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Testimonianza: La favola bella che a lungo mi ha illusa

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Te lo ricordi quel pomeriggio? Quelle due ore sul tuo letto a fare l amore? E poi quel temporale e l odore della terra bagnata? Te lo ricordi quel profumo di erba che veniva dalla tua finestra? E la poesia di D’Annunzio, la pioggia nel Pineto, te la ricordi? E ricordi che non la conoscevi? E quando ti telefonai (ti telefonavo sempre, mentre rientravo a casa, piena d’amore, con l’odore del tuo corpo sulla mia pelle, sulle mie labbra, sulla mascherina e sui miei vestiti) me ne leggesti un paio di strofe. Mi resi conto in un istante che avevo finalmente compreso quale fosse la favola bella alla quale faceva riferimento D’Annunzio: stavo vivendo io stessa in una favola bella … E io ero felice, ma quanto ero felice.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove (…)
su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Sono sicura che tornerò ad essere felice: di certo, questa è solo una fase della mia vita, tu stesso sei stato solo una breve parentesi e se è vero che tutti i momenti passano, tutti, siano essi terribili o meravigliosi, non mi resta che aspettare che tutto questo dolore mi attraversi, invada ogni parte di me e infine mi lasci in pace.
Quando mi ritrovo a piangere inizio a odiare me stessa perché mi sento responsabile di questa rottura, mi colpevolizzo forse per trovare una ragione che mi consenta di andare avanti. Odio la mia famiglia, perché non è stato altro che un impedimento alla realizzazione della mia felicità. Odio il mio lavoro perché ogni cosa che dico, ogni gesto che compio mi riporta in qualche modo a te. Odio anche la terapia, perché in quell’ ora non faccio altro che parlare di te, di quanto io stia male, di quanto tutto questo farmi soffrire sia ingiusto e quanto tu sia stato egoista a non condividere con me nulla di ciò che ti sia accaduto, nessuno dei tuoi pensieri: mi hai semplicemente salutata con dei messaggi senza trovare neppure il coraggio di guardarmi negli occhi mentre mi lasciavi: perché dire “ci vediamo tra sei mesi” è solo un procrastinare un saluto che avresti dovuto concedermi tempo fa. Pusillanime. Come se fossi stata l ultima delle persone in questo mondo, senza importanza, senza merito, senza dignità. Ora sto piangendo, era da tanto che non mi capitava.
Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
Spero di tornare a piangere presto di gioia, perché adesso vedo solo tanto buio dentro di me.
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Eppure, nonostante tutto questo dolore, io sono grata a tutto quello che siamo stati: grazie a questi mesi incredibili ho capito che cosa significhino le parole passione e amore… Perché tu, Federico, sei stato il mio grande amore, il sentimento più importante che io abbia mai vissuto e non so che cosa farò della mia vita nei prossimi anni, ma sono certa che non proverò mai più qualcosa di così totalizzante e così profondo.
Grazie per quella favola bella, che a lungo mi ha illuso fosse vera. Grazie.

Testimonianza di una donna seguita in Psicoterapia dal dottor Roberto Cavaliere Psicoterapeuta

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa). Possibilità anche di effettuare consulenze tramite video chiamata

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

IL RANCORE IN FAMIGLIA

Da “Il rancore in famiglia” (forum “dipendenze affettive”)

Selezione a cura di Carlotta Onali

Argomento: dipendenza e rancore in famiglia

Ciao a tutti,
spero di instaurare un confronto con questo tema, perchè ne sento il bisogno.
Già detto che sono dipendente affettiva, o meglio, che lo sono sempre stata e che da un paio d’anni sto adoperandomi in vari modi per uscire dai condizionamenti più dannosi che non mi hanno mai permesso di relazionarmi, e di conseguenza di vivere, in modo sereno ed equilibrato.
Il percorso va avanti, procede con alti e bassi, la consapevolezza si fa sempre più strada, arricchendosi di sfumature sempre più illuminanti.
Per certi versi si va un po’ per tentativi, io ne ho attuati molti.
Terapia, confronto, dialogo, studio, letture, forum, sofferenza, relazioni, correzioni, impegno, isolamento, abbandono, accettazione, fiducia, autostima, pazienza…e molto altro ancora.

Oggi mi sento più forte sotto tanti aspetti.
Attualmente sono single, l’ultima relazione (finita male) per la quale sono finita su questo forum e’ stata determinante perchè mi ha permesso dopo tanto tempo di espormi nuovamente a quegli stimoli che attivavano la mia dipendenza, la mia non autosufficienza emotiva.
Ho potuto affrontare i miei limiti, le mie paure, le mie insicurezze relazionali sotto una nuova luce e cioè quella di quando si vive e si fronteggia una cosa chiamandola con il suo nome esatto ed avendone piena coscienza.
Inoltre, il fatto di non aver saputo gestire serenamente l’ultima relazione, mi ha fatto arrivare qui, dove ho potuto crescere ulteriormente.

Ma la dipendenza si sviluppa nel contesto familiare.
Si ripropone attraverso le relazioni, ma nasce all’interno della famiglia.

Questo e’ il mio problema di oggi. Mi rendo conto che sono ancora rabbiosa nei confronti della mia famiglia.
Razionalmente ho capito che loro hanno fatto del loro meglio per me, pur compiendo errori fatali; ho capito che mi hanno dato tutto ciò che avevano e cioè quello che hanno a loro volta ricevuto dalle loro famiglie d’origine.
Ho capito perfettamente che quando si vive una vita dura, sia a livello emotivo che a livello pratico, come la loro, e’ già tanto se non ci si trasforma in mostri veri e propri.
Incapacità di comunicare, anaffettività, ossessione, fobie, aggressività, dipendenza, assenza fisica ed emotiva: tutte cose che loro hanno conosciuto da molto piccoli e per tutta la loro esistenza. Come potevano educarmi attraverso altre risorse?
Lo so, eppure ancora non l’ho accettato pienamente, nonostante io ami immensamente i miei genitori e sia consapevole di quanto loro amino me.
Lo accetto razionalmente, sono anche capace di scriverlo, ma sento nei loro confronti ancora un enorme rancore, che non riesco a superare, forse perchè non l’ho affrontato come si deve.
Non riesco a tradurre in sensazione ciò che ho appreso intellettivamente.

