciare a me stessa ora che a fatica ho scoperto di esistere.Cosa devo fare? Mi aiuti!
Grazie, saluti

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Karen Età: 39 Argomento: Sono una 39enne dibattuta tra il grande amore per mio figlio e la distanza che tendo a creare tra me e lui per il timore di fargli del male con comportamenti sbagliati, così come è accaduto a me da figlia, con un rapporto eccessivamente conflittuale con i miei genitori (madre aggressiva e inaffettiva e padre con atteggiamente inesistente a meno che non doveva alzare le mani su ordine della moglie). Oggi – dopo anoressia, sindrome ansioso depressiva e anni di analisi – ho un po’ recuperato me stessa: sposata da 4 anni ho un bimbo meraviglioso di tre anni che non riesco ad amare come merito: non so dimostrarglielo e lo tengo lontano con la scusa del lavoro che mi impegna molto. Lui, bimbo inteliggentissimo, adesso capisce questa mia lontananza e cerca la zia o il papà più della mamma e qusto mi fa soffrire non solo e non tanto per me stessa, ma soprattutto perchè a questo bimbo manca la sua mamma. A volte sono come paralizzata davanti a lui: nessuno mi ha insegnato ad amare. Ovviamente il problema si ripropone con mio marito e in tutti gli altri tipi di relazione amichevole, sociale e lavorativo. Aiutatemi ad amare e vivere al 100%.

 

Dott.ssa Rosalia Cipollina

RICONCILIARSI COI PROPRI GENITORI

discussione tratta dal forum del sito maldamore.it

 

Ieri ho scritto la lettera d’amore più bella che sia mai riuscita a scrivere, o anche solo ad immaginare.
Ho scritto “ti voglio bene” e l’ ho scritto a mia madre.
Non so se io sia mai riuscita a comunicarle verbalmente questo sentimento quando ero piccola, se e’ così non lo ricordo, ma so di certo che sono dovuti passare tantissimi anni, e tantissimi scontri tra di noi, prima che io potessi pronunciare quella frase.
Beh, l’ ho fatto ieri.
E’ stata la frase più bella pronunciata in tutta la mia vita.

In una sola banalissima frase si sono concentrate tutte le sensazioni più vive racchiuse dentro di me, che non osavo tirare fuori.
Esternando quelle tre parole a colei che mi ha dato la vita e che ha concorso a creare tutto quello che posso essere oggi, e che potrò essere ancora in futuro, sono state scoperchiate delle antiche e fortissime emozioni, che sarebbe impossibile riprodurre qui in modo fedele.

L’amore per i genitori (e, viceversa, quello per i figli) e’ il padre di tutte le emozioni che possiamo permetterci di sperimentare durante tutto l’arco della nostra vita.
Se condanniamo quello, ci condanniamo per tutta la vita. Soffochiamo la nostra stessa capacità di sperimentare, ricevere, donare Amore.
Liberarlo, dotarlo di tutta la sua forza dirompente, togliere quei lucchetti di piombo che sigillano la sua percettibilità ormai da anni, sentire che, nonostante tutto, lui e’ ancora lì e ci inonda se glielo permettiamo, se gli perdoniamo di non essersi saputo esprimere come noi desideravamo o quanto avremmo avuto bisogno, se riusciamo a fare tutto questo, a piccoli grandi passi, ci liberiamo delle nostre catene più pesanti, seppur così ben nascoste.

Dopo aver liberato dentro questa emozione, da me tanto temuta, che rimaneva pungente dentro di me come una spina infuocata, hanno cominciato a sgorgare lacrime inarrestabili colme di tutte le emozioni che, mai, avrei potuto pensare di provare contemporaneamente e con tale spinta.

Ho continuato per anni a temere questo amore ritrovandolo rispecchiato nei rapporti che costruivo, ho mantenuto viva una ferita che chiedeva solamente di essere ricucita, non solo dal tempo, ma anche e soprattutto dal perdono e dall’amore, che io avevo rimosso dal mio cuore come se fosse un nemico.
So perfettamente che questa non e’ la soluzione di tutti i miei problemi e di tutte le mie paure, ma e’ un pezzettino di percorso in più, una strada che avevo perso e che ora ho ritrovato e che ho iniziato ad imboccare.

Molto spesso abbiamo bisogno di sentirci amati, ma altrettanto spesso in realtà avremmo necessità di sentire vivo dentro di noi un sentimento che abbiamo congelato.
Ieri, attraverso le mie lacrime, attraverso il dolore, la gioia, l’imbarazzo, il respiro affannoso, attraverso il mio stupore, si e’ liberato qualcosa dentro di me, e sono sicura anche dentro di lei.
Attraverso tutto ciò, sono riuscita a vedere il mio amore e, tramite questo, sono riuscita a percepire meglio la mia antica paura di non poterlo meritare e, si, ho toccato con mano anche tutto l’amore che in realtà c’era e che era rivolto a me, solo a me, ma che avevo dimenticato.
Un abbraccio a tutti quanti
Yana

Ciao Yana, quello che scrivi, come sempre, è bellissimo

Dopo aver liberato dentro questa emozione, da me tanto temuta, che rimaneva pungente dentro di me come una spina infuocata, hanno cominciato a sgorgare lacrime inarrestabili colme di tutte le emozioni che, mai, avrei potuto pensare di provare contemporaneamente e con tale spinta.

E’ successo anche a me con il perdono verso mio padre, le lacrime sgorgavano come da una sorgente per diventare un fiume in piena portando con se emozioni sotterrate da una vita.

Anche io credo come te che:

L’amore per i genitori (e, viceversa, quello per i figli) e’ il padre di tutte le emozioni che possiamo permetterci di sperimentare durante tutto l’arco della nostra vita.

E’ verissimo, quando io sono riuscita a liberare questo fiume in piena che avevo dentro ho scoperto un’altra Gio e il mio rapporto con i sentimenti ha iniziato impercettibilmente a cambiare. La mia autostima miracolosamente si è rafforzata e ho smesso di sentirmi quella che elemosina amore perchè ora so che quello che volevo davvero era l’amore di mio padre che nessun altro uomo potrà mai darmi. Quella che desiderava amore era una bambina ferita che voleva suo padre.. non potevo trovarlo in rapporto uomo- donna. Solo una donna che ha superato questo può rapportarsi con un uomo come una donna e non come una bimba. (non so se sono riuscita a spiegare) Hai ragione che è impossibile esplicitare le sensazioni che si provano.. ci si ritrova bambini e si provano determinate sensazioni di allora e ci si ritrova adulti e forti come non lo si è mai stati, molto cambia intorno a noi,come se la vita che abbiamo avuto intorno e non abbiamo vissuto appieno, fosse rivelata.

So perfettamente che questa non e’ la soluzione di tutti i miei problemi e di tutte le mie paure, ma e’ un pezzettino di percorso in più, una strada che avevo perso e che ora ho ritrovato e che ho iniziato ad imboccare.

Tu hai, in questo senso, molta più consapevolezza di me.. io credevo che il rapporto con mio padre fosse alla base di tutti i miei problemi e credevo che averlo risolto mi avrebbe sanata. In realtà averlo risolto mi ha sanata per molti aspetti, è vero, molto è cambiato e sta cambiando in funzine di questo.. Ma nel mio caso adesso sta uscendo fuori il conflitto con mia madre e so che questo sarà molto più difficile da sanare.
Se il padre è importante la madre è fondamentale. Lei ci da la vita e dipendiamo totalmente da lei nei primi anni. Quello che ci lega a lei credo sia quanto di più complicato esiste nei sentimenti umani.
Essere riuscita a fare quello che tu hai fatto penso sia una cosa importantissima.
Sono felice per te, Yana. Ci siamo incontrate qui forse un anno fa e abbiamo iniziato un percorso insieme. I passi che hai fatto sono passi da gigante e la Yana che avevo conosciuto le prime volte assomiglia solo più a quella che c’è ora. Ti ammiro molto.
Un abbraccio fortissimo
Gio62

Grazie a tutti per le risposte e per le vostre parole (in alcuni casi, devo dirlo, troppo generose )

Esprimere determinate cose , cosi visceralmente personali, e’ sicuramente utile ma assolutamente faticoso a livello emotivo. Almeno lo e’ per me.
Ancora oggi, per me, parlare di mia madre, del nostro rapporto, ma soprattutto dei sentimenti e delle emozioni, negative e positive, che mi legano a lei e’ estremamente difficile.
Anche solo pensare, dire o scrivere che le voglio bene mi smuove dentro una moltitudine di sensazioni contrastanti ed accende la spia dentro di me che ci sono parecchie cose che devo affrontare e superare.
Ma quantomeno oggi ho deciso di farlo in modo piu’ fermo.
La paura di essere investita da tutte quelle emozioni sigillate in fondo a me stessa che inevitabilmente esploderanno, e in alcuni casi mi faranno anche molto male, c’e’ ancora, ma almeno oggi ho preso la decisione di affrontarla.

Il primo passo e’ stato, nel mio caso, tempo fa, scoperchiare quella rabbia che ancora covavo dentro di me nei suoi confronti e che ha delle radici lontanissime, difficilissime da recuperare ed ancora di piu’ da comunicarle.
Oggi sto tentando di ricongiungermi ai sentimenti piu’ gioiosi che il legame con la propria madre dovrebbe portare con se’.
Sentimenti che sono sicuramente ben riposti dentro di me me che per qualche ragione ho il terrore di tirare fuori.

Hai ragione Gio, il rapporto con la madre e’ complicatissimo e determinante.

Parlando del rapporto con tuo padre e con tua madre, hai espresso magnificamente quelle che sono le mie stesse emozioni e quello che e’ stato, per molti aspetti, lo sviluppo anche del mio percorso in fatto di consapevolezza.

Anche io, come te, ho concentrato la mia attenzione, per tutto l’arco della mia vita fino a poco tempo fa, su quello che era il dolore ed il rancore interiorizzato ed alimentato nel tempo per mi padre.
Ci sono molti lati oscuri che riguardano anche questo aspetto, ma la rabbia per mia madre, e il fatto che i problemi avuti con mio padre fossero strettamente ed inevitabilmente legati anche a lei, sono una cosa relativamente recente.
Andare a fondo del rapporto con mia madre e’ un percorso pieno di ostacoli e di resistenze da parte mia che non sara’ semplice affrontare e completare, ma ho deciso di farlo e gia’ questo per me e’ un passo importante.

Ho imparato che i legami familiari sono una cosa complessa ed articolata e che spesso affrontarne un aspetto implica lo scoperchiamento di altri mille.
Il legame con uno dei genitori ha delle ripercussioni su quello con l’altro e viceversa.
I sentimenti che proviamo nei confronti di un genitore possono suscitare stati d’animo impensabili nell’altro genitore, che puo’ non essere in grado di gestirli nella maniera meno costosa in termini di traumi affettivi.

Io credo di star avvicinandomi al vero perdono nei confronti dei miei genitori per non aver avuto a disposizione le risorse che gli avrebbero permesso di affrontare in modo meno dannoso (per me, ma anche per loro) l’amore che li lega a me.
Nessuno ha delle vere colpe, e questo, razionalmente, lo so da un pezzo.
Il vero traguardo e’ cominciare a dischiudere il cuore nei confronti di questa consapevolezza.
Yana

 

Selezione a cura della Dott.ssa Rosalia Cipollina

MA SE IL CUORE NON CE LA FA…?

Da “Ma se il cuore non ce la fa…?” (forum “Dipendenze Affettive”)

Argomento: codipendenza Autore: Marrifede

Ho bisogno di condividere con voi ciò che provo e che mi ha portato a fare una cosa che non ha nessuna coerenza con la lotta che sto combattendo da mesi…
Ma se è accaduto, se sento queste cose, è meglio che io le ammetta e le affronti per tentare di capirmi ancora di più, e di riuscire una volta di più a fare qualcosa per il mio bene…

Dopo tanti giorni di silenzio, lunedì scorso il mio ex si era fatto sentire.
Io il telefono lo spengo sempre di più, ma non l’ho mai spento del tutto.
Ogni giorno almeno una volta lo accendo.
Così mi aveva detto di essere stato via 15 giorni da solo, in moto, la moglie e la figlia in vacanza da un’altra parte, lui a cercare di ritrovarsi un po’… Mi aveva chiesto di vederci e gli avevo detto di no.
Mercoledì e giovedì sono andata al mare io, con sorella e nipotini, sperando che mi passasse un po’ il pensiero di lui.
Perchè c’era e forse, nel silenzio, la mia tristezza di dire davvero addio per sempre al sogno di questo grande amore, si era fatta più presente.
Lui mi cerca di nuovo giovedì sera e mi chiede di vederci nel fine settimana…
Ci penso.
E sabato accetto.

Ho passato con lui sabato sera e anche ieri.
Siamo stati anche bene.
Ci siamo lasciati andare anche fisicamente.

Che è un errore lo so.
Che avrei dovuto evitare lo so.
Che così alimento le sue e le mie speranze e soprattutto rafforzo il legame di dipendenza da cui vorrei tanto liberarmi, lo so…

Vorrei capire perchè.
Perchè se non riesco a coglierne i motivi, non riuscirò neanche mai a spegnere per sempre quel telefono che rappresenta il mio legame con lui.

Io ora esco, ho ripreso a fare una vita normale, ho ripreso vecchi contatti e conosciuto nuove persone.
Sto recuperando una serenità e un benessere che avevo perso completamente.
E che sento necessari per me e per vivere bene…

Eppure lui è dentro di me.
Non c’è verso.
Il mio sentimento per lui esiste ed è presente, non è del passato.
Così lo sforzo di non cercarlo sono in grado di farlo.
Ma se mi cerca lui, quando lo fa con modi tranquilli e normali e non con quelli esagerati e squilibrati che tanto mi fanno paura, io ci sono.

Ho accettato di vederlo perchè evidentemente anch’io ne sentivo esigenza.
Se non si ha voglia di fare una cosa, non la si fa, semplicemente.

Devo capire come affrontare questo sentimento perchè, dal momento che esiste e non mi abbandona, devo saperlo vivere e accettare senza che mi sconvolga e mi riporti a lui.

E questo perchè so bene che lui è fatto così e le cose che mi hanno fatto tanto soffrire e portato a dire basta, sono tutte lì e sarebbero ancora più devastanti.

Di fatto promette cambiamenti radicali, ma è sempre allo stesso punto, in primo luogo in famiglia e poi per il resto.
Anzi, a me sembra che la sua capacità di assumersi responsabilità sia ancora più offuscata dal periodo di evidente crisi e confusione.

Eppure il mio sentimento esiste e ne sento la presenza dentro di me pur nelle varie consapevolezze che ho, e nella gioia della ritrovata vita un po’ più serena e normale che tanto ho desiderato e lottato per raggiungerla.
Convive con me anche il sentimento per quest’uomo.

Il mio dott mi diceva, l’ultima volta, che i sentimenti sono di gran lunga molto più forti della ragione.
Con la ragione si fanno valutazioni e considerazioni, che ti portano a determinarti.
Mentre il sentimento sgorga da dentro, ha vita sua, e resta molto legato al ricordo delle sensazioni belle che abbiamo vissuto..

Io so anche che ho sempre fatto molta fatica a liberarmi dai sentimenti.
Fanno parte di me anche quelli di storie passate (ne parlavo anche in un altro thread)e il mio mondo interiore è sempre stato molto in balia dei sentimenti.
Nelle storie importanti che ho avuto, è sempre accaduto che, anche dopo la fine, ci si vedesse magari ogni tanto e si continuassero a vivere momenti intensi che poi non portavano a niente, così, sospesi. Come tornare a casa a ristorarsi dopo un lungo viaggio, sapendo già però di dover comunque ripartire e proseguire il viaggio, sapendo di non potersi fermare…

Mi rendo anche conto che è necessario che questa volta io affronti la cosa in modo diverso.
Sarebbe deleterio sia per me che per lui incunearsi in questo limbo in cui ci si vede magari ogni tanto, lui lasciandomi in pace negli intervalli, mentre ognuno si fa la sua vita.
Lo so..
Eppure saperlo non è bastato …

Devo accettare di provare questo amore dentro, ma devo altrettanto accettarne l’impossibilità perchè se no non esco più e mi rovino la vita…

Oggi sono un po’ sotto sopra, penso sia il minimo visto il guaio che ho combinato!
Ma sento anche che è ora di affrontare questo aspetto del problema, ossia il fatto che anche per me dentro al cuore non è finita ed è difficile finirla…

Spero di poterne trarre qualche insegnamento positivo e che le conseguenze non siano devastanti..

Marrifede

 

Cara Marrifede,

il tuo messaggio mi ha colpita molto, perché riguarda molto anche me.

E’ vero: si fa tanta strada verso se stessi, ci si riappropia di parti importanti del proprio essere, si comincia ad essere “curiosi” del mondo esterno, ci si emancipa dall’impeto della gelosia e dall’ansia di possesso, si sente il fresco di una serenità nuova, si sorride e si ride. E poi…però c’è ancora quel legame così profondo dentro di noi, che proprio nel momento in cui sembra staccarsi definitivamente, e finalmente, torna a stringere, a stringerci, a confonderci, a fare paura.