Oggi ho riscoperto in me una forza maggiore, che consiste nel fatto che il mio desiderio più grande e ciò di cui sento davvero il bisogno sono io. Io con le mie aspirazioni, i miei gusti, la mia strada, il mio futuro, i miei sentimenti, i miei principi, il mio valore, le mie sensazioni, le mie scelte.
Oggi, per la prima volta, sto contribuendo alla costruzione della mia vita con un’attenzione per me stessa del tutto nuova. Oggi non sento il bisogno asfissiante di avere di fianco una figura maschile da cui dipendere emotivamente per risolvere ciò che ancora non va nella mia vita e dentro di me.
Sento il bisogno di farlo io, pur non chiudendomi dentro casa. Non avrei paura di accogliere una nuova relazione, ma la cosa oggi non mi preoccupa. Non quanto prima, almeno.
Mi sento più stabile e mi sento di poter affidarmi alla vita e a me stessa un pochino di più.

Ma non riesco ad abbandonarmi al perdono totale nei confronti dei miei genitori, c’e’ qualcosa che mi ostacola, e non sono loro. Oggi loro hanno capito qualcosa del mio dolore, sanno che sto affrontando un percorso personale per tirarmene fuori, hanno capito tanti dei loro sbagli e, a modo loro e per quanto possono, cercano di rimediare.
Il problema sono io, sono io che non riesco ad andare oltre, a fare un passo decisivo verso la loro completa accettazione. Continuo a sentire un senso di ostilità nei loro confronti.
Ed ho paura che finchè non riuscirò ad accettare e perdonare loro, non potrò in realtà accettare e perdonare totalmente me stessa.

Non e’ che io sia convinta di aver superato tutti gli altri aspetti insiti nella dipendenza affettiva, ma credo, anzi, che per fare un ulteriore passo in avanti verso il mio benessere emotivo, sia necessario superare questo nodo.

Sono consapevole che qui nessuno può fare nulla al posto mio, e che molto probabilmente nemmeno io da sola avrò mai tutti gli strumenti necessari per risolvere tutto ciò. Sono convinta di avere dentro le risorse, ma credo di avere bisogno di qualcuno che mi indichi meglio la strada e che mi supporti, che mi stimoli e che mi accompagni nell’affrontare un discorso così cruciale con me stessa (terapia). Almeno questo e’ ciò che penso oggi.
Ma spero, nel frattempo, di poter confrontarmi con qualcuno qui su questo argomento perchè per me e’ davvero un tasto dolente.
Grazie per aver letto, Yana

Ciao Yana, stasera iniziando a leggere il tuo post il mio pensiero è andato a mio padre.
Ho pensato subito che avrei trovato delle similitudini tra il tuo sentire ed il mio nei confronti di quest’uomo ma mi sono accorta che non è così.
Anche stasera, serata di lavoro importante per me, lui è venuto ed io ho dovuto chiedergli alla fine se gli fosse piaciuto ciò che avevo fatto: la risposta è stata un timido si, come a dire si abbastanza.
So già per certo che domani mi elencherà con dovizia di dettagli ciò che non gli è piaciuto e si scorderà di dirmi cosa è andato bene.

Eppure io non sento rancore ma solo tanta tristezza per qualcosa che non avrò mai perchè al contrario dei tuoi genitori, mio padre ancora non ha capito cosa del nostro non-rapporto mi fa soffrire. Anzi credo non abbia nemmeno capito che mi fa soffrire!
Forse di fronte a questa totale forma di incomunicabilità io ho ceduto le armi: non mi aspetto più nulla e non nutro rancore.

Credo che questo, il nutrire rancore, avvenga quando comunque noi ci aspettiamo dagli altri di più di quello che riceviamo perchè li riteniamo abbastanza intelligenti e capaci da darci di più.
Per esempio io nutro una profonda stima nei confronti di mia madre e quando lei, per stanchezza o per distrazione, non mi comprende o non risponde con la solita prontezza, io mi irrito.
Sono cosciente che tutto ciò non è giusto e mi sono chiesta più volte perchè accada e mi sono risposta che non accetto che lei non si comporti come io reputo essere alla sua altezza.
Così non mi irrito o provo rancore per mio padre.

Però comprendo perfettamente il tuo stato d’animo, perchè io non lo vivo con i miei genitori ma con mio marito: cambia il soggetto ma non l’effetto.
Io sento di dover fare ancora un ulteriore passo per far coincidere ciò che razionalmente ho compreso con ciò che sento.
A volte mi sembra di riuscirci ma poi succede qualcosa che mi riporta alla mente un episodio che mi ha ferito e allora riemerge il dolore, la rabbia di aver permesso a qualcuno di ferirmi così tanto, di aver deluso le mie aspettative.
Ma come ha potuto un uomo che conosco bene assumere atteggiamenti così rovinosi?
La risposta la conosco bene eppure non mi aiuta.

Ho cercato aiuto nella psicoterapia in questo ma alla fine, forse perchè non sono riuscita ad approfondire, anche così nulla è cambiato.
Vorrei tanto poterti offrire una risposta, quella che anche io cerco da mesi ma ho solo le considerazioni che ti ho già scritto per ora.
Chissà che magari insieme non riusciamo a capirci qualcosa di più!!!
Un abbraccio grande Zebretta

Cara Yana,
stai ripercorrendo e hai ripercorso a ritroso le tappe della tua esistenza. Hai capito certi meccanismi da dove sono stati scaturiti e hai scoperto i tuoi e i loro limiti. La rabbia che provi dentro è quella che hai provato da bambina, la rabbia perché i bambini non hanno altre difese che questa. I bambini sono egocentrici e nello stesso tempo si aggrappano al “sole” che è il padre e la madre. Per il bambino il genitore è come un “Dio” che è amorevole e benigno e non può avere cedimenti, se ne ha il bambino lo “odia” perché dimostra di essere fragile così come si sente lui fragile, allora chi lo proteggerà? si chiede. Oltretutto il bambino non ha coscienza di sè altro dai genitori e, quanto più nel tempo questo diventerà più evidente, tanto più lui sentirà rabbia nei confronti dei genitori che hanno nella coppia (equilibrata o disequilibrata che sia) il loro vero nucleo; il bambino si sente tagliato fuori da quell’amore o da quell’odio che sente tra i genitori. Si sente come Adamo scacciato dal Paradiso.
Tu dici di aver riconosciuto e che loro hanno riconosciuto di avere delle responsabilità, ma probabilmente sei in una fase del riversare su di loro la maggior parte della responsabilità emotiva. Riconosci razionalmente le tue responsabilità ma non quelle emotive non riesci ad accettare che ciò di cui loro ti hanno privata è stato determinante perché tu hai reagito delegando a loro.
Tu pensi che essendo una bambina dovevano essere loro a fare il meglio per te, e non accetti il fatto che i tuoi genitori sono diversi hanno esperienze e caratteri diversi, cultura diversa; per loro ciò che hanno fatto era il giusto, era quello che avevano imparato e che gli era stato insegnato. Sei tu che emotivamente devi riconoscere che probabilmente fino ad oggi non hai avuto fiducia nella tua forza e hai deciso che era la loro forza a dover fare per te. Non hai avuto la forza per staccarti emotivamente da loro, loro non lo hanno fatto perché non è nella loro formazione mentale; la responsabilità è tua, perché tua è la tua vita. Ognuno deve imparare che può fare della propria vita ciò che desidera a prescindere da ciò che gli è stato dato e non dato.
Se ogni ostacolo diventa la giustificazione per delegare la responsabilità emotiva sui genitori, vuol dire che il bambino dentro di noi non ha ancora preso coscienza del fatto che è lui a determinare la propria vita ma vive ancora la nostalgia della vita simbiotica vissuta nei primi due anni dell’esistenza. Quando emotivamente riuscirai a vederlo (ci vuole analisi ma anche tempo) la fase successiva sarà perdonare te. Quando questo sarà consolidato allora sarai in grado di perdonare anche loro e riuscire ad essere serena anche se loro non sono ciò che desideri o speri. Questo periodo è utile per tirare fuori la rabbia di anni, quando sentirai che quella rabbia non nutre più la tua soddisfazione allora passerai alla fase della coscienza di cui parlavo prima.