Quello che è nuovo fa paura, crea ansia, disagio, non solo serenità, e così è spesso più semplice tornare giusto un passo “indietro” per sentirsi di nuovo un po’ “a casa”, anche se è sempre stata una casa in cui non ci siamo sentiti totalmente felici e appagati, quella casa/situazione/persona la conosciamo.

Personalmente mi sto rendendo conto di quanto la mia “paura dell’intimità” mi faccia spesso tornare indietro. Mi scopro curiosa, come ho detto sopra, e mi sento serena, ma quando sento che la mia vita potrebbe effettivamente “cambiare”, o qualcuno o qualcosa vorrebbe entrare nel mio bozzolo, mi richiudo in me stessa e continuo a cercare lui, perché stare con lui mi è ormai “familiare” e mi rende una felicià momentanea che ho paura di cercare altrove, non ho il coraggio di farlo, mi sembra di perdermi, di perdere me stessa, invece in quel legame così precario e instabile, così carico di dolori e piaceri allo stesso tempo, ci sono io e c’è quel mio “amore” che mi caratterizza, che in questo momento mi dà un’identità fittizia, e mi lascia in “sospensione”.

Faccio molta fatica a non “giudicarmi” e non colpevolizzarmi, perché sento che “dovrebbe” essere arrivato per me il momento di crescere, e invece sto prolungando e prolungando ancora la costruzione della mia serenità, perché ho ancora tanta paura, e spesso le mie parole “sagge” si scontrano inesorabilmente con la realtà, ed eccomi di nuovo, ancora, tra le sue braccia ad elemosinare qualche carezza oppure ad avvertire una gelosia devastante quando riceve una chiamata che non so di chi sia, senza occuparmi invece di chi sono io e di quelli che sono i miei obiettivi.

D’altro canto però credo che tutte queste paure, la paura di ri-cadere, la paura di soffrire nuovamente e tanto come in passato, faccia perdere di nuovo e ancora di più il punto di osservazione su noi stesse. Perché se mi osservo con attenzione, nonostante io sia ancora totalmente decentrata e impelagata in un’ossessione, ho cominciato a costruire altre parti di me, a costruirmi a poco a poco quel percorso parallelo di auto-conoscenza, che oggi mi fa essere “diversa” e mi fa reagire diversamente a ciò che mi accade intorno, dandomi la possibilità di ferirmi meno o comunque di reagire diversamente a una stessa situazione, che magari un anno fa mi era totalmente insopportabile. Insopportabile perché non sapevo da dove venisse tutto quel dolore, mentre adesso di quel dolore e di quel sentimento ne ho riconosciute le tracce e ho imparato a riconoscerle e distinguerle.

Non credo che tu abbia combinato un guaio, se è accaduto questo riavvicinameto l’unica cosa da fare è osservarlo, ed è quello che tu stai già facendo, considerando la consapevolezza che hai nel dire: “ma sento anche che è ora di affrontare questo aspetto del problema, ossia il fatto che anche per me dentro al cuore non è finita ed è difficile finirla…”

Non è finita ed è difficile finirla. E’ così, questo mi “rallenta”, ma non posso fare altro che accettarlo e nel frattempo continuare a prendermi cura di me, fino a che il distacco “definitivo” diventi un dolore sopportabile e non devastante.

Intanto ti mando un sorriso e un abbraccio,
Elegys

 

 

Ciao Federica,
chi di noi può dire esattamente cosa è successo?
Ho provato ad immedesimarmi in questa tua dinamica per comprenderti al meglio, ed ho spinto la mente a tempi lontani, quando anche io tentavo disperatamente di staccarmi da storie distruttive, ma mi ritrovavo a cedere spesso e volentieri alle manifestazioni prepotenti delle mie emozioni.

E’ difficile scindere la costruttività per noi stessi e per la coppia dalle emozioni che scaturiscono dalla relazione stessa e che ci portiamo inevitabilmente dentro. O meglio, anche quando si riesce a fare questa operazione, come dici tu, è molto dura resistere davvero al tremore dei nostri sentimenti.
Il problema, per come la vedo io, è che anche in presenza di “oggettiva” (se così si può definire) dipendenza, questo non esclude la presenza di sentimenti ed emozioni.
Sta proprio qui la difficoltà secondo me, nel senso che le dinamiche distruttive alle quali sottostiamo sono le “colpevoli” di innescare un circolo vizioso cui non possiamo resistere, sono quelle che attivano emozioni verso determinate persone o una in particolare, ma appunto: le emozioni esistono, sono state attivate, per quanto non siano ascrivibili entro ciò che l’amore aspira ad essere (rispetto, libertà, comprensione, condivisione ecc.).
Un’emozione forte ed irresistibile per noi, è un’emozione forte ed irresistibile. Non la si può certamente scacciare con un ragionamento razionale, anche se lo si vorrebbe.

Il problema è “disattivare” il meccanismo che ci rende così vulnerabili e “conquistabili” da determinate situazioni e persone, disattivare quel meccanismo così forte che ci fa percepire quell’emozione forte come irresistibile e necessaria per noi. Ma questo è un processo lungo e tortuoso, che include spesso delle ricadute, a volte imprevedibili.

Arrivo al punto.
Io credo che una via percorribile potrebbe essere quella di accettare che la realtà dei fatti attualmente è questa: tu oggi sei ancora quella persona che è catturata da quest’emozione, da quest’uomo, a livello affettivo, e che sente ancora la necessità di abbandonarsi a tutto ciò.
Perchè? Lo devi senz’altro scoprire tu, perchè la risposta è strettamente personale.
Se così è, è chiaro che la questione non è semplice a livello pratico, perché di fatto per te questa persona riesce ad essere davvero pericolosa.
La strada potrebbe essere quella di staccarti “forzatamente” (vista la potenziale gravità dei suoi atteggiamenti) e contemporaneamente lavorare sulle cause più profonde che ancora ti portano istintivamente lì.
So che è quello che già stai facendo, ma forse manca l’accettazione nei confronti di te stessa di non essere ancora giunta al traguardo, ma di essere ancora nella fase dei “lavori in corso” e che questo prevede delle crisi “di astinenza” che ti possono fare inciampare.

Alcuni spunti per riflettere: una via di fuga?
Le vie di fuga possono servire per scaricare stress accumulato in eccesso dovuto ad un comportamento autopunitivo in cui alcune nostre dimensioni sono state represse da noi stessi (in riferimento ad un insegnamento ricevuto in proposito).
Nel momento in cui si attua consapevolmente “repressione” nei confronti di una situazione affettiva che sappiamo ci fa del male (come nel tuo caso), ma non si è superata ancora la causa emotivamente, si viene a creare un conflitto.
Anche perché di fatto si sta tentando di aiutarsi attraverso la stessa dinamica che può aver originato la problematica: la forzatura, l’autocostrizione.
Così si sente ancora la necessità di lasciarsi andare al proprio bisogno che, simultaneamente, ci permette di scaricarci e di soddisfare l’emozione e la spinta ancora esistenti, rispondendo però ad un dettame preciso interiorizzato (un pò come dire: “posso lasciarmi andare, perchè ne ho bisogno emotivamente, purchè questo non pregiudichi l’imperativo sotteso ed originario, per esempio: “non devo essere felice, perchè non lo merito”)

In questo cedimento può centrare anche molto semplicemente una “resistenza”: la paura inconscia ed incontrollabile di prendere davvero una strada nuova e di abbandonare quella vecchia, fatta di schemi che abbiamo scoperto non sono funzionali al nostro benessere, ma a cui ancora rispondiamo in modo reattivo.

Intraprendere sul serio un percorso di distacco dal modo di essere vecchio è qualcosa di duro da accettare e realizzare e porta con sè anche un pò di nostalgia.
La nostalgia di lasciare davvero il mondo della fanciullezza (a livello affettivo) per entrare in un mondo più adulto fatto anche di più responsabilità e di maggiori rinunce.

Non so quanto tutto questo possa avere a che fare con la tua situazione e so che di certo non ti risolverà il problema, ma è quello che mi è venuto in mente anche in riferimento alle mie esperienze passate.
E magari sviscerare alcuni punti un po’ di più, può favorire il raggiungimento di una soluzione, magari non prevista. Spero che riuscirai a trovarla, e nel frattempo spero che questa tua nuova condivisione ti aiuti a continuare a percorrere la strada per te più giusta.

Un abbraccio
Yana

 

Grazie a tutte,
perchè tutte mi fate sentire compresa e non giudicata ed è importante, perchè oggi mi sento già molto in colpa.
E tutte dite cose che esistono dentro di me e mi ci ritrovo, mi danno spunti per riflettere ancora…

Penso che il fatto del bisogno di lasciarmi andare un momento, dopo mesi che lotto non solo con lui ma anche con me stessa per “fare la cosa giusta”, ci sia stato e ci sia.
Mesi di lotta, la cura dal dott, l’ascolto della musico terapia ogni giorno, gli sforzi di reinserirmi in un contesto di socialità dopo tanto tempo.
Tutte cose molto faticose, anche se hanno portato evidenti risultati.

Forse però anche tutto questo forzarmi ed imporre cose a me stessa e a lui è stato duro.
Il bisogno del momento in cui ti lasci andare e non pensi a niente arriva…

Il mio è un legame che dentro di me esiste ancora e continuerà ad esistere.
Ma so anche che è distruttivo.

IL fatto è che ci sono mille implicazioni emozionali: nel momento che sento veramente che sto “lasciando andare”, ossia davvero giungendo alla fine sia per me che per lui, è tuttora molto duro e se proprio in quel momento lui mi cerca, probabilmente mi blocco per questo motivo. Perchè fare il passo successivo significherebbe lasciare davvero definitivamente andare ed emotivamente forse non sono ancora pronta a farlo.

Penso che il legame sia molto profondo e questo rappresenta un ostacolo grande ad andare oltre, sia per me che per lui.
Lui sarà anche bugiardo, disequilibrato, ossessivo ecc., ma penso che anche per lui si tratti, a questo punto, di dipendenza e non di un capriccio.
E’ quasi un anno da quando ho iniziato a dire “basta” e penso che se siamo ancora qui a cadere, evidentemente c’è un legame di dipendenza molto radicato per tutti e due, che tutti e due facciamo fatica a superare, andando finalmente avanti con le nostre vite e lasciando che anche l’altro lo faccia.

Purtroppo però devo trovare il modo di far fronte perchè le conseguenze per me possono essere davvero pesanti e pericolose, come dice Yana.

In effetti oggi mi ha già chiamata, per dirmi di pensare alla possibilità di andare una settimana in vacanza…
E visto che io ho reagito male, dicendo che allora ricomincia tutto come prima e ci eravamo detti di no, mi ha subito accusata di avere un altro…
Insomma la solita vecchia storia, proprio quel delirio che tanto mi distrugge…

E l’ennesima prova che lui non cambia: solo ieri diceva che non si sente più di essere geloso, che ha capito e che non mi accuserebbe più tanto per partito preso, ed oggi eccolo qua…

Ma non gliene faccio una colpa: è ovvio che dopo due giorni così lui mi cerchi, cosa speravo?
I patti chiari del “vediamoci poi ti prometto che ti lascio stare di nuovo” sono frutto del desiderio di vedermi, poi dopo è altrettanto chiaro che quello stesso desiderio spinge molto di più dell’impegno preso.
Non è neppure che mi manchi di rispetoo: sono io che manco di rispetto a me stessa, cosa pretendo da lui?
Lui mi cerca per lo stesso motivo per cui io faccio fatica ad eliminarlo del tutto: perchè ci sono emozioni che non si dominano, peggio ancora se vengono ancor più sollecitate…

LE dinamiche del “vedersi ogni tanto”, come dicevo prima, sono già sbagliate con una persona normale.
Ma con uno così sono boomerang che ti tornano addosso con una forza e violenza ipoteticamente dirompenti…

Ed è inutile che pretenda sforzi da lui, che era riuscito a stare silente per più di venti giorni e 25 senza vedermi..
Se poi però mi cerca e ci sono e per di più condivido con lui momenti nuovamenti belli e intensi, sono IO a dovermi chiedere qual è il mio problema e come risolverlo.
Lui mi cercherà finchè percepirà questo. Che io sono ancora legata a lui dentro di me.
E sparirà quando io non gli darò più questa percezione…

Ma IO come e quando arriverò a questo?
A che prezzo ancora?

Il sentimento c’è, è innegabile.
Ma porca miseria se al mondo c’è un amore sbagliato è sicuramente questo mio!

Lui promette, racconta che ha capito la mia libertà e la mia onestà e oggi è già lì che accusa, solo perchè gli ricordo la situazione che ci siamo ripetuti ieri…

Quindi LUI NON CAMBIA.

E io non reggo una situazione così.
Anche se è una persona che sento dentro di me.

Non so se sia la paura di qualcosa a tenermi ferma.
Non saprei di cosa.

Ma forse invece sì: il VUOTO.
Le uscite, le amicizie, i fine settimana al mare, il lavoro, le piccole cose: tutto bello che da serenità lì per lì.
Ma che non cancella il vuoto.

E allora se tu hai una persona dentro, e quella persona per di più ti cerca con un’insistenza che va avanti nonostante tutto, forse arriva anche il momento che la tentazione di riempire quel vuoto dall’esterno, con quella forma di amore che quella persona è in grado di darti, prevale…

E poi dopo come sempre, la vita presenta il conto.
Per ogni mia debolezza, tutta la vita, ho sempre pagato prezzi molto alti per me.

Ma è inutile il vittimismo.

C’è che ci sono anche attimi in cui, dopo, mi chiedo se davvero non sarebbe possibile un miracolo, un cambiamento, un lieto fine.
Poi un attimo dopo sorrido amara con me stessa, per la mia testarda ingenuità, per il mio modo così triste di credere nell’amore a tutti i costi…

Spero di riuscire a trarre anche da questo passaggio un insegnamento, qualcosa che mi aiuti ad andare avanti.
Perchè è avanti che voglio andare, non di certo tornare indietro..

Grazie del vostro aiuto!

Marrifede

 

“Eppure lui è dentro di me.
Non c’è verso.
Il mio sentimento per lui esiste ed è presente, non è del passato.
Così lo sforzo di non cercarlo sono in grado di farlo.
Ma se mi cerca lui, quando lo fa con modi tranquilli e normali e non con quelli esagerati e squilibrati che tanto mi fanno paura, io ci sono.”
Cara Federica, penso che il nocciolo di quello che stai vivendo sia qui. al momento attuale tu, per tutto quello che hai maturato e compreso della tua storia e di te stessa in rapporto alla tua storia, riesci a non cercarlo. questo non era scontato qualche mese fa e tutto il forum è testimone del grande cammino di crescita che c’è dietro. al momento attuale, però, non riesci a sottrarti se lui ti cerca nei modi che, probabilmente, gli sono stati propri quando la storia è cominciata. penso che molti di noi maldamorati siano allo stesso punto in cui ti trovi tu. ed è per questo, dopo tutto, che siamo ancora qui. lui è ancora dentro di te, probabilmente lo sarà sempre, il problema è, come dici bene, che lo è nel presente, non nel passato.
ieri una cara amica mi ha fatto riflettere sulla forza e l’inganno dei ricordi. i ricordi ti legano alle persone come erano non come sono attualmente. allo stesso modo cristallizzano noi stessi in sentimenti e sensazioni che vorremmo superare ma che ci riproponiamo alimentate dal ricordo.
Penso che la via d’uscita sia, ancora una volta, la consapevolezza di cosa sia il tuo bene, come hai detto benissimo nel tuo intervento, che non significa negare un sentimento che c’è ed è reale. si tratta di “tagliarli” i viveri, non rifornirlo più di emozioni nuove e non alimentarlo coi ricordi del bello che c’è stato. Leggendoti e leggendo gli altri interventi mi sono anche interrogata sulla mia definizione di amore, acnhe a me piacerebbe che l’amore fosse, senza ombre, solo connotato da aspetti positivi, condivisione, comprensione libertà etc (per citare yana) ma per me non è così. non ho conosciuto amore che non avesse lati oscuri, che accanto alla comprensione non mettesse magari un pò di opportunismo, che a fianco della libertà non avesse anche cinismo etc.. l’amore è un sentimento molto “denso” che si ciba di tutto quello che siamo stati e siamo, non mi sento di dire che c’è un modo giusto di amare, nè che nell’amore non ci possa essere negatività odio addirittura… è giusto tendere a un amore che rispetti noi stessi e l’altro, che sia il nostro bene e il bene dell’altro… ma in modo sufficiente. questo l’ho imparato essendo madre e sperimentando l’amore più assoluto che si possa provare per un altro essere umano, cito non so più che psicologo o psicoterapeuta che di questo concetto ha fatto la sua teoria principale, si può solo sperare di diventare madri sufficienti non già buone madri. e se ne deve essere orgogliose! un abbraccio a tutte e a tutti

Zoe29

 

” Leggendoti e leggendo gli altri interventi mi sono anche interrogata sulla mia definizione di amore, acnhe a me piacerebbe che l’amore fosse, senza ombre, solo connotato da aspetti positivi, condivisione, comprensione libertà etc (per citare yana) ma per me non è così. non ho conosciuto amore che non avesse lati oscuri….”

Ciao Zoe,
il tuo intervento mi è piaciuto molto anche perchè secondo me hai toccato in modo molto acuto una questione subdola e difficile da controllare: quella dei ricordi, i ricordi che possono confonderci nel presente.
Ed aggiungo, come hai anche accennato tu, che oltre ai ricordi ci sono i lati “buoni” della persona (tutti ne hanno) che possono riemergere nel presente, ricollegarsi ai tempi “belli”, ed alimentare il sentimento e/o la dipendenza.

Ho riportato questo stralcio del tuo intervento perchè vorrei specificare una cosa. Anche io sono d’accordo che l’amore non sia solo un elenco di belle intenzioni e buoni atteggiamenti.
Le ombre ci sono e secondo me è normale che sia così: chi crea una relazione amorosa sono due esseri umani e gli esseri umani, con tutti i percorsi di autocostruzione che possono intraprendere, rimangono delle creature che contengono sempre e comunque delle ombre, dei limiti e dei difetti.

Ma un conto è non essere perfetti, avere anche dei punti su cui non si è in piena sintonia, attraversare delle crisi (che, per come la vedo io, fanno parte, prima o poi, di una relazione duratura); un altro è il totale non rispetto e la totale insanità di un rapporto.
Credo che il caso di Federica sia una situazione delicata e pericolosa, e probabilmente parlo così anche perchè ho vissuto la sua stessa esperienza.

Quello che lei ha subito e potrebbe subire ancora non sono delle piccole ombre, ma degli abissi che secondo me bisogna imparare a decidere di non sopportare.
Un conto è non cercare ed aspirare all’uomo ed alla relazione perfetti, un altro è accettare di annullarsi per non sentirsi soli, accogliere violeza psicologica e quant’altro pur di non lasciare andare….

Ecco, volevo solo specificare questo perchè non vorrei si fosse frainteso ciò che intendevo.
Una relazione soddisfacente di certo non può contenere solo esperienze e sentimenti “positivi”, ma per me di certo si deve “basare” sul rispetto. Il rispetto implica (in percentuale ed intensità differenti, a seconda delle persone, della storia, dlle esigenze ecc..) libertà, comprensione ecc…
Insomma credo che una relazione, qualsiasi, ci debba fare stare bene.
Questo vale anche e soprattutto proprio se si hanno dei figli.
Poi il modo per arrivare a questo ognuno lo fa a modo proprio, percorrendo il percorso che sente più suo e che riesce ad intravvedere.

Un abbraccio

Yana

 

Ciao Yana,
è proprio come dici tu.
sono consapevole che non esiste l’uomo perfetto e la relazione perfetta, io per prima non lo sono e nessuno può dire di esserlo.

Che l’amore ha anche ombre.

Ma il mio caso purtroppo è un caso limite, perchè ho toccato con mano che le sue “ombre” sono per me devastanti: si tratta non solo di difetti, ma di squilibri che lo portano a non rispettarmi, a invadere la mia testa con la sua gelosia ossessiva che mi aveva portato ad isolarmi dal mondo, lo portano a mentire anche su cose delicatissime, pur di trovare una via d’uscita, sempre in modi manipolatori per me e il mio cervello e le mie emozioni.
Senza contare che lo vedo come una persona che tuttora non è in grado di assumersi una responsabilità.
Continua in fondo a fare come ha sempre fatto, anzi anche peggio.
Non se ne va da quella casa, perchè in fondo non ce la fa, però con l’alibi del dolore e della disperazione, e del fatto che deve trovare se stesso, impone a moglie e figlia un modo di vivere totalmente ai margini, ai confini.
Lui è sempre più assente e distaccato anche dalla vita della bimba, però non se ne va.

E questo non mi da l’idea di alcuna affidabilità e stabilità, se lo guardo come compagno di vita.

E poi questa gelosia che lo porta ad accusare sempre.
A cercare sempre il marcio negli altri…

Se lui cambiasse…
Sì, se cambiasse ci sono lati di lui che indubbiamente mi piacciono e si incastrano con i miei, creando quell’alchimia che ci fece avvicinare tanto all’inizio…
Ma non cambia.
Le persone non cambiano, specie se non ci lavorano con reale esigenza di superare aspetti di se che percepiscono come disequilibri.
E non è il suo caso.

Sì, nella mia situazione io so che se mi lascio andare mi rovino la vita.
Ne ho il terrore e so che ho il dovere per me stessa e verso me stessa di non correre questo rischio.
Penso che è un rischio che, se poi va male, potrebbe annientarmi perchè se già sta volta faccio così fatica, dopo come potrei fare a rialzarmi?

Ma altrettanto sento che, seppure rafforzata, non sono ancora oltre.

A livello emotivo c’è ancora amore e lasciare amando ancora è molto difficile.
Mi è già successo in passato e infatti è stata una storia che ha segnato indelebilmente la vita.
Quella volta però fu più “facile” (se così si può dire), perchè dall’altra parte non c’era un matto.
QUindi dovetti affrontare “solo” il dolore immenso della perdita.

Qui c’è una persona che è squilibrata e dipendente come e più di me.
Tutto è più difficile.

Eppure ho 38 anni ed è necessario che io capisca che questo amore è un lusso che non posso permettermi….

Marrifede

 

Ciao Federica,
quando io ho vissuto la storia che somiglia molto alla tua, ho provato queste tue stesse sensazioni ed emozioni per un bel pò di tempo dopo la rottura finale (che è sopraggiunta dopo mille tira e molla come quelli che descrivi tu).

Anche per me accettare di perdere lui equivaleva a perdere per sempre il “vero amore”, come se stessi rinunciando alle emozioni ed ai sentimenti più forti e vivi che potessi provare.
Non sai quanto ti comprendo e leggendoti mi viene in mente tutto.
Questa è anche una caratteristica abbastanza normale e comune di quando si deve accettare il distacco da una persona per la quale ancora proviamo delle emozioni.

Quando si ama qualcuno, o comunque si sono condivisi esperienze e sentimenti che ci hanno toccato e coinvolto profondamente, si identifica questa persona con l’amore e questo dura fintanto che queste emozioni persistono.
Ci sono persone che vengono picchiate violentemente dai loro compagni per anni, che non riescono a lasciarli e che, a dispetto delle vere motivazioni che stanno sotto a questi rapporti insani, continuano a sostenere che non lo fanno perchè, nonostante tutto, “li amano”.

Un mese dopo la rottura definitiva con il mio ex, io ero ancora distrutta e pensavo ancora a lui.
Ricordo che pensavo, e scrivevo anche, che per il mio bene avevo rinunciato a lui, ma che sicuramente non avrei mai vissuto un amore più forte e che l’amore per me era finito.
Non è stato assolutamente così, anzi.
Anni dopo l’ho rincontrato e ti assicuro che ho provato rifiuto, assolutamente nessun tipo di attrazione o forte emozione nei suoi confronti, forse un pochino di pietà (brutta parola) per aver notato che era rimasto dove lo avevo lasciato e non aveva fatto nessun passo avanti per recuperarsi.

Ma dopo quell’incontro sono andata avanti con la mia vita come prima.
Poi tutte le storie sono diverse, non è dtto che la tua debba finire esattamente come la mia, e ci sono altre persone, magari meno disturbate di lui, che mi sono invece rimaste dentro molto di più.
Però mi riconosco in tutti i moti che descirvi riguardo a lui, compresa la connessione che fai dell’amore con la sua presenza nella tua vita e tutti i pensieri e le destabilizzazioni che ne conseguono.

Dopo aver sofferto molto per le sue violenze e poi per la sua mancanza (sembra assurdo, ma è proprio così), quando sono riuscita a riprendermi davvero, nè lui nè il suo pensiero riuscivano più a sconvolgermi nè mi sucitavano desiderio, pensieri d’amore o forti emozioni.
Anzi, ho provato per un pò di tempo paura, rifiuto, rabbia.
Alla fine tutto è diventato indifferenza e a pensarmi come ero nel periodo che lo frequentavo, quando ERO CONVINTA che nonostante tutto lui fosse l’uomo della mia vita, mi sembra di essere un’altra persona.

Mi colpisce molto quando scrivi che sicuramente non smetterai mai di contenere dentro di te queste emozioni per lui, perchè è la stessa cosa che pensavo io.
Ripeto che magari non ci sarà lo stesso epilogo, ma di certo non puoi ragionare col “per sempre” riguardo al futuro.
Non pensare al “mai più”, perchè non lo sai quale evoluzione potrai avere tu e nemmeno le tue emozioni attuali.
Ora le tue emozioni sono collegate fortemente non solo a lui, ma anche a quello che sei tu oggi e che non è lo stesso di ciò che potresti essere domani.

Questo per dirti che anche se non posso prevedere il tuo futuro, posso di certo dirti che quella mia esperienza del passato, molto simile alla tua nelle esperienze e nelle emozioni, nel tempo è stata superata in toto e che oggi io sto bene e non mi condiziona più.
Ma per arrivare a questo ho passato un anno molto travagliato, ho sofferto tanto e mi sono sentita per lungo tempo proprio come te.
Spero questo possa infonderti un minimo di speranza.

Un abbraccio forte

Yana

 

Grazie Yana,
lo so che col tempo si supera il peggio.

Forse a me spaventa vedere che il tempo per ora è contato un po’, ma non abbastanza…

Ossia: ad agosto sarà un anno che io ho iniziato a dire il basta, lo ricordo ancora.
Dopo avere sofferto come un cane tutti i mesi precedenti, andai dal dottore e feci il punto della situazione.
E poi dissi il mio basta.

E da lì scaturì tutto il delirio che sai.

E allora vedere che a distanza di quasi un anno sono ancora messa così, mi sgomenta, mi fa paura non più tanto di lui, ma proprio di me stessa.
Perchè a livello emotivo evidentemente c’è un legame fortissimo che ancora son ben lungi dall’avere supereato.

E questa precoccupazione aumenta se penso che, nel frattempo, ho concretamente compiuto passi avanti e, grazie anche alla terapia, ho iniziato un percorso di recupero della mia serenità che mi ha portato anche ad un reale miglioramento sia dei miei stati d’animo che della qualità della mia vita…
E allora a maggior ragione mi chiedo perchè tutto questo non sia stato e non sia ancora sufficientemente rafforzativo per me, per le mie determinazioni, quando è di tutta evidenza quanto è diversa la mia vita con lui dentro o fuori di essa…

Questo mi preoccupa e mi amareggia per me stessa, ripeto, ormai più che per lui…
E’ come se tutti gli sforzi che ho fatto li vedessi non dico vanificati, ma certo sviliti se il risultato è ritrovarmi fra le sue braccia…

Eppure lo so che le cose che dici sono vere.

Lo so razionalmente ma evidentemente emotivamente c’è stata e c’è una battuta d’arresto o non so bene come chiamarla, c’è un disagio dentro che devo in un qualche modo affrontare…

Grazie per il tuo sostegno!

Marrifede

 

Cara Federica solo in questa altalena fra piani diversi, razionalità, sentimenti, nuove consapevolezze, cadute, affermazioni, si cresce. e tu lo hai già fatto tanto! è una “danza relazionale” che non finisce mai, io sento da quello che dici e da come lo dici che tu sei già molto distante da questa esperienza, questo “tornare indietro” può servirti per prendere lo slancio per allontanarti ancora di più da quella esperienza e da quella persona. credi in te e nel tuo personale progetto di vita, in definitiva è quello il punto cardinale a cui restare ancorati, un abbraccio pieno di stima e di affetto

Zoe29

 

E’ come se tutti gli sforzi che ho fatto li vedessi non dico vanificati, ma certo sviliti se il risultato è ritrovarmi fra le sue braccia

Comprendo la sensazione, è legittima.
Ma la realtà dei fatti, come la tua stessa situzione (interiore e relazionale) ti dimostra, non è così lineare e scontata.

I tuoi sforzi non sono di certo vani, e nemmeno la tua continua introspezione e il tuo modo di riappropriarti piano piano di una vita più serena ed in un certo senso più adatta a te.
I passi che fai ti stanno dando delle piccole grandi soddisfazioni, comprese non solo le esperienze che hai accettato di accogliere nella tua vita quotidiana, ma anche le relative sensazioni di bellezza e libertà di cui ci hai resi partrecipi non molto tempo fa.

Tutto questo è il segno che qualcosa sta cambiando, ma nella vita non è come nei film americani, dove nel giro di due ore di riprese il protagonista passa da un passato infuocato ad un lieto fine definitivo ed assoluto grazie a qualche seduta dallo psicoterapeuta e magari qualche visitina ad un gruppo di autoaiuto
Nella realtà tutto è molto più complesso, articolato ed intrecciato.
Mentre si fanno passi avanti, la vita continua ed è comunque difficile tenerle testa, perchè ci sono mille cose cui far fronte, compreso lo stress quotidiano dovuto non solo al nostro particolare problema, ma a tante altre cose (sentimenti, implicazioni, ricordi, imprevisti, momenti di debolezza, doveri, responsabilità, paure, incostanza dell’umore, ecc..)

Il nostro modo di interagire con la vita non cambia certo da un giorno all’altro: sono tutte cose che sai, ma io te le voglio ricordare
Mentre procediamo, abbiamo bisogno di continuare a vivere, e non è che solo perchè stiamo procedendo e sforzandoci di pensare a noi stessi in modo più costruttivo, questo ci riesce automaticamente in modo perfetto ed immediato.
La ricostruzione di noi stessi abbiamo detto tante volte che si esplica attraverso un percorso. La durezza di questo percorso non è solo rappresentata dal tempo e dal dolore, ma anche dalle cadute, dai tentativi che falliscono, dalla debolezza che sopraggiunge (in alcuni momenti più di altri, è normale) e dalle resistenze che ci inducono sempre in tentazioni e che molte volte, purtroppo, quando non siamo ancora abbastanza forti, vincono.
Ma non essere ancora abbastanza forti, non vuol dire che non abbiamo fatto passi avanti, tutt’altro.

Senza contare che poi durante la vita, e durante la crescita, si imparano molte cose, se ne acquisiscono tante altre, ma ognuna a suo tempo. Non necessariamente tutto si evolve contemporaneamente, ed inoltre ciò che abbiamo appreso su di noi necessita anche di un certo periodo per essere digerito ed interiorizzato.
Stai riprendendo contatto con le belle sensazioni che puoi sperimentare anche senza di lui. Questo non ti ha fatto allontanare completamente dal bisogno e dalla tentazione di lui? Ebbene, ciò non deve indurti a pensare che allora sei allo stesso punto in cui eri prima.
Datti tempo, ancora, non pensare di aver fallito perchè non è così.
Tra il completo distacco e la completa ed inconsapevole dipendenza ci stanno delle vie intermedie e tu le stai attraversando.
Ci vuole costanza e pazienza e tutte le cose “piccole” che ti stai costruendo sono la base per poter essere più forte domani. Nel frattempo qualche caduta è praticamente normale, forse prevedibile.
E continuerà ad insegnarti qualcosa, non solamente in termini razionali, ma anche per quanto riguarda il tuo bagaglio emozionale ed esperenziale.

Quando la mia storia devastante è terminata, non senza conseguenze, in seguito non ho più desiderato contatti con lui nè ho ripetuto un’esperienza simile sotto molti aspetti. Ma sotto altri aspetti ho continuato a relazionarmi (con altre persone) in maniera prima inconsapevole ed insana, poi insana ma consapevole. Poi si è spezzato qualcosa, è nata una consapevolezza ancora nuova su di me, sulla mia vita, sono andata ancora in profondità, ho accettato di dialogare con alcune parti profonde che mi facevano paura come il mio senso di solitudine, e molto altro ancora..
Insomma, sono ancora in cammino, ma guardandomi indietro non posso certo dire di essere la stessa persona di parecchio tempo fa: mi sento non solo più consapevole, ma molto arricchita, più forte, più coraggiosa e più serena, nonostante le continue umane crisi che ogni tanto attraverso.
Questo per dirti che ognuno cammina sulla propria strada in modo personale ed assecondando le sue parti più intime, che non sono mai identiche a quelle degli altri, ma se decide di farlo, progredisce sempre.
Io l’ho fatto attraverso diverse relazioni, dove ho dovuto affrontare differenti aspetti del mio problema, tu magari stai facendo gran parte del lavoro tramite una sola relazione, ma questo non implica assolutamente un fallimento.

Ti sono vicina in questo momento di crisi

Yana

Le vostre osservazioni esterne, sul percorso fino ad ora fatto, mi sono di conforto.

Si sa che nei momenti difficili si tende a vedere tutto nero e le cose positive scompaiono o almeno si fanno piccole piccole ai nostri occhi.

In realtà io lo sento di essere andata anche avanti .
In due mesi e mezzo ho realizzato un’apertura e riaccarezzato il senso di libertà e benessere che erano veramente insperati sino a poco prima.
Se penso a quanto mi sentivo annientata e senza più la voglia e la forza di niente, capisco che i miei sforzi a qualcosa sono serviti…!