Per Zebretta:
Quando non sarà più determinante e non farà più male che tuo padre non riconosca il tuo valore, perché tu sai di averne uno a prescindere da lui, allora questa malinconia non pungerà più. Anzi non cercherai più di essere brava o bella ai suoi occhi perché tu sai di esserlo comunque, mentre capisci che lui non è in grado di reggere il confronto con te perché in realtà è molto più insicuro di quanto non ti sia mai sembrato sin da bambina che per te era la “cartina tornasole” del mondo maschile. Un abbraccio ad entrambe. Pat
P.S.: è dura, durissima, io l’ho passato prima di voi. Ma quando si è fuori da tutto questo, nonostante qualsiasi dolore possa tornare a farvi male sarete in grado di affrontarlo con una forza nuova. Pat

Cara Yana, ti comprendo benissimo. Ho vissuto provando rancore per tutta la mia vita nei confronti soprattutto di mio padre ma anche per mia madre ma credo di avere superato questa fase. Purtroppo non so darti un consiglio che vada bene per te. Ognuno ha il suo percorso. Per me quello che mi ha “liberata” dal rancore, è stato il confronto come genitore: il comprendere che anche io, che sono certa dell’amore immenso che provo per mia figlia, sto facendo i loro stessi errori quando non ne aggiungo altri di miei. Questo mi ha fatto comprendere fino in fondo che gli errori non derivano dal poco amore ma dai limiti che noi abbiamo. Io amo mia figlia immensamente come ogni madre eppure sbaglio.. come ogni madre… Saprai dare amore se ne hai ricevuto ma non averlo ricevuto non vuol dire che non siamo stati amati. Mio padre aveva una madre che incuteva terrore.. la sua vita era stata davvero dura… I nostri genitori hanno vissuto delle vite terribili.. e i loro genitori ancor di più.. hanno vissuto due guerre e avevano “camionate” di figli. Altro che pensare a come rispondere alle richieste dei figli.. loro dovevano cercare di fare in modo semplicemente che i figli sopravvivessero…Questo nel passato della mia famiglia. So che questo non basta per fare la pace con i nostri genitori. Temo che, come in ogni tappa del nostro percorso, il primo gradino per risolvere i nostri problemi sia la consapevolezza che non è abbastanza, però.. una volta raggiuntala credo sia necessario lasciare che la vita ci guidi cogliendo i suoi suggerimenti. La mia vita mi ha posto innanzi alla malattia di mio padre e solo così ho iniziato il percorso che mi sta portando ad elaborare vecchie ferite che credevo insanabili. La rabbia si è sciolta lasciando posto al dolore, all’amore e a tante sensazioni ed emozioni profondissime ed intensissime che erano racchiuse dentro un contenitore di rabbia. E sai una cosa? Credevo che la rabbia fosse l’unica cosa da “combattere” invece era solo un piccolo sintomo che mascherava un mondo di emozioni sommerse.
Talvolta mi lascio prendere dalla paura di queste sensazioni che escono fuori che sono sconosciute.. mi sorprendono come un fiume in piena che travolge ogni cosa…. Se ti accadrà non averne paura… accogli quel fiume come sto cercando di accoglierlo io.. è l’unico modo per fare la pace con se stessi e con le nostre radici: i nostri genitori che amiamo. Non avere fretta e non avere paura… se quello che vuoi davvero è fare la pace con loro vedrai che la vita di dirà come fare.. ti mando un abbraccio fortissimo
Gio62

Ciao a tutti, molto interessante questo tema, e grazie per averlo proposto.
Io a volte mi chiedo: perchè sei qui a farti mille domande sul passato, su come si sono comportati loro (i genitori), sulle scelte che hanno fatto, che inevitabilmente hanno pesato sul mio futuro, sui modelli e valori che mi hanno trasferito,etc.. Tu, a questa età, dovresti gestire la tua vita in modo autonomo e libero, dovresti farti una famiglia come la vuoi tu, a coltivare una relazione sana e costruttiva con un compagno, e non dovresti passare il tuo tempo a distruggere tutto come Attila! E invece scopro che ho ancora bisogno della loro approvazione, io che sono praticamente cresciuta da sola (e questo lo dico con una punta di orgoglio!) , che ho scelto tutto da sola (dalle scuole superiori, agli sport alle elementari, le amicizie da frequentare, i vestiti da comperare..) che non ho mai fatto pesare i miei problemi, che non ho mai fatto pesare il peso delle loro scelte su di me. Io che fino a ieri ero il simbolo dell’autonomia, mi scopro debole, dipendente dal mio compagno, dentro una relazione che contava moltissimo per me, e che a causa dei miei comportamenti asfissianti e scostanti è finita. Come ho perdonato tutto ai miei (apparentemente) non perdonavo niente a lui. E coltivo sempre di più il sospetto, di non averli perdonati veramente e per questo di essere ancoràta ancora a loro; di essermi autoboicottata, perché scegliere il mio compagno significava probabilmente rinnegare mio padre, e il sistema dei valori nei quali sono cresciuta. Scegliere il mio compagno e la vita insieme a lui era una sorta di tradimento nei confronti della mia famiglia, alla quale mi sentivo e mi sento tuttora legata da un sentimento anomalo, (una dipendenza?). E oggi sento più vivo che mai questo rancore, non solo per il passato, ma per il fardello che mi sento dentro oggi, e che non riesco a scrollarmi di dosso. Come se paradossalmente quella presenza che chiedevo invano da piccola, fosse diventata una realtà solo oggi , fuori tempo massimo, con tutto il peso e l’ingombro delle cose fuori posto.

Buona giornata! Piggy

Cara Zebretta,
Il nostro sentire nei confronti dei nostri “padri” ha invece molte similitudini. O meglio, tu provi piu’ tristezza e io rancore (misto ad un’infinita tristezza), ma la sensazione che provi quando lui non e’ capace di apprezzarti, o non in grado di esternarlo, e’ la medesima.
Sono cresciuta in mezzo ai suoi rimproveri, alle critiche; anche quando le cose andavano bene..potevano sempre andare meglio, per lui. Di conseguenza, anche per me.

Conosco bene questa sensazione che ti ferisce e t’influenza per tutta la vita, e che ti fa inglobare in fondo a te stesa una subdola errata convinzione: quella di non essere mai all’altezza, di non essere adeguata.
Per me combattere contro questa sensazione, che e’ sempre stata molto inconscia e quindi presente in modo latente, e’ qualcosa di molto difficile, anche adesso che me ne rendo conto.
Forse perche’ le emozioni più nascoste riguardo a questa ferita le ho razionalmente comprese ampiamente , ma non sono mai emerse realmente per un contatto vivo con me stessa.
E’ di questo che ho bisogno, ma probabilmente continuo ad erigere delle barriere perchè ho paura di farmi sopraffare dal vortice di sofferenza che si scatenerebbe.
Credo di non avere il coraggio, o la forza, di lasciarmi andare veramente su questo punto.
Forse non e’ ancora arrivato il momento, o ci sto arrivando piano piano: il nostro inconscio e’ rimasto bambino, ma lavora per proteggerci in fondo, ed ha una logica che forse non apprezziamo abbastanza. Ci permette di affrontare le nostre angosce limitatamente a quanto il nostro organismo (mente e corpo) e’ in grado di sopportare gradualmente.
Quindi forse devo solo farmi trasportare dagli eventi, come dice Gio62, e lasciare sfogare gradualmente tutti i sentimenti che mi porto dentro da una vita. La rabbia, il rancore, ma anche tanti altri.

C’e’ una frase che hai detto, che mi ha fatto riflettere tantissimo:

Credo che questo, il nutrire rancore, avvenga quando comunque noi ci aspettiamo dagli altri di più di quello che riceviamo perchè li riteniamo abbastanza intelligenti e capaci da darci di più.

Non mi ero mai soffermata su questo aspetto e credo tu abbia perfettamente ragione.
E’ vero, credo di aspettarmi sotterraneamente qualcosa di più dai miei genitori da sempre, e non ho ancora smesso di farlo. Questo continua a significare che non ho ancora imparato ad accettarli veramente, a perdonarli e a smettere di delegare a loro tutta la responsabilità della persona che sono oggi.
Ragazze, com’e’ difficile!

Grazie Zebretta, mi hai fornito uno spunto importantissimo per continuare a capire..e forse a liberarmi un pochino di più..
Un bacio enorme Yana

Pat,
tutto ciò che dici e’ vero, verissimo.
Mi riconosco in tutto, riesco a vedere tutto, ma non riesco a sentirlo pienamente con il cuore. Emotivamente, non ho ancora superato, non mi prendo per ora ancora tutte le mie responsabilità, come dici tu, nonostante lo abbia capito, letto, sentito dire, addirittura scritto, molte volte.
E’ questo che mi rende inquieta. Vorrei decidere di sentire tutte queste cose, ma non e’ così che succede.

Ci sono stati momenti in cui ho pensato che stava per sopraggiungere la fase in cui tutto sarebbe sgorgato fuori. In parte e’ successo, ci sono stati diversi periodi della mia vita in cui ho provato una rabbia accecante, un dolore acuto, e nelle ultime situazioni in cui tutto ciò e’ accaduto, non sono stata in grado di trattenere nulla. Ho buttato fuori, ed e’ stato un inferno, anche se in parte mi ha liberata.
Ma sento che non e’ finita, perchè oggi, ancora, dopo tutto questo, mi sento ancora rancorosa ed in certi frangenti la cosa e’ incontrollabile (ed io cerco comunque di tenerla sotto controllo).

Oramai il tempo dell’infanzia e’ passato, ed anche il tempo in cui non capivo, ma, anche se sotto molti aspetti i miei hanno potuto vedere l’angoscia e l’odio scaturito dal nostro e dal loro rapporto, anche se per certi versi si sforzano di venirmi incontro, loro sono comunque e saranno sempre le persone che sono.
Dovrei accettarli esattamente per ciò che sono, arrendermi, amarli per le loro qualità e per i loro limiti, eppure i loro limiti continuano ad urtarmi.

L’indifferenza non e’ possibile quando si parla della propria famiglia, e non posso e non voglio allontanarmi da loro, come si può fare con una relazione che non fa per noi. L’unico modo e’ accettare, lo so, ma faccio una tremenda fatica.
In questo, tempo fa, pensavo di essere più avanti, oggi mi rendo conto che sono indietro.

Grazie infinite Yana

Recupero questo thread di Yana perché quest’argomento oggi mi sta particolarmente a cuore. Penso, infatti, che per me il non aver superato il rancore in famiglia sia ciò che più di qualunque altra cosa sta ostacolando la mia crescita e il mio cammino verso la serenità.

Il rancore, come ho già scritto, ci annebbia e ci rende incapaci di misurarci in modo lucido con noi stessi e con gli altri. Quando il rancore si “materializza” come sentimento negativo verso un’altra persona è per lo meno “tangibile”, lo vedi e sai che lo puoi affrontare, puoi fare finta di non vederlo, è una tua scelta… ma è comunque lì, assume la forma della persona “odiata” e ci sfida ad affrontarlo…

Il rancore che si origina nella famiglia di origine, per quanto riguarda la mia esperienza, ha una connotazione molto più subdola. Non è un sentimento che mi induce a vedere mio padre o mia madre come miei carnefici, come responsabili delle mie frustrazioni e delle mie sofferenze, dei miei traumi e delle mie paure… Proprio per quello non l’ho riconosciuto. Per tanti anni, in particolare dal periodo universitario sino ad oggi (parliamo di 15 anni circa) questo sentimento negativo mi ha corroso lentamente senza prendere una forma ben definita. Erano una serie di comportamenti interiorizzati che a volte si manifestavano come ossessività nello studio, a volte come rigidità nei rapporti interpersonali, a volte come eccessivo senso del dovere e della moralità, a volte come arroccamento e chiusura mentale. Quando tutte queste dinamiche si sono accumulate hanno creato una sovrastruttura al di sopra del mio carattere, che pur non facendo parte dell’ essenza della mia personalità l’hanno condizionata drammaticamente. Io non mi rendevo conto che tutto quello non era parte di me, quindi non riuscivo ad essere obiettivo, perché la sovrastruttura deformava la mia visuale.