Forse per questo sono un po’ delusa da me stessa: io ho la tendenza a pretendere un po’ molto da me, e questi scivoloni mi fanno arrabbiare.
Anche perchè mi viene da dire che proprio in una fase positiva, in cui non sono più sola e isolata come prima, in cui sento la possibilità di una vita serena e piacevole per me, in cui ho toccato con mano la differenza fra con lui e senza di lui e ho avuto conferma che senza è meglio…
Proprio qui vado a cadere?
Capisco quando sei più sola e indifesa, ma ora…

E allora affronto il fatto che il mio sentimento è vivo e vegeto, annidiato nella mia pancia come un piccolo parassita che vive di vita propria in parallelo alla mia vita e nutrendosene anche quando non me ne accorgo…

PEnso anch’io che sia tutto un fluire, questa benedetta vita.
In cui l’attimo determinante non è mai un miracoloso bagliore, ma frutto di tanti altri attimi, ore, giorni, a volte anni di cammino..

Questo momento mi insegna qualcosa ancora di me stessa.
Della mia fragilità.
Del mio essere donna (anzi, il mio dottore diceva che sono femmina, non donna!) che vive anche di emozioni e sentimenti, a causa o grazie alla mia natura molto molto sensibile che mi ha portato tanti dolori, ma certo mi ha donato anche di assaporare tante emozioni belle e di sentirmi viva. E non posso negare le mie emozioni tanto arrivano e dirompono quando poi meno me lo aspetto.

Del mio sentimento per quest’uomo che è per ora ancora presente, forse legato a ricordi e nostalgie, forse amplificato da attimi che vivi e neanche ti accorgi, ma ci sono.
Ma è presente.

Mi insegna anche che c’è ancora tanta strada da fare e un altro aspetto importante di me da approfondire: la mia difficoltà di sempre a chiudere i rapporti senza voltarmi indietro.
Questa non è la prima volta che, con la storia già finita e per mio volere, mi trovo a rivedere “ogni tanto” l’ex, trascorrendo momenti intensi, senza che ciò porti a niente senon a prolungare ed allungare il legame.
Siccome questa caratteristica tende a ripetersi in modo “seriale” nelle mie relazioni,anche questo forse è giunto il momento che io lo affronti e comprenda perchè, se voglio che questa volta sia diverso.

E con umiltà accetto che la mia fragilità può portare anche me a cadere, a vivere debolezze e insicurezze e non per questo non posso rialzarmi…

Forse ho tanta paura che la ricaduta di un attimo porti conseguenze ben peggiori, sia per come sono fatta io che per come è fatto lui. La paura è quella di non saper far fronte al momento e magari lasciarmi travolgere, mi terrorizza questa idea…
Però sono qua a parlarne proprio per scongiurare questo e darmi tempo di accettare il momento senza che le conseguenze si propaghino.
Spero che saprò davvero fare di questo momento un altro piccolo passo avanti e non una caduta libera in un precipizio!

Il forum come sempre è fonte non solo di comprensione e speranza, ma anche di aiuto concreto ad affrontare le situazioni..

Grazie a tutte di questo sostegno!

Marrifede

 

Due considerazioni: non sentivo lì per lì, quando lottavo per allontanarlo da me, di reprimere i miei sentimenti.
Mi pareva anzi di ricominciare a dare ascolto ad un amore più sano e veritiero: ossia quello per me stessa.
Sapevo di provare ancora amore per lui, ma era un amore privato di componenti essenziali: speranza, che è stata la prima che ho perso, poi fiducia, capacità di credere, stima, rispetto.
Quindi era un amore svuotato.
Ne restava la compoenente irrazionale, la emozione forse più per un sogno d’amore accarezzato nel primo anno bello e che vedevo infrangersi contro i muri di realtà che percepivo come ineluttabili…

Più che repressa, la componente dei sentimenti si era ridimensionata da se, senza uno sforzo mentale particolare in tal senso.
Anche perchè lui coi suoi comportamenti invasivi e manipolatori mi ha costretta ad una estenuante lotta per mesi e mesi semplicemente per sopravvivere, per sottrarmi finalmente a tutto ciò e ricominciare la mia vita.
Ho passato tanto tempo a lottare contro di lui, perchè quella era l’urgenza del momento, che non avevo semplicemente attenzioni per i miei sentimenti.
Era necessario pensare ad altro, a come andare avanti, a come liberarmi..

Finalmente ricomincio a vivere.
Due mesi e mezzo di libertà.
Lui che si fa vivo ogni tanto ma meno, sempre meno.
IL che mi permette di respirare.
Di conoscere di nuovo le sensazioni di serenità e libertà, di vita normale.

Ricordo che il 15 giugno me lo sono trovato sotto casa ad aspettarmi, dopo tanto tempo che non lo faceva.
E che lì per lì mi ero arrabbiata, ci ero stata male, mi ero anche avvilita.
Ma durò un giorno.
Poi ricominciai a spegnere il telefono e fare la mia…
Perchè si era trattato della ennesima sua manifestazione invasiva nei miei confronti, si era di nuovo manifestato per quello che era stato sino ad allora: gelosia ossessiva, mancanza di rispetto ecc.
Il tutto quindi mi aveva confermato nelle mie determinazioni…

Invece dopo sono seguiti 20 giorni di silenzio assoluto.
E io quando lui sparisce devo sempre affrontare il fatto che davvero non c’è più.
Che potrebbe essere la fine, sta volta.
E fa male.
Quindi i pensieri malinconici alla distanza arrivavano.
MA come qualcosa di necessario da superare per andare avanti ancora..

Poi lui si è fatto vivo e questa volta non invasivo, non con la sua solita mancanza di rispetto,col suo delirio.
Ma con toni dolci e rispettosi.
Mi ha chiesto di vederci,non me lo ha imposto.
Gli ho chiesto tempo per pensarci e lui me lo ha dato, senza tempestarmi di telefonate ansiose come sempre.
E così ho accettato.
E nel vederci è prevalsa la componente positiva del nostro rapporto, probabilmente perchè quella distruttiva l’abbiamo tutti e due voluta tenere a bada…

Insomma penso che è stata risvegliata la parte di me che lo ama, forse perchè lui si è proposto e dato a me non coi modi che me lo hanno fatto odiare (la rabbia di cui ti parlavo ieri), ma con quelle caratteristiche che me lo hanno fatto amare…

E ora forse lui ha più coraggio nel lasciarmi stare perchè ha percepito che se non devo combattere ogni giorno solo per un po’ di pace, può anche darsi che l’amore torni in superficie….

Marrifede

 

non sentivo lì per lì, quando lottavo per allontanarlo da me, di reprimere i miei sentimenti.

Più che repressa, la componente dei sentimenti si era ridimensionata da se, senza uno sforzo mentale particolare in tal senso.

Ho passato tanto tempo a lottare contro di lui, perchè quella era l’urgenza del momento, che non avevo semplicemente attenzioni per i miei sentimenti.
Era necessario pensare ad altro, a come andare avanti, a come liberarmi..

Ciao Fede,
ho voluto portare l’attenzione su queste tue riflessioni.
La mia personale sensazione è che ci sia stata, come dice Innuendo, una qualche repressione dei sentimenti.
Purtroppo a complicare tutto, nelle situazioni già difficili di per sè, è il fatto che non tutte le nostre azioni sono coscienti, quanto meno nel momento in cui le stiamo sperimentando.
Questo avviene quanto meno si sono superate realmente le dinamiche legate alla situazione, o che la situazione in qualche modo ci risveglia.
Peggio ancora se il vissuto è condito da quell’urgenza impellente di salvaguardare la propria vita, o comunque di affrontare problematiche concrete e pericolose.
Secondo me la verità sta, in parte, in ciò che hai detto tu nelle righe che ho riportato: hai dovuto affrontare un momento in cui c’era l’urgenza di un distacco perchè eri ormai lucidamente consapevole della pericolosità del rapporto. Questa ricerca del distacco è in qualche modo diventata, volente o nolente, la tua priorità, che corrisponde a quell’istinto di sopravvivenza a cui, con parole diverse, alludi sopra.
Almeno secondo la mia percezione.
Questo ti ha portata a “non avere attenzioni per i tuoi sentimenti”, come hai detto tu, quindi ad accantonarli per un pò, per consentirti di concentrarti davvero su ciò che razionalmente avevi concepito essere la cosa “giusta”.
Accantonare i sentimenti non vuol dire superarli.

La razionalità, molto utile in questo caso per affrontare la necessità prima rispetto alla tua incolumità, non va di pari passo con l’emotività.
Quando un tossicodipendente smette di assumere droghe perchè questo è ciò che gli viene prescritto in comunità e che lui ha compreso essere una cosa pericolosa, il bisogno ed il desiderio nei confronti della droga non lo abbandonano immediatamente e per ottenere questo egli deve affrontare un lungo percorso interiore.

Può darsi che dopo una sbornia quasi letale un alcolista si spaventi e decida di mettersi in salvo da se stesso e dall’alcol buttando nella spazzatura tutti gli alcolici presenti in casa.
Ma finchè non avrà elaborato le cause che lo portano al bisogno del bere, molto probabilmente prima o poi andrà a comprarsi altre bottiglie.

Anche volendo non considerare per un attimo la dimensione “insana” di questo rapporto e delle dinamiche implicate, la stessa cosa accade anche con i sentimenti.
Non considerarli, negarli, accantonarli, non conduce all’estinguerli.
Molto spesso anzi, questi tornano più violenti. Bisogna affrontarli di petto, e ci vuole tempo.

Poi..prova ad immaginare se una bottiglia d’alcol potesse parlare e dicesse a chi ha bisogno di lei “da oggi ti prometto che ti offrirò solamente gli effetti divertenti di me e non più quelli distruttivi!”
Sarebbe invitante no?

Un abbraccio Fede..

yana

 

..ti ringrazio anzi tutto perchè mi hai fatto sorridere, all’idea della bottiglia parlante!

Sì, in fondo io ho sempre detto e ripetuto e pensato dentro di me che io lasciavo per necessità, a causa della distruttività delle dinamiche del rapporto, poichè così tanto lesive del mio equilibrio.
Per necessità perchè avevo capito che non c’era speranza comunque di vita nè comune nè serena, per noi due…
Non certo perchè fosse finito l’amore.

Ho messo tutte le mie forze per riuscire a staccarci e a riprendermi un po’ della mia vita e della mia serenità.

Ma l’amore non se n’era andato, altrimenti quel telefono che rappresenta il mio legame con lui (visto che ne ho un altro con un altro numero da mesi…!), non mi sarei limitata a tenerlo sempre più spento, specie quando ero fuori casa: lo avrei buttato.
Ma buttarlo significava perdere ogni legame.

Ed evidentemente non ero e non sono ancora pronta…

Ed eccolo qua, il sentimento, che mi fa confondere e tremare di paura.

Meglio così: forse questo momento doveva arrivare.
Lo devo affrontare.
Accettare che provo ancora amore e capire che cosa farne, di questo amore…

I rischi che sono in gioco li sanno anche i muri, ormai, ma al cuore e all’istintualità e al desiderio dei rischi non importa un accidente!
Il cuore sente e basta…

IO non so e non saprò mai cos’ha nella testa lui: forse ha ragione Innuendo, forse anche lui ha capito che ottiene di più così, lasciandomi anche in pace, e che in questo modo in ogni caso anche lui sarà sempre sollevato dal fare la scelta che tanto non saprebbe fare. A maggior ragione visto che gli dico che i problemi sono tanti, anche se lui si separasse…

Ma quel che pensa e sente lui non mi aiuterà a capire che cosa sento e desidero io PER IL MIO BENE.

Però mi rendo conto che devo affrontare anche questo momento con tutta la confusione che porta, ascoltare la componente emozionale che è rimasta inascoltata e sopita per troppo tempo.

Sono convinta che mi servirà in ogni caso per andare ancora avanti, anche se spero che questo non abbia il prezzo di altri errori e sofferenze troppo devastanti…

Infatti mi chiedo: in un caso così, ascoltare il cuore vorrebbe dire dare spazio di nuovo al rapporto e vedere che succede?
Eppure sappiamo tutti che sarebbe pericolosissimo per me.
E allora se io ascolto il segnale di pericolo e razionalmente evito e sopprimo, metto di nuovo a tacere quella componente che oggi esplode proprio perchè troppo a lungo soffocata…

Non è facile…

marrifede

Ciao ragazze,
mi viene da dire che questi legami sono la risonanza dei vostri legami con le vostre ferite (quelle che riguardano voi stesse) e che quindi vanno di pari passo.
Niente di nuovo, lo so, ma per dire che ognuna di voi, a modo suo, sta percorrendo un percorso in questo senso e quindi prima o poi, passo per passo, ne potrà uscire.

Certo non si può prevedere il futuro, nè a mio parere è costruttivo “giustificare”, procrastinare o scrivere le regole del percorso valide per tutti.
Però fare un respiro, “concedersi” di non essere ancora uscite emotivamente dal tunnel e non essere eccessivamente dure con se stesse, quello sì.

Ci vuole tempo, l’importante è utilizzarlo al meglio questo tempo.
Se ci mettete 1 anno a lavorare parallelamente per voi, ma lo fate, questo anno sarà stato costruttivo e non “tempo perso”. E sarà “propedeutico” all’allentamento di questi legami.
Lo stesso anno fingendo di non vedere il problema sarà stato probabilmente meno costruttuivo.
Lo dico perchè penso a me stessa anni fa e a quante volte ho ignorato certe “cose” che stavano dentro di me: in questo modo ho solo permesso loro di perseguitarmi; ogni tanto, quando meno me lo aspettavo, ritornavano a galla e mi distruggevano.

I sentimenti, le paure, le ferite, gli squilibri interiori e gli eventi e le storie della nostra vita sono tutti interconnessi.
Non si può pensare di sfuggire ad alcuni di loro e di migliorare il corso della propria vita.

Allo stesso tempo non si può pensare di superare le proprie paure e i propri disequilibri in modo immediato o semplice.
Già decidere di farlo è una scelta coraggiosa e non così comune.

Io vi auguro di sciogliere al più presto tutti i vostri conflitti più radicati, primo fra tutti quello di pretendere “tutto subito” da voi stesse.
So bene che molte di voi sono alle prese da molto tempo con questi legami che non si riescono a dissolvere, ma non vedo, oggi, alcuna strada alternativa se non quella di procedere per passi.
Evidentemente è solo da relativamente poco tempo che avete preso coscienza di alcuni aspetti legati a queste storie e che avete cominciato a sentirli emotivamente, quindi tutto il resto avverrà, con il vostro impegno certo, ma non si possono saltare tutte le fasi intermedie sia di consapevolezza che di evoluzione emozionale.

Se siete ancora qua ci sono delle motivazioni, probabilmente diverse per ognuna di voi, è su quelle che secondo me dovete lavorare di più.
Accettate di avere questa debolezza e anche che questo comunque non fa di voi dei mostri (neanche dei “rispettivi”, però, se mi posso permettere..).
Altrimenti è come ripetersi di volersi bene ma continuare a mettersi in punizione e prendersi le mani a bacchettate per ogni errore.

Un bacio

Ps. Fede..sono contenta di averti fatto sorridere..vedo che gli “oggetti parlanti” non funzionano solo con i bambini!!

Yana

Ciao Yana,
concordo sul fatto che non si deve aspettarsi così tanto da noi stesse e soprattutto che occorre continuare incessantemente ad analizzare i motivi profondi del nostro così complesso modo di vivere ancora questi legami…

Anzi,ti dirò che ieri sera, ad esempio, mi sono detta che ok, ora è un’altra fase che affronto e se smetto di torturarmi per trovare una soluzione immediata, il tempo e la mia ricerca mi porteranno là dove devo andare..Dopo stavo già meglio e la serenità devo dire, anche in questi giorni turbati, non mi ha abbandonata…

Tuttavia a volte l’urgenza si fa sentire più forte.
Nel mio caso, posso dire che penso di avere talmente paura delle conseguenze di gesti d’impulso, di come potrebbero di nuovo rosicchiarmi la vita, che mi sento di dover far qualcosa subito per evitarmi ilpeggio..
Nel senso che nel mio caso, sapendo le dinamiche malsane in cui tutti e due siamo stati per tanto inghiottiti, non posso dire “lasciamo andare le cose e vediamo”: lo sperimentare le emozioni e viverle fino in fondo, nel mio caso potrebbe essere devastante…
Di qui la sensazione di dover far qualcosa subito per evitare tutto questo…

E nello stesso tempo però, capisco che facendo così le cose non si chiariscono.
Nel senso che dovrei davvero sentire il mio bene e non impormi ancora cose in nome della sopravvivenza…
Non è facile..

Ma le sensazioni sono tutte sintomatiche di qualcosa che è in noi: nel mio caso il sentimento risvegliato, ma certo anche questa paura che sento di ritrovarmi di nuovo a terra è una sensazione altrettanto forte…

Penso solo che vorrei sentirmi libera di sentire le cose e magari sperimentare, come fa lui, che non filtra mai fra cuore e azioni (nei miei confronti, per lo meno), senza porsi il problema delle conseguenze.