Le situazioni di sofferenza affrontate nell’infanzia e nell’adolescenza erano troppo pesanti da affrontare, quindi le ho intellettualizzate per non sentire la loro portata dolorosa… mi sono “contratto” per trattenerle dentro di me. La mia esperienza traumatica di qualche mese fa è stata però una svolta in termini di consapevolezza, sono riuscito a ricondurre finalmente tutte le mie nevrosi alla loro origine e quello che era vago e non ben definito ha preso finalmente forma. E’ stato devastante accorgermi, ed è stato un momento che non dimenticherò mai, che nel “rispondere male” ai miei genitori veniva fuori esattamente quello che per anni mi ha fatto vivere una profonda inquietudine, ha fatto crollare la mia autostima, mi ha reso debole, vulnerabile e… dipendente . L’origine era la stessa. Finalmente conoscevo la radice dei miei mali.

Lavorare su queste dinamiche è difficilissimo, perché si tratta di pensieri irrazionali ormai stratificati e sedimentati dentro… ci vuole un lavoro enorme per scardinarli dalle fondamenta… eppure quando ho avuto consapevolezza di tutto ciò ho trovato dentro di me una forza di volontà che non pensavo assolutamente di avere tra le mie risorse (ero ormai completamente “scarico”). Quest’energia proviene dalla volontà di interrompere, finalmente, lo spreco di energie mentali e poterle incanalare in un cammino, pur lungo e faticoso, che porta a stare bene con me stesso .

Sto già meglio e questo è il segno che la strada è quella giusta.

Un abbraccio Dentwilliams

Ciao dent,
tu stai vivendo ciò che io ho vissuto e continuo ad affrontare ogni giorno. Per molti anni ho pensato che la colpa dei miei comportamenti negativi o dei miei fallimenti fosse imputabile alla mia incapacità, alle mie mancanze. Poi quando ho recuperato l’amore per me stessa ho riconosciuto che se errori avevo commesso era perché nessuno mi aveva insegnato a credere in me stessa; anzi i miei genitori mi hanno cresciuta minando proprio le mie sicurezze interiori. Non perché non mi amassero ma perché erano anch’essi una coppia di insicuri in modo uguale e inverso l’uno nei confronti dell’altro e avevano bisogno di sentire la dipendenza dei figli. A tre anni ho subito un trauma e piuttosto che ammettere a loro stessi che non erano riusciti a proteggermi proprio per la loro stessa dipendenza affettiva nei confronti della famiglia di origine, hanno preferito negare (tuttora mia madre non riesce ad ammetterlo e sono discorsi recenti…di contro ho avuto la soddisfazione questa estate di avere conferma da una mia zia che fortunatamente sta facendo un proprio percorso di crescita) e farmi sentire bugiarda, visionaria e colpevole. Oggi non ho più intenzione di convincerla, so di essere nel giusto, so che lei mi vuol bene; in modo malato però, da dipendente. Lei non riesce a vivere una sua vita autonoma con mio padre, ha bisogno di sentirsi continuamente occupata con la vita degli altri, soprattutto noi figli. Quando ho capito all’inizio del mio percorso che veniva da lì la mia dipendenza è stato un fiume in piena di rabbia. Sono andata a vivere per mio conto, i rapporti con loro sono diventati conflittuali o formali..oggi ho messo un freno a tutto questo. Capisco che non sono in grado (papà ha altri limiti)di amarmi come vorrei e non gliene faccio una colpa, sono cresciuti così e all’epoca avevano altre esigenze primarie che non quelle psicologiche; ma non intendo ricalcare la vita che loro vorrebbero per me nè permettergli di invadere il mio privato. Cerco di amarli come posso e di trovare un terreno di comunicazione possibile. Mi è più facile quando la mia vita è serena, quando ho momenti di confusione, dubbi, cerco di tenerli fuori; di isolarmi perché so di non poter contare sul loro aiuto tranne che quello economico. In questi ultimi cinque anni ho analizzato il mio profondo, ho scoperto forze dentro di me che non sapevo di avere; mi sono sentita un individuo e non più l’appendice di qualcuno. E’ stata una sensazione bellissima e auguro a tutti di arrivare a provarla. Prosegui su questa strada: qualche volta avrai dei dubbi; qualche volta potrai essere sommerso da una sensazione di perdere quasi la rotta, di avere le vertigini…proseguire ti farà sentire di avere il timone tu nelle tue mani. Un abbraccio e grazie mi hai dato modo di parlare un po’ del mio percorso. Pat

Ciao a tutti. Lo avevo promesso ( in un altro thread) e lo scrivo! Lo scrivo perchè penso possa essere di aiuto a qualcuno e anche perchè è un’esperienza molto bella da condividere.
Non mi riferisco ad un post piuttosto che ad un altro ma quello che voglio assolutamente dire è che non bisogna avere fretta nel risolvere la rabbia. Vorrei dire che, nella mia esperienza, lo scorrere della vita ci aiuta.. dobbiamo solo essere pronti ad accettare e ad essere più recettivi e le soluzioni ai nostri problemi arriveranno. Provare rancore è normale.. è una fase.. io ci ho convissuto per decenni.
Il rapporto con mio padre ha minato i miei rapporti con il sesso maschile per anni. Ma ha reso differenti anche i rapporti con il resto del mondo perché buona parte della mia insicurezza la devo alla mancanza affettiva di mio papà.
Lui fisicamente c’era ma mai una carezza, mai un apprezzamento.. tutto il contrario!
Fin da quando ho ricordi vedo una bambina che avrebbe fatto ogni cosa per raggiungere suo padre ma che non riusciva a raggiungerlo e si sentiva infelice.. Nell’adolescenza vedo un padre che mi ha ostacolato in ogni modo, che mi ha criticato in ogni modo… e una madre che non era da meno nonostante facesse la parte della mia amica .
Vedo una Gio che ha portato tanto rancore alle figure maschili in alcuni momenti della vita, una Gio che ha odiato suo padre disegnandolo come un mostro.
Poi un giorno Gio ha guardato suo padre con occhi diversi e ha visto un uomo: è stato come se cadesse una maschera ..
E ho capito.. ho visto tutta la sua fragilità. Ho visto nello specchio nel quale mi riflettevo l’immagine di mio padre che avrebbe voluto tante volte raggiungermi ma non sapeva come e probabilmente aveva sofferto molto. Ho visto un vecchio sofferente che non ha più voglia di vivere perché gli manca la capacità di amare e senza amore si muore… si muore dentro.
Non so come è successo ma da quel momento qualcosa è scattato.. La sua malattia ci ha aiutati e, per assurdo, i momenti in cui io mi curo di lui ( ad esempio accompagnandolo a fare esami) e siamo soli senza la presenza di mia madre, sono talmente belli ed intensi da sembrarmi dei miracoli.
E ho capito alla mia veneranda età cosa voglia dire avere un padre vero, sentire la presenza di un padre. Ho provato quelle sensazioni che le mie amiche provavano e che non comprendevo. Ho compreso che esiste un filo che lega il padre e la figlia. Lo immaginavo ma non lo sapevo.
E’ assurdo ma la sua presenza.. la presenza di un uomo vecchio che sta malamente in piedi e probabilmente ha poco da vivere.. mi da sicurezza come non ne ho mai avuta.
Ho scoperto che mia madre ha giocato un ruolo fondamentale in questo nostro rapporto conflittuale allontanandoci, probabilmente, per potere lei avere il controllo e la gratificazione totale della mia presenza ed affetto…..
Non ho mai visto questo aspetto di mia madre.. non l’ho mai considerata così.. per me era la donna succube e debole del marito/papà/padrone: la vittima… ma i ruoli non erano così. L’anello debole era mio papà. Era mia mamma che esercitava il controllo.
Ma scoprire questo aspetto di mia madre non me la fa odiare… io sono madre ora e so cosa vuole dire esserlo, so quanto facilmente si fanno errori e lei mi ha amata più di se stessa! Ma questo mi apre un mondo che non conoscevo.
Incredibilmente la scoperta di questo ha aperto un varco in quel muro che pareva insormontabile. Mio papà parla poco.. non parlerà mai dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. Non mi ha dato mai un abbraccio forse mai me lo darà perché sarebbe fare una violenza al suo modo di essere. Sto smettendo di desiderarlo tanto perchè le nostre anime si sono abbracciate comunque.Ho scoperto la via del suo cuore.. Quando gli ho parlato l’altro giorno ( vedi che schifo! Uno sfogo) lui non ha detto nulla. Si è rinchiuso in se stesso dicendo “basta o me ne vado” perché non voleva farsi vedere emozionato ma poi non ha dormito per tutta la notte… poi era sorridente nonostante non sia nel momento migliore della sua vita.
E’ stranissimo ….avere avuto il coraggio di parlargli mi ha fatto fare la pace anche con me. Mi sento più leggera ed è come se avessi un peso in meno …
In rancore ci distrugge. Io pensavo di provarlo solo nei suoi confronti e invece era parte di me, e ora sono in pace ed è bellissimo.
So che davanti a noi c’è un momento molto duro e non voglio neppure pensare a come potrà essere soprattutto quando mi lascerà.. ma ora so che siamo in pace…La vita scorre e finisce.. l’importante è viverla al maglio.
Io non ho mai sperato tutto questo e se lo avessi voluto raggiungere non ce l’avrei fatta… Ecco quello che volevo soprattutto dire. Ognuno di noi ha una strada e nessuno può dirci cosa è meglio.. dobbiamo solo ed unicamente imparare ad ascoltarci.. ad affidarci. Ragionando non avrei mai potuto giungere a questo. E’ certo importante comprendere ma è ancora più fondamentale lasciarsi andare al fiume della vita accogliendo le possibilità che ci vengono date.
Spero che questo post possa essere di aiuto a qualcuno.
Un abbraccio a tutti
Gio62

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

OSSESSIONE D’AMORE IDEALIZZATO

TESTIMONIANZA DI UNA DONNA IN TERAPIA COL DOTTOR ROBERTO CAVALIERE

Sono tre anni  che il mio pensiero in modo leggero e poi sempre piu’ forte va a lui.

Il primo pensiero della mattina è lui e l’ultimo prima di coricarmi è sempre rivolto a lui. Spesso anche nei sogni c’è lui da solo o accompagnato da qualcuna. Quando parlo con qualche amica rivivo minuziosamente quei pochi istanti vissuti insieme e vivisezione ogni parola e gesto compiuto per torturarmi e capire dove ho sbagliato e cosa avrei potuto fare o non dire per salvare un altro incontro con lui.

Ogni volta che incontro un uomo che vuole conoscermi o semplicemente scoparmi parlo di lui. Alcuni credono che io abbia vissuto una storia d’amore, invece nulla: tutto è costruito nella mia mente, idealizzato e vissuto fantasticamente sperando che un giorno o l’altro possa accadere qualcosa ma più passano i giorni più c’è silenzio, vuoto, speranza, illusione.

In modo speculare mi analizzo da tre anni a tal punto da arrivare a fare psicoterapia ultimamente: ossessione, dipendenza affettiva, bassa autostima, insicurezza, gelosia, poca fiducia in se stessa, pensieri negativi. Tutto mi era già chiaro, avevo raggiunto da sola e con l’aiuto delle mie amiche la consapevolezza di quello che mi faceva star male.

Ho sofferto tanto per lui, non so se ho mai toccato la depressione, ma di certo mi sono fatta un gran male.

  • E’ un “amore malato”, non corrisposto. Mi diceva lo psicologo.
  • Vorrei mandargli un sms. Il mio grido disperato e lui mi ripeteva:
  • Ma oggi ha voglia di farsi del male?

Per la prima volta mi sono innamorata. Quando lui mi cercava e mi desiderava io lo evitavo. Avevo paura di non essere all’altezza, di star bene. Ero insicura, bloccata. Chiedevo consigli a mia cugina, alle mie amiche perché non volevo sbagliare.

Sono stata sempre una donna determinata, ho raggiunto dei traguardi importanti e da soli per avere l’approvazione degli altri più che per esser felice io. Da qui il mio malessere, il mio maldamore e non essere mai contenta di quello che faccio.

  • Tu ti sminuisci, di cosa hai paura? Un giorno mi disse il mio Dirigente scolastico.