Invece io me lo devo porre e a volte è questa l’ansia di risolvere che mi prende…

Marrifede

Ciao Fede,
lo so bene che “non è facile”.
La prima persona qui dentro che ha preteso e che per certi versi ancora tende a pretendere troppo da se stessa..sono io!
Proprio comprendendolo, lavorando ed affrontando questa cosa, cercando di scorgerne le cause ma anche di invertire questo atteggiamento così automatico per me, ho iniziato ad intravedere un’ “apertura”.

L’apertura è verso me stessa, perchè è proprio di questo che ho (abbiamo) bisogno in fondo.
Alla radice di tutto c’è una chiusura verso se stessi, per ognuno sviluppata attraverso vissuti intimi e diversi da quelli degli altri.
Questa secondo me è la chiave e l’inizio di tutto. Un vero percorso di ricostruzione non può esistere senza accoglienza ed apertura verso di sè.
Certo questa può non arrivare subito, può costituire uno dei traguardi, dopo aver lavorato su altro, ma quando ci si comincia ad arrivare diventa il vero inizio.
Perchè da lì in poi tutto cambia, anche il dolore stesso, che non si può smettere di incontrare nella vita.

Prima parlavo in generale, ma riferendomi a te, sono d’accordo: come ho detto altre volte, concordo sul fatto che la tua situazione è palesemente intrecciata con reazioni per te pericolose da parte dell’altro.
Per questo necessita, nella misura in cui ci riesci, di soluzioni a volte un pò drastiche.

Non consiglierei mai ad una donna che subisce violenza (di qualsiasi natura sia) di “lasciare che le cose vadano come devono andare e..poi si vedrà”.
Il mio discorso era un pò diverso e si riferiva ai sentimenti.
Credimi, ci si può allontanare fisicamente da una persona, magari aiutate, per proteggere la propria incolumità (se si vuole), e nello stesso tempo continuare ad accogliere il sentimento ed il legame dentro di sè.
Per il semplice fatto che “rifiutarlo” o “rinnegarlo” (peggio ancora “negarlo”) non porta ad un vero distacco emotivo e ad una vera elaborazione. E in questo modo si protrae la sofferenza e si procrastina la guarigione di sè.
Certamente questo “non è facile”, è proprio questo il punto: che per affrontare davvero i problemi di strade facili non ce ne sono.
L’elaborazione e il superamento prevedono sempre sofferenza, anche se poi pagano più delle scorciatoie.
Queste ultime danno la sensazione di ristoro momentaneo, ma continuano a trascinare nelle nostre vite gli stessi mostri con cui stiamo combattendo.

Accogliere la debolezza ed il dolore vuol dire non rifuggirli quando emergono, ma questo è un processo che si fa con se stessi e non si traduce necessariamente nella frequentazione concreta dell’altro.
E questo è sicuramente un atto che prevede coraggio e pazienza perchè è estremamente doloroso.
Per meglio spiegarmi ti faccio l’esempio di una cosa che mi tocca profondamente da vicino, anche se preferisco non esplicitarla perchè non mi va di renderla pubblica.
Io sto combattendo con un legame che dentro di me è molto vivo da anni e dal quale molte volte ho pensato di poter fuggire dando il classico colpo di spugna.
Così facendo, in realtà, ho permesso a questo legame di perseguitarmi. Di tanto in tanto si fa sentire ed in modo molto violento.
Molto probabilmente questo è un legame che non si estinguerà mai, ma io posso scegliere di conviverci in modo sereno e quindi ridimensionarne la “drammaticità”, accettando anche che c’è e che non c’è nulla di male in sè se persiste, oppure di accanirmi nel volerlo cancellare.
Compiendo questo lavoro di accettazione sto imparando a ridimensionarlo e a fare in modo che non mi condizioni nel raggiungimento del mio benessere.

Non so se mi sono spiegata..

Un bacio

Yana

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

TESTIMONIANZA: SUCCEDE ANCHE AGLI UOMINI

Sto leggendo con molto interesse il sito. Lo sto leggendo accorgendomi che le testimonianze riportate sono tutte di ragazze e donne.
Ma succede anche agli uomini
Ho 53 anni. Sono un dirigente d’azienda e dopo 22 anni di matrimonio, con una figlia di 19 anni, lo scorso luglio mia moglie , quasi con un comunicato stampa, mi ha detto “Non t’amo più”.
L’impatto è stato devastante. Per darle il tempo di riflettere , dopo aver posto mille domande sul perchè , quali ragioni, quali cause, sentendosi rispondere “Come è nato, è morto”, mi sono allontanato da casa, pensando di rientrarci dopo qualche tempo. Sono stato via due mesi, girovagando da una residence, ad un appartamento di un amico, ad un altro residence, in un periodo (agosto) in cui non c’era un cane di amico, di fratello, di cugino, di prete con cui parlare. Non potete immaginare i chilometri che ho fatto a piedi dentro Roma (ho un paio di scarpe, la cui gomma è completamente consumata; le terrò come cimelio)
Tutto questo con un braccio menomato (con due chiodi nel gomito e mobilità ridotta al 50%) a causa di un incidente di moto avvenuto ia giugno.
A metà settembre, acconsentendo alla separazione consensuale, dopo che mia moglie oltre al mantenimento per mia figlia , ha chiesto anche quello per lei (all’inizio aveva detto “So di farti male, so che soffrirai, ma stai sicuro: a te non chiederò una lira!!) sono tornato a casa, in attesa di trovare un appartamento (forse a giorni avrò una risposta). Così almeno sono potuto stare un po’ più vicino a mia figlia.
In più occasioni, con tanti atteggiamenti differenti (calmo, adirato, sarcastico, remissivo, persino compassionevole) ho cercato di farmi dire le ragioni di questa fine. Mia moglie mi ha risposto che la sua non è stata una decisione avventata, ma maturata nel corso di ben due anni, durante i quali lei non pensava si spegnasse l’amore, che poi si è, invece spento.
Il mio lavoro e l’incarico di responsabilità che rivesto mi hanno fatto essere ben poco presente in casa, specialmente da settembre 2005 a maggio 2006. Ma ogni volta spiegavo, o almeno tentavo di farlo, le ragioni di questa mia mancata presenza a casa e di obbligo di essere fuori per lavoro (in ufficio e spesso in viaggio; la mia azienda è una agenzia turistica). Ogni tanto riuscivo a strappare un week end al lavoro e organizzavo due/tre/quattro giorni a Parigi, Barcellona o nella campagna toscana. In questi brevi periodi cercavo di parlare con lei, di chiedere, di sondare. Ma lei diceva che tutto era OK, che capiva il mio lavoro, facevamo l’amore, e…..il week end finiva. Poi qualche domenica andavamo insieme allo stadio (lei è, come me, una grande tifosa romanista) .
Eppoi: una settimana terribile. Comincia a vederla assolutamente fredda. Le chiesi che succedeva e lei rispose che sentiva qualcosa scricchiolare nel nostro rapporto, ma specificando che non aveva nessuna intenzione di romperlo. Una sera mi invita a cena. E con un”comunicato stampa” , mi dice che è tutto finito.
Non credevo che una cosa del genere potesse dare tanto dolore, che io ho provato in maniera fisica; un topo che ti mangia continuamente lo stomaco, che non ti fa dormire, pensare ad altro, provare altre sensazioni se non un continuo, assoluto malessere.
Ha sempre giurato che non c’è un altro. Le poche indagini che ho fatto (senza diventare Maigret) me lo hanno confermato.
E allora la testa naviga, sul passato, su quello che hai fatto di giusto e di sbagliato, dandoti mille colpe, cercando di rivivere al rallenty mille momenti, episodi, situazioni.E soprattutto chiedendoti mille volte : PERCHE’?!’!
Poi, come scritto nel sito, da qualche parte, ti accorgi che anche gli amori più grandi possono finire e le ragioni sono mille e nessuna..Che se esamini bene il triangolo della teoria empirica sull’amore, ti accorgi che alla fine , tutti e due, non abbiamo curato bene nessuno dei tre lati. A soli 4 mesi di distanza, non te ne fai una ragione. Ancora soffro come un animale ferito. Ma ogni giorno mi dico di non essere ferito a morte e cerco aiuto. Negli amici, in uno psicologo (non mi vergogno assolutamente), in mia figlia (anche se il rapporto con la madre, stante la mia poca presenza, è, ovviamente preferenziale) ma soprattutto cercando di essere egoista quanto basta e un po’ narciso. Da quando è cominciata questa storia ho perso 18 chili (ero oggettivamente sovra peso) e adesso sto facendo, almeno tre volte a settimana, sport per mantenermi.
Riesco a mettermi anche i jeans, con cui prima mi sentivo ridicolo.
Insomma: piccolo messaggio a chi come me sta soffrendo. Parafrasando Borrelli “Resistere, resistere, resistere!!” e soprattutto non aver paura di farsi dare una mano (anche da un dottore se necessario)
Un grande in bocca al lupo a tutte e a quei pochi tutti che non si vergogneranno di scrivere la propria storia su questo bellissimo sito
Giuliano
Grazie a lei Giuliano, per la sua testimonianza. Sappiamo benissimo che succede anche agli uomini (nel privato professionale me ne capitano tanti). Ma gli uomini, paradossalmente, hanno meno “coraggio” a raccontarsi. Cordiali saluti .

TESTIMONIANZA: CONCLUSIONE DI UN MATRIMONIO

Mi chiamo Francesco ho 41 anni.
Ho letto la testimonianza di Giuliano “Succede anche agli uomini”.
La mia storia ha alcune analogie con la sua anche se la fine dell’amore di mia moglie e’ stata vissuta da entrambi nel corso di 2 anni.
La conclusione del matrimonio non e’ stata improvvisa ma annunciata dopo 2 anni di tormenti in cui sia lei che io abbiamo cercato i motivi (e forse li avevamo anche trovati: la mancanza di figli , la non realizzazione professionale, il non sentirsi da me in piu’ occasioni considerata ) ma soprattutto le soluzioni per recuperare i sentimenti che lei provava per me.
In questi 2 anni iniziati con la frase “non so cosa mi stia succedendo ma non ho piu desideri sessuali” e’ iniziato il calvario.
Lunghissimi dialoghi spesso pacati, a volte accesi e momenti di grande sconforto. Lei che affermava che comunque il “nostro matrimonio non era in discussione” .
Poi dopo alcuni mesi una sua crisi profonda durata per circa 1 mese nella quale “non sentiva piu’ la casa come la sua” e non c’era piu’ dialogo; poi e’ sembrata tornare lentamente a risorgere anche grazie ai colloqui con uno psicologo.
E’ riemersa un po’ di progettualita’ personale e una convivenza civile durante la quale abbiamo continuato a parlare tanto. Ma tutto si e’ fermato li’, lei in una camera ed io in un’altra e nei messi successivi mi sono tante volte arrabbiato e cio’ ha solo peggiorato la situazione portandoci inevitabilmente alla separazione : l’esperienza piu’ atroce che io abbia mai vissuto. Io la amavo ancora . Tra i rimorsi quello che se ci fossimo fatti aiutare da psicologici di coppia forse avremmo avuto maggiori possibilita’ di evitare la separazione. In fondo ci siamo lasciati nel massimo rispetto e stima con tanto dolore per quello che era successo ma nell’impotenza di fare di piu’. Quando se ne e’ andata di casa credevo di morire e come si sa nell’esperienza comune, vivere nei ricordi di lei in una casa vuota e’ una delle cose piu’ angoscianti che possono capitare ad una persona. Certo c’e il lavoro , gli amici i famigliari ma comunque e’ un tuo problema esistenziale con cui devi convivere e cercare di superare. Dalla separazione sono trascorsi solo 15 giorni ed immagino che occorrera’ molto tempo ancora per elaborare questo fallimento di vita. Seguo comunque il consiglio di Giuliano “resistere, resistere, resistere” e se non basta vedro’ di farmi aiutare da qualcuno ; questa volta avro’ piu’ umilta’ cercando di non fare tutto da solo .
Francesco

1 commenti Anonimo

Ho rotto la mia storia dopo 5 anni da poco piùdi un mese. Rivedo molte analogie in quello che scrivi. Facevamo meno l’amore perchè lei si stava laureando…l’ho aiutata, poi ha trovato lavoro e si è come resa “indipendente” da me…come se di me non avesse più bisogno.
Anche io entro in una casa vissuta con lei e vorrei cambiare tutto. Mi dice che il nostro è stato un grande amore e che ha messo in conto di perderlo perchè ora vede il sentimento nel passato.
Dovrò ricominciare da capo e non mi sento in grado…spero di farcela!In bocca al lupo

SUCCEDE ANCHE AGLI UOMINI

Certo che succede anche agli uomini, succede a tutti coloro che amano! Ho 38 anni e premetto di non riuscire ad innamorarmi facilmente, questo perchè per innamorarmi devono codificarsi alcuni elementi caratteriali, della personalità e mentali (non necessariamente fisici) che mi fanno perdere la testa e non facilmente riscontrabili. E purtroppo non conosco mezze misure, non riesco a scendere a compromessi con i miei sentimenti, o amo o non amo e quindi posso solo provare attrazione fisica, la quale da sola non serve a nulla se manca un trasporto interiore. Fatta questa premessa, posso affermare con assoluta certezza di essermi innamorato solo tre volte nella mia vita, pur avendo avuto un numero maggiore di relazioni. E tutte e tre le volte sono stato lasciato. Sarà un caso? Non credo, sono convinto che se si ama troppo si ama male, se si crea una forma di dipendenza troppo forte non si è più sè stessi, ci si annulla per l’altro e si vive nel terrore di essere mollati, la forza di uno inevitabilmente fa leva sulla debolezza dell’altro. La parola d’ordine è equilibrio. Ho compreso che nella vita si deve imparare ad essere pilastri e non muri poggiati ad un pilastro, per cui se crolla quest’ultimo roviniamo miseramente anche noi. Però la ragione non basta, la comprensione di tutto ciò aiuta ma non è sufficiente a vincere l’emozione e l’impulso della sofferenza scaturenti da ciò che percepiamo come un’emarginazione, l’interruzione di un ruolo che ci faceva stare bene e rendeva la nostra vita la cosa più bella da vivere in compagnia della nostra amata donna. Il terzo innamoramento è terminato il 18 agosto, con una telefonata in cui mi disse che eravamo troppo diversi e che non potevamo stare insieme. Non riuscivo a farmene una ragione, speravo che ci avrebbe ripensato e che sarebbe stato solo un momento, anche perchè nei tanti frangenti in cui non era irascibile (faceva parte del suo carattere anche se nell’ultimo periodo si era acutizzata tale irascibilità), fino a due giorni prima di lasciarmi era dolcissima e sembrava innamorata. Sono stato male, ho pensato che mai avrei trovato un’altra ragazza come lei, una donna in grado di “prendere” tanto il mio cuore e con cui avevo immaginato i progetti di vita più belli. Sono sparito, non ho cercato di contattarla anche se morivo dalla voglia di farlo, mi dicevo: si farà risentire lei! E così è stato. Ieri mi ha contattato, abbiamo parlato del più e del meno e poi, inevitabilmente, il discorso è scivolato su di noi. Io le ho detto che ero sinceramente convinto che eravamo fatti l’uno per l’altro e lei mi ha detto che era convinta dell’esatto contrario, ribadendo, a mente fredda, di non essere innamorata ma di stimarmi tanto. Ma la cosa che mi ha fatto stare più male era la sua tranquillità, io stavo malissimo e lei era serena, mi raccontava cosa stesse facendo in questo periodo e anzi mi consigliava di non lasciarmi sfuggire eventuali occasioni femminili. Da questo dialogo ho compreso, con tutta la crudezza e il cinismo possibile, che era davvero finita. E ho anche compreso come per diciotto giorni non sono stato malissimo solo perchè covavo dentro di me la speranza che tornasse sui propri passi. Adesso che questo velo è caduto senza pietà, sto davvero male, non riesco a fermene una ragione e il pensiero ossessivo delle sue parole e di tutti i momenti belli tarscorsi insieme martella la mia mente, soprattutto quando mi trovo solo nel mio letto, avvolto dal buio della mia stanza. Tutto ciò lo scrivo nel pieno delle mie sensazioni e non sul ricordo delle stesse, e sentirmi dire “era giusto che finisse se non andavate d’accordo” oppure “nulla avviene per caso e da ciò puoi trarre importanti insegnamenti per il futuro” in questo momento serve a ben poco. Però posso affermare una cosa con sicurezza: le vicende passate costituiscono un’importante finestra sul futuro e all’inizio di questa mia testimonianza ho scritto di essere stato innamorato per tre volte nella mia vita e di essere stato lasciato tutte e tre le volte. Bene, anche le volte precedenti mi sono trovato, come adesso, in un tunnel buio da cui non intravedevo la luce, e speravo che anche per me l’uscita della galleria fosse vicina, confidavo ardentemente che quella luce potesse tornare presto ad illuminare la mia vita. E così è stato. Adesso, anche se porto dentro un dolore indicibile, riesco ad essere un pò sereno perchè so che passerà, so che il tunnel ha uno sbocco e che presto lo raggiungerò. Ed è con questa fiducia, nel momento del mio massimo dolore, che invito tutti ad averne, a vivere la forte sofferenza come una situazione temporanea che dovrà per forza finire, per farci poi ripensare a quei momenti con una tenerezza e un distacco ora inimmaginabili ma certamente tra non molto traducibili in realtà. In fondo la fede è anche questo. Un grosso in bocca al lupo a tutti e anche a me stesso! Carlo