Sono docente ma precaria da anni. Nel lavoro ho avuto molte soddisfazioni. Entrare in classe per un periodo era l’unica cosa bella che potesse fermare il mio pensiero per lui.

Da quando ci siamo conosciuti, il mio rapporto con facebook è stupido e infantile. Mi sono accorta di quanto sono fragile e gelosa.

Controllavo tante volte in un giorno cosa postava, con chi si faceva fotografare, quando era in linea, i commenti e i mi piace che metteva. Andavo sul profilo delle donne che secondo me gli piacevano e osservavo le loro foto e i link. In questo modo mi facevo un’idea di chi fossero, se avrei potuto competere o no.

Andavo sempre sulla pagina della sua ex con la quale avevano convissuto sei anni. Si erano lasciati perché lei lo cornificava e un giorno il messaggio inviato all’amate finì sul suo telefono.

Poi seguivano messaggi a cui a volte rispondeva ed altre volte no. E la mia ansia, il mio desiderio di vederlo cresceva fino a diventare un’ossessione.

A volte mi chiedo perché non sono riuscita a vivere una bella storia d’amore lunga. Mai. Storie di giorni, settimane massimo sei mesi. Tutte distrutte sul nascere perché c’era sempre qualcosa che non andava. Impulsiva, afferravo la cornetta del telefono e mettevo in atto tutti i meccanismi di difesa e di attacco che conosco per tener lontano l’amore. Nessuno mi poteva amare perché io non mi sono mai data il permesso di farmi amare e di farmi conoscere per come sono. Quando mi sono aperta a lui, lui mi ha bloccata. Oppure quando mi sono aperta ad altri ho ricevuto due di picche e gelo.

Mi sono rifugiata nello sport, con a volte due allenamenti al giorno per combattere per convogliare le mie energie in modo salutare e trascorrere le mie giornate vuote in modo forse più terapeutico possibile.

Che programmi hai per ferragosto? E dopo un’assenza di due giorni arriva la risposta: lavoro. Buon proseguimento!

A ferragosto gli auguri e nessuna risposta, dietro sollecitazione arriva la risposta Ovvio lavoro!

Ultimo sms in cui ho preso l’iniziativa. Mai più prendere iniziative con soggetti simili. Con uomini che non hanno alcun rispetto della donna, che guardano l’orologio dopo aver fatto sesso e vanno via lasciandoti col vuoto esistenziale lacerato. Gente senza scrupoli, che pensano solo a se stessi e non si accorgono del male che ti possono arrecare. Gente che non si accorge della tua solitudine, della tua sofferenza, della tua richiesta di affetto. Sorda per comodità. Lui è stato sincero in un certo senso mi dicevano, ti ha detto che non ti voleva, che non voleva impegni che usciva con altre donne. E perché vedermi allora, solo quando dice lui?

Il personaggio della storia è una donna ipersensibile e fragile, una persona in cammino, che vuole spiccare il volo per approdare sulla strada del volersi bene, chiave di volta per la sua guarigione interiore.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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FINALMENTE E’ ANDATO VIA DALLA MIA TESTA E DAL MIO CUORE

TESTIMONIANZA DI UNA DONNA IN TERAPIA COL DOTTOR ROBERTO CAVALIERE

Oggi 25 giugno 2016

Sono passati quattro anni da quando ti ho incontrato, conosciuto, infatuata e presto da lì a poco innamorata. “Ossessione, mal d’amore,non ti vuol bene” continuava a ripetermi il mio analista, mia madre, le mie amiche.

  • “Lui non ti vuole, non ti merita, voleva divertirsi, non ci tiene, gli hai dato fastidio e ti ha eliminata, ci sei stato troppo addosso…”
  • “So tutto” rispondevo a tutte e questi ritornelli duravano da mesi.

Mi sono esaurita, ho pianto sono stata male ma a tutto oggi, sebbene non lo vedo da un anno e mezzo mi manca. Cosa poi? Non ho avuto una storia d’amore, non c’è stato quasi nulla se non rifiuti, scuse e bugie. Delirio: lui ritorna, qualsiasi oggetto mi fa pensare a lui, una frase, un viaggio, un numero come un film rivisto mille volte ritorna vivo alla mia mente.

“Che senso hai? Perché non lo riesco a dimenticare? Cosa vuoi da me Dio? A volte penso di impazzire, di non farcela più. Io non vorrei pensarlo, voglio dimenticare. Gli ansiolitici mi aiutano a star in uno stato motivo più tranquillo, ma non sono io”.

Il mio unico sogno è stare con lui. Sara’ vero poi? Perché devo continuare a soffrire la sua mancanza in questo modo?

“Mi va bene tutto tranne l’amore. Mi sono chiesta tante volte perché non mi sono data la possibilità di farmi amare e rispettare, perché non mi sono lasciata andare come faccio con altre persone che non mi interessano. Perché mi sono sentita impaurita, con lancinanti mal di stomaco appena ci salutavamo e dopo i suoi messaggi chiedevo consiglio al mondo prima di rispondergli. Perché non mi sono fidata di me stessa? Perché in quel momento non ho saputo organizzarmi e catapultarmi dall’unico uomo che ho amato?Perché non gli ho parlato chiaramente? Da donna di spessore quale sono? Perché non gli ho detto quello che pensavo sinceramente nel bene e nel male?”.

Avrei tanti buoni motivi per odiarlo, per eliminarlo dalla mia vita ma non ci riesco. Allora ti chiedo Signore tu l’hai messo nel mio cuore, tu lo devi togliere perché io non ce la faccio più.

Non posso più raccontarlo perché la gente considerata normale, che riesce a cambiare partner con la velocità dell’alternarsi del giorno e della notte, mi direbbe è troppo tempo che soffrire e soffri per il nulla.

Tutto vero ed esatto ma è così, devo accettare anche se è un continuo torturarmi. Spesso penso di non riuscire più a liberarmi da questa ossessione per non avermi dato la possibilità di vivereciò che era il mio sogno. La situazione mi è sfuggita di mano. Tante volte mi sono autosabotata. Lui mi cercava, mi messaggiava una sola volta al giorno e a me ciò non andava. Mi telefonava e non ero contenta. Mi corteggiava ma io pensavo che non era sufficiente. Poi la proposta del viaggio e della convivenza ed io non ho saputo dirgli di si. Un no dettato dalla paura, che mi è costato una malattia.