AIUTATEMI VI PREGO

Carissimi sto soffrendo la seconda volta come un cane. dopo un matrimonio che è durato 12 anni fino il 1996. la seconda Relazione inizio il 1997 (lei oggi 34 io 42) soprattutto confittuale e durata 9 anni. adesso lei ha chiuso ilrapporto. mi ha detto ben chiaro. che a chiuso mentalmente da tempo. non sentepiu per me. poi nel momento che un amico , mi ha confermato di avere visto leicon un uomo, si scatto in me una pressione incredibile, che mi ha portato indepressione. il problema e che non accetto che lei ha chiuso, tento di tutto di riconquistarla. quanto per ore non si fa sentire. piango e cado in sofferenza. non mi sento di fare nulla. nel momento che gli telefono, ho telefona lei. incomincio a vivere, faccio i servizi di casa e altro.quanto vado a casa di lei. non mi regala neanche un squardo. gli fa fastidio che sono li. quarda con la mia presenza l´orologio. per non dirmi vai a casa. ed esco con dolore e lacrime. mi fa male. aiutatemi non so come come uscirne. e una vera e propia dipendenza. cordiali saluti Salvo (Germania)

2 commenti

Caro Salvo,
grazie per la tua testimonianza.
Abbi fiducia nel tempo, secondo la mia esperienza è sempre la migliore medicina. Ma ricorda che è fondamentale lo spirito con cui affronti le siuazioni. Sii positivo, anche se ti sembra che tutto sia perduto, che non abbia più senso la tua vita, che tu da solo non abbia un senso… non è vero, tu sei una persona unica e speciale. Oggi le cose vanno così, ma domani la vita ti sorriderà di nuovo. Ma se tu vuoi che la vita ti sorrida, sorridile tu per primo e ringrazia te stesso per tutte le cose belle che hai, per tutto il bene che fai per te e che hai fatto nel tempo. Guarda intorno a te quante cose belle ci sono, e quante altre puoi costruire tu. Ama tutto e tutti, perchè solo dall’amore può nascere altro amore. Non sappiamo se con questa donna tornerà l’amore, ma se così non fosse è solo perchè c’è qualcos’altro di buono che ti aspetta. Oggi ancora non sai cosa sia, ma un giorno riuscirai a vedere, e allora tutto sarà chiaro e darai un senso a questa sofferenza di oggi. Crea oggi qualcosa di buono e di bello.
Ti abbraccio, f.

Carissimo Salvo,
conosco molto bene il tipo di dolore che stai provando;é un travaglio mostruoso che devasta la personalità intera. Secondo me, non ci sono soluzioni
o ricette a buon mercato;sino a quando tu sarai innamorato di questa ragazza e non potrai ristabilire il rapporto,sarai costretto a soffrire le pene della privazione.
Io cercherei di risolvere il caso con un ragionamento razionale e filosofico:Chi è L’uomo? chi è la donna? ,perchè la solitudine?, c’è un futuro? perchè esiste il bisogno di un altro essere per poter vivere meglio? esiste Dio ? esiste il destino?. Secondo mè la causa di questa sofferenza è dovuta al fatto, che tu hai esperimentato il Paradiso in Terra ,avendo avuto un’esperianza amorosa con questa ragazza.(una donna per un uomo, é sempre immagine sublime e quasi oserei dire, Dio stesso.)
Caro Salvo , penso che il dolore che stai provando sia peggio del morire; resisti a questo attacco della natura ,a questo vomito di percezione,io intanto cerco di piangere con te…
Ne Usciremo vittoriosi ,perchè chi Ama lo dimostra solamente nella privazione e nell’oscurità
un abbraccio forte da Luca

POTEVO FARE DI PIU’?

Federico Età: 44 Gentile Dr.Cavaliere, credo che la mia sia una lettera come tante ma in certi momenti si ha bisogno che qualcuno ascolti le tue sofferenze. La mia e’ una storia comune , finita male ma ricca di amore, sincerita’ e disperazione. Avevo sposato Elena 10 anni fa (aveva 31 anni) dopo 10 anni di fidanzamento.Una ragazza piena di vita, un volto splendido un po’ grassottella figlia unica, generosa ed esplosiva nei mostrare i sentimenti verso il prossimo, . Da tempo pero’ era tormentata dalla ricerca di un lavoro come ragioniera che “le consentisse dimostrare le sue capacita’. Io decisamente piu’ freddo, laureato e realizzato nel lavoro. Tra di noi un bel rapporto, un sincero dialogo quotidiano che si e’ mantenuto anche nel matrimonio dove pero’ sempre piu’ Elena riversava una crescente angoscia nei confronti di insoddisfazioni professionali ripetute (ma debbo dire senza che lei avesse particolari colpe e dopo che aveva profuso un impegno intenso). Da parte mia in piu’ riconosco che, anche se a fin di bene, le facevo notare che mangiava male , doveva fare un po’ di sport e calare qualche Kg avrebbe rischiato di ammalarsi in futuro. Ci provava ma era dificile . Poi la vita non ti aiuta: non siamo riusciti ad avere figli , i genitori di lei buoni e generosi apparivano pero’ dipendenti dalla figlia nelle quotidiane scelte della vita e questo la angosciava. Aveva una passione per i cani e quello che aveva si e’ paralizzato e per 7 anni lei lo ho gestito in casa quasi come un figlio .Nel 2005 Elena comincia ad essere diversa , non mi desidera piu’, appare piu’ assente anche in casa. Cento volte ci parliamo per capire cosa stia succedendo ma Lei rimane sempre vaga. Anche a domande dirette ribadisce che il nostro matrimonio non era in discussione ma non aveva desideri sessuali. Cerco di capirla, da poco ha deciso (ed io non l’ho contrastata per non causarle dei sensi di colpa )di non proseguire i tentativi medici per avere figli e stava concludendo l’ennesima esperienza di lavoro negativa. Poi comincia ad essere afflitta da una insonnia feroce in parte controllata con ansiolitici. Andiamo al mare nell’estate del2006 e a vederla in “superficie” sembra la solita Elena: affettuosa egenerosa . Al mare pero’ la svolta ; durante una discussione ammette che “probabilmente” ha perso nei miei confronti i sentimenti di un tempo: “forse e’ finita, le storie nascono e finiscono”. Rimango allibito anche se a posteriori era una logica evoluzione degli eventi. Elena si trasforma completamente esce di casa con nuove amiche 3-4 sere la settimana, in casa e’ assente. Non parla quasi piu’, e’ un muro di gomma. La assecondo anche se in alcune occasioni nelle quali litighiamo arriviamo prossimi alla separazione legale. Poi lentamente nel corso del 2006 Elena sembra un po’ tornare a quella di un tempo, esce molto poco con le amiche , segue la casa cerca un nuovo lavoro ma ormai dorme in una camera separata.Per 2 volte ha colloqui con uno psicologo , un po’ la aiutano, me ne parla ed insieme sembriamo di nuovo uniti per cercare una soluzione a tutto cio’. Io pero’ sempre piu’ spesso alterno estrema comprensione a crisi di rabbia che la turbano profondamente. In una di queste occasioni lei di nuovo pensa alla separazione, “non puo’ fare piu’ di cosi” , mi “vuole tanto bene, sono la persona piu’ importante dela sua vita ma non si sente piu’una moglie e non vuole ferirmi ancora”.Andiamo da un legale e fra pochi giorni firmeremo la separazione. Le ho chiesto ancora ma cosa e’ successo Elena perche’ siamo arrivati a questo? Lei mi ha risposto : “vedi e’ diffile spiegarlo, tu rimani la persona migliore e piu’ importante che ho conosciuto, ma lentamente senza rendermi conto sono arrivata ad essere arida e cinica. Forse e’ stato un meccanismo di difesa ma ora dopo tanto tempo che lotto contro questo mio atteggiamento debbo vivere da sola , non ho voglia di rendere i conti piu’ a nessuno, mi spiace ma non voglio farti altro male.Il mio amore per Lei rimane comunque immutato anche per le gioie passate che mi ha dato. Il mio dolore e’ atroce ma forse il suo e’ anche piu’ grande. Guardo le foto di Elena, un volto dolce , una persona sensibile e generosa che non ho capito e che ho contribuito probabilmente a ferire. Mi rimangono anche tanti rimorsi e domande : Potevo fare di piu? Se fossimo andati da un consulente matrimoniale ? Non sono stato abbastanza paziente ? Se non avesi avuto quelle crisi di rabbia forse altro tempo ci avrebbe aiutato ? So che non potra’ fornirmi risposte certe ma un suo pensiero su cio’ che ci e’ capitato mi conforterebbe molto. Grazie ancora.

Le rispondo con un brano tratto dall'”Amore liquido” di Baumann: “Finché dura, l’amore è in bilico sull’orlo della sconfitta.Man mano che avanza dissolve il proprio passato; non si lascia alle spalle trincee fortificate in cui potersi ritrarre e cercare rifugio in caso di guai.E non sa cosa lo attende e cosa può serbargli il futuro.Non acquisterà mai fiducia sufficiente a disperdere le nubi e debellare l’ansia.L’amore è un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile.”

NON SO’ COSA FARE

Jack Età: 35 Gentilissimo Dottore Le scrivo per la situazione che sto vivendo, sono circa 8 mesi che mi sonoinnamorato di una persona che non è mia moglie. Dopo attente riflessioni mi sono reso conto di tante cose, sposati da 9 anni ho messo sempre a tacere il mio modo di essere di fare per l’equilibrio della famiglia e nel frattempo divento papà ma quello che provo e che sento è un grandissimo affetto per mia moglie che non mi fa mancare niente da un punto di vista familiare. Ma siamo totalmente diversi nel modo di pensare, agire e nelle nostre priorità e da qui divergenze continue che non esplodono in liti ma di una serie di silenzi e compromessi che più passa il tempo è più non riesco a soportare e portare avanti e quindi esce fuori il mio vero modo di essere da lì ad essere definito “diverso e ostile”. Più volte mi è stato detto da parte di mia moglie “se sei così non dovevi sposarti” . Il punto ora che con i figli di cui sono pazzo non so come affrontare questa mia relazione, nel senso continuare o troncare o interrompere il mio matrimonio oppure continuare questa relazione che mi sentire senza inibizioni, sereno di essere me stesso.Ma allo stesso tempo non causare un trauma e/o dolori ai miei figli..non so cosa fare

NASCONDO LE MIE ESIGENZE E NECESSITA’

Vlasco73 Età: 34 Salve, sono un “ragazzo” di 34 anni, da circa un mese uscito da una relazione di due mesi con una ragazza, in cui ho nascosto le mie esigenze e le mie necessità pensando solo a soddisfare le sue; mi sono buttato a capofitto in questa relazione dopo aver passato un anno in solitudine ed aver terminato una precedente relazione altrettanto disastrosa basata sugli stessi preconcetti. Il modo in cui sto vivendo la fine di questa relazione (la sofferenza, il dolore, il non riuscire a smettere di telefonarle e mandarle messaggi, ossessionandola) mi ha spinto a rivolgermi ad un psichiatra, cugino di mio padre, che dopo un incontro mi ha consigliato di rivolgermi ad un’associazione o comunità che tratta le dipendenze comportamentali. Da premettere che all’età di 3 anni mi accadde un fatto che penso abbia segnato la mia vita e in parte giustifichi il mio comportamento. Ho vissuto la mia infanzia ad Aosta, all’età di 3 anni mio padre mi portò in Sicilia da mia nonna e mi lascio là con lei per una settimana: io non accettai il fatto e passai tutto il tempo a piangere fino a quando una brutta febbre costrinse mio padre a ritornare e riportarmi ad Aosta con lui. Da quando ho cominciato ad avere ragazze non ho fatto altro che avere un attaccamento morboso ed ossessivo a loro, chiedendo di continuo attenzioni e abbracci.La prima relazione è durata 7 anni ma è stata alquanto disastrosa perché ha annullato la mia personalità: ho dedicato tutto il tempo alla mia compagna trascurando me e i miei studi. Dopo 6 anni passati in solitudine ho intrapreso un’altra relazione aBruxelles, facendo lo stesso errore: anche questa volta dopo un anno di sofferenza lei ha deciso di interrompere la relazione; io ho continuato a stare a Bruxelles con la speranza di poterla riconquistare, ma inutilmente. All’inizio di giugno ho incontrato l’ultima ragazza di cui parlavo prima; anche qui lo stesso errore, ho dedicato tutto me stesso a lei annientando le mie esigenze e la mia personalità.Le sarei grato se potesse darmi qualche consiglio riguardo a chi rivolgermi e cosa fare per uscire da questa situazione che mi ha provocato e mi provoca un grande malessere e dolore. Attualmente risiedo a Bruxelles e vorrei contattare la DASA (Dépendantsaffectives et sexuels Anonymes) ma vorrei chiederle dei consigli circa laterapia da seguire e a chi potermi rivolgere.La ringrazioVlady

Il collega psichiatra le ha già fornito un ottima indicazione. Contatti la DASA ed in quella sede avrà maggiori chiarimenti sul percorso terapeutico da seguire. Saluti Dott. Cavaliere.

POTEVO FARE DI PIU’?

Federico Età: 44 Gentile Dr.Cavaliere, credo che la mia sia una lettera come tante ma in certi momenti si ha bisogno che qualcuno ascolti le tue sofferenze. La mia e’ una storia comune , finita male ma ricca di amore, sincerita’ e disperazione. Avevo sposato Elena 10 anni fa (aveva 31 anni) dopo 10 anni di fidanzamento.Una ragazza piena di vita, un volto splendido un po’ grassottella figlia unica, generosa ed esplosiva nei mostrare i sentimenti verso il prossimo, . Da tempo pero’ era tormentata dalla ricerca di un lavoro come ragioniera che “le consentisse dimostrare le sue capacita’. Io decisamente piu’ freddo, laureato e realizzato nel lavoro. Tra di noi un bel rapporto, un sincero dialogo quotidiano che si e’ mantenuto anche nel matrimonio dove pero’ sempre piu’ Elena riversava una crescente angoscia nei confronti di insoddisfazioni professionali ripetute (ma debbo dire senza che lei avesse particolari colpe e dopo che aveva profuso un impegno intenso). Da parte mia in piu’ riconosco che, anche se a fin di bene, le facevo notare che mangiava male , doveva fare un po’ di sport e calare qualche Kg avrebbe rischiato di ammalarsi in futuro. Ci provava ma era dificile . Poi la vita non ti aiuta: non siamo riusciti ad avere figli , i genitori di lei buoni e generosi apparivano pero’ dipendenti dalla figlia nelle quotidiane scelte della vita e questo la angosciava. Aveva una passione per i cani e quello che aveva si e’ paralizzato e per 7 anni lei lo ho gestito in casa quasi come un figlio .Nel 2005 Elena comincia ad essere diversa , non mi desidera piu’, appare piu’ assente anche in casa. Cento volte ci parliamo per capire cosa stia succedendo ma Lei rimane sempre vaga. Anche a domande dirette ribadisce che il nostro matrimonio non era in discussione ma non aveva desideri sessuali. Cerco di capirla, da poco ha deciso (ed io non l’ho contrastata per non causarle dei sensi di colpa )di non proseguire i tentativi medici per avere figli e stava concludendo l’ennesima esperienza di lavoro negativa. Poi comincia ad essere afflitta da una insonnia feroce in parte controllata con ansiolitici. Andiamo al mare nell’estate del2006 e a vederla in “superficie” sembra la solita Elena: affettuosa egenerosa . Al mare pero’ la svolta ; durante una discussione ammette che “probabilmente” ha perso nei miei confronti i sentimenti di un tempo: “forse e’ finita, le storie nascono e finiscono”. Rimango allibito anche se a posteriori era una logica evoluzione degli eventi. Elena si trasforma completamente esce di casa con nuove amiche 3-4 sere la settimana, in casa e’ assente. Non parla quasi piu’, e’ un muro di gomma. La assecondo anche se in alcune occasioni nelle quali litighiamo arriviamo prossimi alla separazione legale. Poi lentamente nel corso del 2006 Elena sembra un po’ tornare a quella di un tempo, esce molto poco con le amiche , segue la casa cerca un nuovo lavoro ma ormai dorme in una camera separata.Per 2 volte ha colloqui con uno psicologo , un po’ la aiutano, me ne parla ed insieme sembriamo di nuovo uniti per cercare una soluzione a tutto cio’. Io pero’ sempre piu’ spesso alterno estrema comprensione a crisi di rabbia che la turbano profondamente. In una di queste occasioni lei di nuovo pensa alla separazione, “non puo’ fare piu’ di cosi” , mi “vuole tanto bene, sono la persona piu’ importante dela sua vita ma non si sente piu’una moglie e non vuole ferirmi ancora”.Andiamo da un legale e fra pochi giorni firmeremo la separazione. Le ho chiesto ancora ma cosa e’ successo Elena perche’ siamo arrivati a questo? Lei mi ha risposto : “vedi e’ diffile spiegarlo, tu rimani la persona migliore e piu’ importante che ho conosciuto, ma lentamente senza rendermi conto sono arrivata ad essere arida e cinica. Forse e’ stato un meccanismo di difesa ma ora dopo tanto tempo che lotto contro questo mio atteggiamento debbo vivere da sola , non ho voglia di rendere i conti piu’ a nessuno, mi spiace ma non voglio farti altro male.Il mio amore per Lei rimane comunque immutato anche per le gioie passate che mi ha dato. Il mio dolore e’ atroce ma forse il suo e’ anche piu’ grande. Guardo le foto di Elena, un volto dolce , una persona sensibile e generosa che non ho capito e che ho contribuito probabilmente a ferire. Mi rimangono anche tanti rimorsi e domande : Potevo fare di piu? Se fossimo andati da un consulente matrimoniale ? Non sono stato abbastanza paziente ? Se non avesi avuto quelle crisi di rabbia forse altro tempo ci avrebbe aiutato ? So che non potra’ fornirmi risposte certe ma un suo pensiero su cio’ che ci e’ capitato mi conforterebbe molto. Grazie ancora.

Le rispondo con un brano tratto dall'”Amore liquido” di Baumann: “Finché dura, l’amore è in bilico sull’orlo della sconfitta.Man mano che avanza dissolve il proprio passato; non si lascia alle spalle trincee fortificate in cui potersi ritrarre e cercare rifugio in caso di guai.E non sa cosa lo attende e cosa può serbargli il futuro.Non acquisterà mai fiducia sufficiente a disperdere le nubi e debellare l’ansia.L’amore è un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile.” Dott. Roberto Cavaliere

COMMENTO

E’ strano sentire tanta voglia di capire, di comprendere, di imparare dai propri sbagli da parte di un uomo… Scusami, ma purtroppo non ho molta stima degli uomini nella relazioni interpersonali con le donne… E’ bello sentire che c’è ancora qualche uomo che ci tiene a dare e avere delle spiegazioni, a capire… per mio conto sono come sempre qui da sola a tirare le fila di 10 anni di vita e di relazione, non ho avuto una spiegazione, il mio ex ‘uomo’ come non ha fatto niente per stare con me, non ha fatto niente per non stare con me, ma questa è una storia già raccontata.
Dal tuo racconto, ovviamente sintesi impossibile di una così lunga relazione, ci sono alcune cose non chiare per chi legge sul vostro rapporto. Posso solo esprimere ciò che sembra dalle tue parole, ma ci tengo a chiarire che nessuno, io per prima, può certo capire cosa possa esserci in anni di relazione e amore; ma certo una visione esterna e estranea può sempre servire, altrimenti non saremo qui…
A me sembra che questa donna non sia riuscita a risolvere se stessa nella relazione con te, anzi per lei la relazione è stata strumento perché la sua situazione personale si affossasse sempre più, e questo forse le ha causato del risentimento (probabilmente immotivato) verso di te…
Credo che la vostra relazione si sia trasformata piano piano, perlomeno per lei, in strumento di dolore e non di piacere e benessere. Sinceramente, penso che tu non avresti potuto fare niente più di quello che hai fatto e che stai facendo, come ad esempio quello di metterti in discussione e ammettere i tuoi limiti, è sintomatico di un rispetto verso te stesso e verso il tuo matrimonio.
Le relazioni funzionano quando c’è un percorso personale parallelo e uno insieme. L’altra persona non può essere la soluzione e lo strumento per risolversi e realizzarsi personalmente, anzi, molte volte questo è elemento di conflitto e rancore.
Per me è stato così, ho cercato di allontanare P. dalla dipendenza dalla marijuana, da quelle tre o quattro occasioni l’anno di tirare cocaina, ho cercato di responsabilizzarlo verso di me, verso di se, ho tentato, pur di non lasciarlo, di portarlo in terapia di coppia (ma lui si è ovviamente rifiutato), ho cercato di aiutarlo per alleviare la frustrazione della sua non realizzazione lavorativa (ed anch’io sono sempre stata personalmente una persona motivata, con successi personali, e tanti obbiettivi raggiunti), ecc. ecc. ecc… e ti assicuro che non ha funzionato, anzi è stato elemento, prima di gratitudine, poi di scontro, di allontanamento, di fastidio, di chiusura, di silenzi e isolamento nei miei confronti… Credo che abbia influito anche un sentimento di competizione nei miei confronti, purtroppo…
Ma non ci dobbiamo sentire in colpa, è stato fatto tutto per l’immenso amore che provavamo, nel mio caso, per una persona che non lo ha meritato, soprattutto negli ultimi anni.
Anch’io sono passata dalla depressione, alla rabbia… mi vergogno a dirlo ma ho anche alzato le mani, e mi sono fatta male, presa dall’enorme disperazione nel vedere questa storia sgretolarsi nelle mie mani… Adesso, malgrado l’enorme sofferenza, sono felice finalmente di essere riuscita lasciare una persona così sbagliata per me.
Certo, nel vostro caso l’apice probabilmente è stato raggiunto quando avete dovuto affrontare il problema di non poter avere figli, ma da ciò che scrivi sembra, che è stato solo l’apice di una sua protratta insoddisfazione di se, proiettata, come succede, anche nel rapporto con la persona che ami. Sinceramente penso, che con il segno di poi, forse è stato meglio così.
Adesso se ci fosse stato un figlio sarebbe stato ancora più doloroso e straziante.
In bocca la lupo! Un saluto. Fri

QUANTO L’HO AMATA E QUANTO L’AMO

Gentile Dr. Cavaliere, mi sono imbattuto in questo sito casualmente, cercando una risposta a tutti i miei perchè.Mi presento mi chiamo Antonino ho 46 anni, un matrimonio fallito alle spalle ed una storia D’amore bellissima ma per lei finita, io ancora non riesco a crederci. Ho letto alcune e-mail di lettori, e cosi ho deciso di scrivere anch’io.mi sono sposato all’età di 25 ed ho 3 figli che amo più della mia vita, mi sono sposato per amore con mia moglie ci siamo conosciuti che avevamo 17anni. Il nostro matrimonio è andato presto in crisi convivendo ci siamo accorti che qualcosa non andava, purtroppo il mio lavoro mi portava a lunghi periodi fuori casa, lei lo sapeva quando ci siamo sposati ma evidentemente l’impatto con la realtà per lei è stato diverso dall’ immaginazione. Dopo anni di crisi 4anni fa, mentre ero ancora sposato ho conosciuto in chat una donna anche lei sposata ed un matrimonio in crisi. Lei è una mia conterranea ma vive al nord,all’ inizio è stata amicizia ma poi pian piano l’ amicizia si è trasformata in amore. il nostro amore e stato per un certo periodo telefonico, ci sentivamo sempre e ci mandavamo sms continunamente, ma forse per questo molto forte eravamo in perfetta sintonia, ci capivamo anche dai nostri silenzi, una cosa unica, mi dava forza e vitalità.Poi ci siamo visti e questo ha rafforzato ancora di più il mio amore, era è lo è tuttora il centro del mio universo. Io passavo da lei quando rientravo dalle mie trasferte e per vederla di più riusci anche a viaggiare di più, a casa ilmio rapporto con mia moglie si deteriorava sempre più per me esisteva soloAngela, mi ero allontanato anche dal letto coniugale perchè sapevo che a lei dava fastidio che io dormissi con mia moglie. Purtroppo a causa della mia condizione di uomo sposato non riuscivo a darle di più per il momento, ma le avevo detto che mi sarei separato perchè amavo lei e solo lei. A giugno dell’anno scorso intanto lei si separa dal marito e logicamente si aspetta che anche io faccia la stessa cosa, ma al momento la mia realtà familiare me lo impediva. Nel mese di Agosto mi chiede di passare una settimana da lei ma io purtroppo non potevo mi sarei tirato la zappa sui piedi nei confronti di mia moglie. che già sapeva della miarelazione con lei. Lei a causa di questo mio comportamento si sente messa daparte ma non è cosi lei è sempre la donna che amo, solo che la mia situazionedel momento non mi permetteva di fare certe cose ma lei questo non lo capiva.Comincia a mandare sms a mia moglie ma la cosa non mi dava fastidio perchèormai il mio matrimonio era completamente finito. Poi per un certo periodo lanostra relazione sembrava in ripresa, ad Ottobre la Società per la quale lavoromi propone un trasferimento verso un altra sede, da premettere che potevoscegliere di rimanere a lavorare nella mia città, ma io scelgo il trasferimentoper potermi avvicinare un pochino a lei e per rompere ancora di più con miamoglie, e questo a lei l’ avevo detto, ma lei non si fidava più eppure ho fatto tante cose per lei, horischiato di perdere il lavoro, ho affrontato suo marito, ho provato a cercarelavoro da lei, mi sono trasferito allontanantomi dai miei figli ma lei non micredeva pensava che io la usassi per i miei comodi. durante le feste natalizielei mi chiede di passarle da lei ma io purtroppo non potevo ancora, cosi lei sistanca. La svolta avviene a febbraio di quest’anno parlo ancora una volta conmia moglie per separarmi e parto in trasferta nel frattempo lei dice di volermilasciare non mi crede più però dice che mi ama ancora. Intanto io ho un graveproblema in famiglia, nonostante questo continuo con la separarazione da miamoglie, l’ho fatto perchè mi sono reso conto che lei era il mio mondo e l’amavotanto ma mi dice che ormai era troppo tardi anche se mi amava ancora non micredeva più, io cerco di farle capire che non l’ho mai presa in giro ma leiniente sembrava che i quattro anni insieme non fossero mai esistiti. come consequenza cado in depressione la tempestavo di telefonate e adesso mi rendo conto che era un grave errore. Nonostante tutto non mi arrendo le chiedo un altra possibilità ci vediamo diverse volte, lei mi fa conoscere sua figlia alla quale mi affeziono, faccio tutto quello che un uomo può fare per dimostrare amore. Durante la depressionepensavo di farla veramente finita, non rendevo più nel lavoro ed eroabbandonato a me stesso, mi rialzo anche perchè lei mi aveva detto che miavrebbe dato un altra opportunità ed io ci credevo ancora, parto per l’ Egittoe ci lasciamo che lei avrebbe riflettuto sulla nostra situazione. Al miorientro ero ottimista non potevo pensare che una storia così bella finissemiseramente. avevo sbagliato in passato, ma la punizione mi sembrava dura avevoriflettuto sui mie sbagli e mi ero reso conto che non l’ avevo mai presa ingiro l’amavo è l’amo veramente avevo rivoluzionato il mio modo di essere e la mia vita per lei non poteva averdimenticato questo. Vado da lei senza avvisarla, volevo ferle una sorpresa, ma lei non l’ha prende bene mi dice che da 15 giorni aveva iniziato un altra storia con un altro e che ormai era tardi, il mondo mi crolla di nuovo addosso,Avevo creduto veramente che mi avrebbe dato una possibiltà l’ amavo e l’amo.Perchè mi aveva fatto conoscere sua figlia e portato a casa sua in questoperiodo se aveva intenzione di lasciarmi definitivamente? E adesso mi ritrovocon una separazione in corso( ma di questo non mi pento era inevitabile prima opoi), lontano ai miei figli che amo immensamente e che mi mancano tanto, solo,e con tanto amore nel cuore ma anche tanta amarezza. Vorrei riuscire adimenticare, lei mi dice di riprendere la mia vita, ma quale vita se la miavita era lei! Non so nemmeno perchè ho scritto, penso che l’ho fatto come sfogo perchè non ho nessuno con cui parlare e per lasciare la mia esperianza per altre persone che come me soffrono.Ora misto buttando nel lavoro, quello grazie a Dio va bene, ma mi sento vuoto dentromi sento lo stomaco come se avessi un cane che me lo morde continuamente e non so per quanto tempo durerà perchè lei mi manca, mi manca il nostro amore l’essere con lei un ttutt’uno perchè eravamo cosi. Avevamo fatto tanti progetti, e non riesco a darmi pace.Ho tanto amore dentro e non sono riuscito a dimostrarlo e questo mi fa star male. Adesso spero che almeno lei possa essere felice perchè anche lei ha sofferto e so quanto mi ha amato e spero che io possa riprendere la mia vita, anche se so che sarà molto difficile l’ amo tanto non avevo mai amatocosì, mi ero totalmente aperto a lei e mi sono ritrovato molto vulnerabile,cosa che non mi era mai successo, ma ero sicuro di noi. Non mi pento di quello che ho fatto perchè non ho fatto niente di male ho soltanto amato e lottato per amore. e di questo non bisogna mai vergorgnarsi. Io spero sempre che lei si renda conto di quanto l’ho amata e quanto l’amo e spero che questo mio dolore si calmi e lasci il posto ad un bellissimo ricordo o ad una realtà più bella. A questa mio sfogo vorrei aggiungere un altra crudeltà del destino. Ho cercatodi dimenticarla scrivendomi ad un agenzia matrimoniale on-line e ricevo ilprofilo di una donna totalmente conpatibile con me, ebbene quella donna eralei, me lo ha confermato per telefono, pensate come mi sento.

NOTE LEGALI E PRIVACY

Le testimonianze e le consulenze pubblicate sono pervenute con modalità anonima per cui non è possibile risalire al mittente o controllarne la veridicità. Inoltre testimonianze e consulenze, per motivi di privacy, sono state private di ogni riferimento dettagliato a situazioni e persone per cui ognuna di esse non è riconducibile a nessuna storia personale in particolare. Ad ulteriore tutela della privacy, chiunque in una delle testimonianze e consulenze pubblicate ravvedesse dei chiari riferimenti ad una sua vicenda personale, può richiederne la cancellazione contattando il Dott. Roberto Cavaliere.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

UOMINI CHE AMANO TROPPO

TESTIMONIANZE

Gentile Dr. Cavaliere, mi sono imbattuto in questo sito casualmente, cercando una risposta a tutti i miei perchè.

Mi presento mi chiamo Antonino ho 46 anni, un matrimonio fallito alle spalle ed una storia d’amore bellissima ma per lei finita, io ancora non riesco a crederci. Ho letto alcune e-mail di lettori, e cosi ho deciso di scrivere anch’io.

Mi sono sposato all’età di 25 ed ho 3 figli che amo più della mia vita, mi sono sposato per amore con mia moglie ci siamo conosciuti che avevamo 17anni. Il nostro matrimonio è andato presto in crisi convivendo ci siamo accorti che qualcosa non andava, purtroppo il mio lavoro mi portava a lunghi periodi fuori casa, lei lo sapeva quando ci siamo sposati ma evidentemente l’impatto con la realtà per lei è stato diverso dall’ immaginazione.

Dopo anni di crisi 4anni fa, mentre ero ancora sposato ho conosciuto in chat una donna anche lei sposata ed un matrimonio in crisi. Lei è una mia conterranea ma vive al nord, all’inizio è stata amicizia ma poi pian piano l’ amicizia si è trasformata in amore. il nostro amore e stato per un certo periodo telefonico, ci sentivamo sempre e ci mandavamo sms continuamente, ma forse per questo molto forte eravamo in perfetta sintonia, ci capivamo anche dai nostri silenzi, una cosa unica, mi dava forza e vitalità. Poi ci siamo visti e questo ha rafforzato ancora di più il mio amore, era è lo è tuttora il centro del mio universo. Io passavo da lei quando rientravo dalle mie trasferte e per vederla di più riuscì anche a viaggiare di più, a casa il mio rapporto con mia moglie si deteriorava sempre più per me esisteva solo Angela, mi ero allontanato anche dal letto coniugale perchè sapevo che a lei dava fastidio che io dormissi con mia moglie. Purtroppo a causa della mia condizione di uomo sposato non riuscivo a darle di più per il momento, ma le avevo detto che mi sarei separato perchè amavo lei e solo lei. A giugno dell’anno scorso intanto lei si separa dal marito e logicamente si aspetta che anche io faccia la stessa cosa, ma al momento la mia realtà familiare me lo impediva. Nel mese di Agosto mi chiede di passare una settimana da lei ma io purtroppo non potevo mi sarei tirato la zappa sui piedi nei confronti di mia moglie, che già sapeva della mia relazione con lei. Lei a causa di questo mio comportamento si sente messa da parte ma non è cosi lei è sempre la donna che amo, solo che la mia situazione del momento non mi permetteva di fare certe cose ma lei questo non lo capiva. Comincia a mandare sms a mia moglie ma la cosa non mi dava fastidio perché ormai il mio matrimonio era completamente finito. Poi per un certo periodo la nostra relazione sembrava in ripresa, ad Ottobre la Società per la quale lavoro mi propone un trasferimento verso un altra sede, da premettere che potevo scegliere di rimanere a lavorare nella mia città, ma io scelgo il trasferimento per potermi avvicinare un pochino a lei e per rompere ancora di più con mia moglie, e questo a lei l’ avevo detto, ma lei non si fidava più eppure ho fatto tante cose per lei, ho rischiato di perdere il lavoro, ho affrontato suo marito, ho provato a cercare lavoro da lei, mi sono trasferito allontanandomi dai miei figli ma lei non mi credeva pensava che io la usassi per i miei comodi. Durante le feste natalizie lei mi chiede di passarle da lei ma io purtroppo non potevo ancora, cosi lei si stanca. La svolta avviene a febbraio di quest’anno parlo ancora una volta con mia moglie per separarmi e parto in trasferta. Nel frattempo lei dice di volermi lasciare non mi crede più però dice che mi ama ancora.

Intanto io ho un grave problema in famiglia, nonostante questo continuo con la separazione da mia moglie, l’ho fatto perchè mi sono reso conto che lei era il mio mondo e l’amavo tanto ma mi dice che ormai era troppo tardi anche se mi amava ancora non mi credeva più, io cerco di farle capire che non l’ho mai presa in giro ma lei niente sembrava che i quattro anni insieme non fossero mai esistiti.

Come conseguenza cado in depressione la tempestavo di telefonate e adesso mi rendo conto che era un grave errore. Nonostante tutto non mi arrendo le chiedo un altra possibilità ci vediamo diverse volte, lei mi fa conoscere sua figlia alla quale mi affeziono, faccio tutto quello che un uomo può fare per dimostrare amore. Durante la depressione pensavo di farla veramente finita, non rendevo più nel lavoro ed ero abbandonato a me stesso, mi rialzo anche perchè lei mi aveva detto che mi avrebbe dato un altra opportunità ed io ci credevo ancora, parto per la Tunisia e ci lasciamo che lei avrebbe riflettuto sulla nostra situazione. Al mio rientro ero ottimista non potevo pensare che una storia così bella finisse miseramente. Avevo sbagliato in passato, ma la punizione mi sembrava dura avevo riflettuto sui mie sbagli e mi ero reso conto che non l’ avevo mai presa in giro l’amavo è l’amo veramente avevo rivoluzionato il mio modo di essere e la mia vita per lei non poteva aver dimenticato questo. Vado da lei senza avvisarla, volevo farle una sorpresa, ma lei non l’ha prende bene mi dice che da 15 giorni aveva iniziato un altra storia con un altro e che ormai era tardi, il mondo mi crolla di nuovo addosso. Avevo creduto veramente che mi avrebbe dato una possibilità l’amavo e l’amo. Perchè mi aveva fatto conoscere sua figlia e portato a casa sua in questo periodo se aveva intenzione di lasciarmi definitivamente?

E adesso mi ritrovo con una separazione in corso (ma di questo non mi pento era inevitabile prima o poi), lontano ai miei figli che amo immensamente e che mi mancano tanto, solo,e con tanto amore nel cuore ma anche tanta amarezza. Vorrei riuscire a dimenticare, lei mi dice di riprendere la mia vita, ma quale vita se la mia vita era lei! Non so nemmeno perchè ho scritto, penso che l’ho fatto come sfogo perchè non ho nessuno con cui parlare e per lasciare la mia esperienza per altre persone che come me soffrono. Ora mi sto buttando nel lavoro, quello grazie a Dio va bene, ma mi sento vuoto dentro mi sento lo stomaco come se avessi un cane che me lo morde continuamente e non so per quanto tempo durerà perchè lei mi manca, mi manca il nostro amore l’essere con lei un tutt’uno perchè eravamo cosi. Avevamo fatto tanti progetti, e non riesco a darmi pace. Ho tanto amore dentro e non sono riuscito a dimostrarlo e questo mi fa star male. Adesso spero che almeno lei possa essere felice perchè anche lei ha sofferto e so quanto mi ha amato e spero che io possa riprendere la mia vita, anche se so che sarà molto difficile l’amo tanto non avevo mai amato così, mi ero totalmente aperto a lei e mi sono ritrovato molto vulnerabile,cosa che non mi era mai successo, ma ero sicuro di noi. Non mi pento di quello che ho fatto perchè non ho fatto niente di male ho soltanto amato e lottato per amore. Di questo non bisogna mai vergognarsi.

Io spero sempre che lei si renda conto di quanto l’ho amata e quanto l’amo e spero che questo mio dolore si calmi e lasci il posto ad un bellissimo ricordo o ad una realtà più bella. A questa mio sfogo vorrei aggiungere un altra crudeltà del destino. Ho cercato di dimenticarla scrivendomi ad un agenzia matrimoniale on-line e ricevo il profilo di una donna totalmente compatibile con me, ebbene quella donna era lei, me lo ha confermato per telefono, pensate come mi sento.

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Carissimi sto soffrendo la seconda volta come un cane. Dopo un matrimonio che è durato 12 anni, la seconda Relazione (lei oggi 34 io 42) soprattutto conflittuale e durata 9 anni. Adesso lei ha chiuso il rapporto. Mi ha detto ben chiaro, che a chiuso mentalmente da tempo. Non sente più niente per me. Poi nel momento che un amico , mi ha confermato di avere visto lei con un uomo, si scatto in me una pressione incredibile, che mi ha portato in depressione. Il problema e che non accetto che lei ha chiuso, tento di tutto di riconquistarla. Quanto per ore non si fa sentire, piango e cado in sofferenza. Non mi sento di fare nulla, nel momento che gli telefono, o telefona lei, incomincio a vivere, faccio i servizi di casa e altro. Quanto vado a casa di lei, non mi regala neanche uno sguardo. Gli fa fastidio che sono li. guarda l´orologio, per non dirmi vai a casa. Esco con dolore e lacrime. Mi fa male. aiutatemi non so come uscirne. e una vera e propria dipendenza. cordiali saluti Salvo (Germania)

COMMENTI

Caro Salvo, grazie per la tua testimonianza.

Abbi fiducia nel tempo, secondo la mia esperienza è sempre la migliore medicina. Ma ricorda che è fondamentale lo spirito con cui affronti le situazioni. Sii positivo, anche se ti sembra che tutto sia perduto, che non abbia più senso la tua vita, che tu da solo non abbia un senso… non è vero, tu sei una persona unica e speciale. Oggi le cose vanno così, ma domani la vita ti sorriderà di nuovo. Ma se tu vuoi che la vita ti sorrida, sorridile tu per primo e ringrazia te stesso per tutte le cose belle che hai, per tutto il bene che fai per te e che hai fatto nel tempo. Guarda intorno a te quante cose belle ci sono, e quante altre puoi costruire tu. Ama tutto e tutti, perchè solo dall’amore può nascere altro amore. Non sappiamo se con questa donna tornerà l’amore, ma se così non fosse è solo perchè c’è qualcos’altro di buono che ti aspetta. Oggi ancora non sai cosa sia, ma un giorno riuscirai a vedere, e allora tutto sarà chiaro e darai un senso a questa sofferenza di oggi. Crea oggi qualcosa di buono e di bello. Ti abbraccio, f.

Carissimo Salvo, conosco molto bene il tipo di dolore che stai provando;é un travaglio mostruoso che devasta la personalità intera. Secondo me, non ci sono soluzioni o ricette a buon mercato;sino a quando tu sarai innamorato di questa ragazza e non potrai ristabilire il rapporto,sarai costretto a soffrire le pene della privazione. Io cercherei di risolvere il caso con un ragionamento razionale e filosofico: Chi è L’uomo? chi è la donna? ,perchè la solitudine?, c’è un futuro? perchè esiste il bisogno di un altro essere per poter vivere meglio? esiste Dio ? esiste il destino?. Secondo mè la causa di questa sofferenza è dovuta al fatto, che tu hai esperimentato il Paradiso in Terra ,avendo avuto un’esperianza amorosa con questa ragazza.(una donna per un uomo, é sempre immagine sublime e quasi oserei dire, Dio stesso.) Caro Salvo , penso che il dolore che stai provando sia peggio del morire; resisti a questo attacco della natura ,a questo vomito di percezione,io intanto cerco di piangere con te… Ne Usciremo vittoriosi, perchè chi Ama lo dimostra solamente nella privazione e nell’oscurità . un abbraccio forte da Luca

FALLIMENTO

Gianni Età: 48 Egregio Dottore, meglio un dolore lancinante che una ferita sempre aperta, vero?

Allora, storia simile a tante altre, la mia: venticinque anni fà ormai, alle soglie del matrimonio ormai fissato, mia moglie ebbe un ripensamento confessato a me solo perché, poco più che ventenne avrebbe dovuto trasferirsi a molte centinaia di chilometri dai suoi affetti e dalle sue amicizie d’infanzia (come me del resto). Dietro mia insistenza ci fu il ripensamento e l’accettazione. Questo credo sia stato il peccato originale che ho commesso che non ho mai espiato a sufficienza. Per questo motivo ho perdonato una sua prima distrazione che si concesse con un comune “amico” conoscente in occasione di uno dei tanti periodi che trascorreva per i motivi su esposti presso la famiglia d’origine. Stetti molto male ma perdonai e mi impegnai ancor di più. Ho condotto la mia vita nell’interesse di mia moglie e dei figli. Mi sono sempre concesso poco. Ciò che facevo, l’aiuto sostanzioso che ho sempre dato in casa, rinunciando nei primi anni anche alla carriera è sempre stato da lei sempre poco apprezzato e riconosciuto perché ritenuto a torto o ragione dovuto; in ogni caso non mi è mai pesato e mi ha sempre gratificato. C’era il piacere di donare all’altro una parte di me. Lei invece ha continuato a sentirsi poco gratificata perché ha vissuto, come dicevo, con dolore il distacco geografico dalla sua famiglia di origine. Pur amandoci i nostri dissidi hanno avuto sempre questa origine. E per questo motivo ho sempre accettato, e solo quando la convivenza si protraeva oltre il sopportabile, a malincuore, di condividere molto del nostro tempo e la nostra casa e le feste comandate con i suoi familiari.

Avrei voluto stare solo con lei in occasione della nascita del primo figlio ma con il pretesto dell’aiuto in casa ho accettato la presenza in casa della di lei madre per lunghi periodi come fatto ineluttabile, quasi fosse la “condicio sine qua non” della tranquillità di mia moglie ed, in definitiva,dell’integrità della nostra unione.

Sono stato molto attento sempre alla qualità del nostro rapporto e queste cose che le scrivo le ho evidenziate mentre accadevano ma ho trovato su quest’aspetto sempre un muro invalicabile da parte sua, e solo per paura di perderla non ho posto quello che, col senno del poi, sarebbe stato un salutare aut-aut al momento dovuto. Per un lungo periodo ha sempre anteposto gli interessi affettivi verso la sua famiglia d’origine piuttosto che per la “nostra” famiglia. Periodi comunque alterni bilanciati da molti momenti sereni e veramente felici. Sempre per non incrinare il rapporto ho condiviso il suo desiderio di avere un secondo figlio; i primi tre anni sono stati difficili per le notti insonni, il comune lavoro di entrambi di giorno e il primo figlio da accudire. Non so se per questo o per le sue pregresse mancate gratificazioni si profilò cupo all’orizzonte il suo secondo tradimento che io accidentalmente scopersi sul nascere. Per me iniziò un secondo periodo buio, accettai di nuovo e con un lungo lavorio faticoso di entrambi siamo riusciti a superare anche questo. Da allora, vuoi per la maturità vuoi per l’ormai acquisita integrazione sociale e lavorativa lei ha raggiunto finalmente una sua serenità ed equilibrio. E qui viene il bello: quando avrei finalmente potuto raccogliere i frutti di una unione che ha resistito superando diverse difficoltà ho iniziato io (che ho sempre avuto occhi solo per lei) a scambiarmi degli imbecilli sms con una collega che peraltro non ho mai ritenuto alla mia portata. Ed invece il giochetto ormai iniziato quattro anni fa, e che all’inizio candidamente confessai anche a mia moglie, mi ha completamente annientato. Perché non ho mai accettato questa passione e sono riuscito a darle sfogo solo grazie a momenti particolari e contingenti ma mai consapevolmente programmati e vissuti; il mio rigore, non me lo ha mai consentito ma soprattutto perché, analizzandomi, non ho mai accettato che questo “incidente” possa arrivare a determinare il fallimento di una vita (con quel che ho investito!) e di esserne, per giunta, addirittura io la causa! Più mi negavo però e più la passione e l’ossessione e la dipendenza crescevano in ciò non agevolato dalla Signora che pur accettando a parole la mia volontà di non avere una storia parallela, da convinta assertrice del “carpe diem” non ha perso occasione per dimostrarmi il suo interesse ed il suo affetto (definito anche amore) in questi lunghi anni. Mi sono sentito in un cul di sac incapace di prendere una decisione. Alla fine in qualche occasione la passione si è scatenata e su di me ha avuto un effetto dirompente. Unitamente agli inevitabili sensi di colpa ho sentito l’assoluta necessità, fortemente credendoci, di tornare nel mio guscio protettivo e mai più di uscirne riuscendo a guardare con disincanto e distanza anche l’altra. Perché? Durava purtroppo poco questa sensazione perché il desiderio anche solo di vederla e i sensi di colpa, questa volta nei confronti dell’altra, non mi hanno mai indotto a troncare questa che per il 95% del tempo è stata solo una complice amicizia ed un amore inespresso e sempre nella fase dell’innamoramento. Sono prostrato, svuotato senza più interessi nei confronti della vita e della mia famiglia. Sto male anche fisicamente e mi domina unicamente il dolce pensiero della Signora salvo poi ripiombare nei sensi di colpa nel caso riuscissi di nuovo a lasciarmi andare. Mi infastidisco dopo un nostro incontro se mi chiama, ma sbircio 100 volte il cell nei giorni successivi in attesa di un suo segnale! Ho deciso di non assumere alcun farmaco e sono ricorso all’aiuto di una terapeuta la quale ha evidenziato oltre al mio rigore assoluto la mia assoluta indisponibilità a concedermi alcunché oltre ad una presunzione smisurata.

Da laico, seppur bacchettone, in cuor mio non credo che concedersi un’amica di cuore faccia parte degli spazi individuali consentiti in un rapporto di coppia! Inoltre non ho mai ritenuto di potermici abbandonare perché l’ho sempre ritenuto, oltre che banale, una debolezza inaccettabile (dopo aver biasimato quella di mia moglie..) quasi un’arrendevolezza agli eventi. Vorrei insomma poter condividere un giorno l’aforisma che le difficoltà aiutano a crescere, di aver sofferto ma di avercela fatta! Invece…sto sempre peggio i miei stati d’animo dipendono dalla mutevolezza dell’umore della Signora. Sono geloso ma non posso permettermelo perché non c’è ufficialmente storia e per di più l’altra potenziale alternativa credo stia ormai svanendo. Dopo aver masochisticamente sperato per anni che ciò accadesse adesso ne soffro maledettamente! Da una settimana, infatti, dopo l’ultimo incontro la Signora mi ha confessato di aver staccato (pur nell’occasione baciandomi con ardore…).

Ho deciso dopo aver letto la sua “Teoria del Distacco Totale” di tentare per l’ennesima volta questa strada almeno perché i sensi di colpa nei confronti della Signora non hanno più motivo di esistere. E’ difficile data la colleganza, spero di farcela. Che poi arrivi ad un risultato dopo quattro anni mi pare ormai obiettivamente difficile ma non ho altre alternative. La cosa che veramente invece non credo riuscirò a riconquistare è la voglia e la gioia di vivere anche per le piccole cose quotidiane in famiglia. Una delusione, drammatica, dottore, lei dice, può aprire la via ad una nuova occasione; nel mio caso l’agognata alternativa futura che soppianta quella perduta è un vestito ormai logoro. Mi trovo a vivere in una realtà che ormai non mi appartiene più perché ho in mente l’altra? quando l’altra non ci sarà più mi piacerà di nuovo? o l’altra è solo il detonatore delle mie contraddizioni? Causa od effetto? Di una cosa sono certo mi annienterò accettando una vita senza stimoli ma non credo riuscirò a prendere atto del fallimento (se di questo dovesse trattarsi). Forse le mie difficoltà sono queste…

COMMENTO

Buonasera, stessa età stessa durata del matrimonio, stessa situazione tranne il fatto che io, la moglie, non l’ho mai tradito o a suo dire ho tradito il suo grande amore verso di me non amandolo come avrebbe voluto lui. Oggi le mie tenerezze non le vuole più perchè sta esplorando alla ricerca della donna ideale che io non posso più essere. I miei cambiamenti non sono più importanti per lui, ha sofferto e ora vuole farmi soffrire, ma sta soffrendo ancora anche lui, perchè, come me, non accetta il fallimento. Io lo aspetto da dove siamo partiti per ricominciare, se mai lo vorrà, come se fosse la prima volta.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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