Quando io avevo capito di aver sbagliato tutto, lui mi ha bloccata. Tutto ciò che è seguito tra me e lui me lo sono cercato. Mi sono fatta male ma di brutto. Ho provato in tutti i modi a cercarlo, a fargli capire che per me era importante. Poi dopo mesi ci riuscivo ma lui scherzava ed io frustata me la prendevo. Un disastro. Incompatibilità, non lo so. So solo che a distanza di quattro anni non ho incontrato nessuno che me lo facesse dimenticare. Ora ho deciso di partire da me, di chiudere col mondo maschile perché vivo le storie con troppa ansia, facendo del male a chi alla fine non lo merita.

L’ansia, la sfiducia, la paura di innamorarmi sono stati i colpevoli del mio non aver vissuto la storia con te.

Forse anche tu vivevi quest’ emozioni, probabilmente anche tu hai assunto atteggiamenti di difesa nei miei confronti o solo perché non te n’è mai fregato nulla. Sta di fatto che non mi hai più dimostrato nulla.  I tuoi tre mesi di attenzioni nei miei confronti e i miei quattro anni di richiesta d’amore, di letture scelte per capire  come avrei potuto riconquistarti, mi insegnano che quando si ama e non si è corrisposti si è tristi da morire.

Penso a come sarebbe stato bello passeggiare, ballare, mangiare, praticare sport, dormire insieme, sorridere come è successo quelle rare volte che ci siamo viste: tre volte in un anno.

Da un po’ di tempo che non parlo più di te quasi a nessuno, tutti i miei link su fb, speravo che arrivassero direttamente al tuo cuore. Qualche volte è successo ma appena sei ritornato l’hai fatto dicendomi che non volevi impegni, che io mi buttavo addosso e che era colpa mia se ci vedevamo.

Ti avvicinavi e ti allontanavi per settimane senza scriver mai un ciao come stai? Il silenzio e il vuoto crescevano a dismisura ma continui ad essere nei  miei pensieri perché ancora mi accuso di non aver vissuto la nostra storia d’amore. Ma spiegami: come avrei potutovivere una storia serenamente con l’ansia che mi prendeva tutto il mio essere quando ti vedevo. Stavo male. Avrei dovuto farmi rispettare di più.

05/12/2019

Aprendo il computer e ritrovando questa pagina di diario mi sono accorta che tanta strada ho dovuto percorrere e finalmente dopo sette anni sei andato via dalla mia testa e dal mio cuore.

Buon natale Alessandra.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

TESTIMONIANZA: LA RELAZIONE TRA FAVOLA E REALTA’

“…dopo viene Maria Mezzomondo, sette anni, detta così perché ha la doppia vista: con l’occhio destro vede le cose della realtà, e col sinistro le fiabe.
Dopo di lei c’è Bimbo Dumbo, sei anni, detto così per le sue grandi orecchie a sventola, con cui sente benissimo tutti i rumori del mondo vicini e lontani.

– Allora attraversiamo? – chiede Pam, che vuole andare dall’altra parte della strada a trovare la sua amica Federica.
– No, – dice Valentino, – stiamo giocando a chi passa lungo il fiume.
– Chi passa lungo il fiume? Quale fiume? – chiede Pam.
– Ma non lo vedi? – dice Maria Mezzomondo coprendosi l’occhio della realtà, e guardando la strada con quello delle fiabe. Così vedeva il largo fiume Congo, nonno d’acqua, pieno di schiene di tartarughe e coccodrilli.
– Ma non lo sentì? – dice Bimbo Dumbo, orientando le orecchie giganti chissà a quale foresta lontanissima. Così sentiva uccelli e scimmie gridare, foreste fronzute stormire, correnti di acque frusciare.”
Da “Storie del viavai” di Bruno Tognolini.

Anche voi avete un occhio della realtà e uno delle fiabe? E le orecchie di Bimbo Dumbo che possono sentire suoni provenienti da spazi lontanissimi e luoghi profondissimi?

Io si!

Se mi copro l’occhio della realtà, con quello delle fiabe posso vedere arcobaleni quando il cielo è sereno e scoiattoli arrampicarsi veloci sugli alberi del mio giardino. E con le orecchie magiche posso sentire note melodiose ad ogni passo dei miei gatti, o i pesci del laghetto che parlano tra loro.

Il guaio è che, molte volte, con l’occhio delle fiabe ho visto scenari meravigliosi dove di meraviglioso non c’era assolutamente niente, ma proprio niente! E mi sono pure ostinata a tenere coperto l’occhio della realtà, mentre le orecchie giganti sentivano perfettamente la mia VOCE INTERIORE che gridava e mi scongiurava di non buttarmi in certi fiumi pieni di coccodrilli, ma non le ho dato ascolto.

Ma fa niente, il necessario è che i coccodrilli non mi hanno mangiata se sto qua a scrivere questo post.
C’è ancora vita!
Nuova, diversa, migliore!

Maria Rosaria Esposito https://www.facebook.com/mariarosaria.esposito.58

TERAPIA DELLE DIPENDENZE AFFETTIVE E RELAZIONALI

CARATTERISTICHE DEL PROCESSO DI GUARIGIONE E DIPENDENZA:

ammettere l’incapacità di controllare la malattia-cessare di fare la colpa dei propri problemi agli altri – concentrarsi su se stesse, assumendosi la responsabilità delle proprie azioni-cercare l’aiuto dai propri pari-cominciare ad affrontare i propri sentimenti invece di ignorarli ed evitarli-formare un circolo di amiche con interessi sani.

Quando incominciate a rinunciare a controllare chi vi sta vicino, potete realmente provare la sensazione fisica di cadere da una rupe.

Quando liberate gli altri dai vostri tentativi di controllarli,la sensazione di non avere più il controllo di voi stesse può essere allarmante. Ricordate che nessuno ha il potere di cambiare un altro, tranne la persona stessa. Concentrate le vostre energie sul compito di aiutare voi stesse.Rimarrà sempre la tentazione di cercare ancora fuori di voi una ragione di vita. Reprimete questa tendenza e continuate a concentrarvi su voi stesse.

Quasi tutta la follia e la disperazione che vi invade viene direttamente dai vostri tentativi di dirigere e controllare qualcosa che non è in vostro potere.

Finchè non ci assumiamo la piena responsibilità delle nostre decisioni, scelte, vita, felicità non siamo esseri umani pienamente maturi, ma restiamo delle bambine dipendenti e spaventate in un corpo da adulte. Diventando meno bisognose d’affetto, è più facile che i nostri bisogni vengano soddisfatti.

Donare il nostro amore senza aspettarci niente in cambio è la cosa più naturale (e giusta) da fare.

Quando finalmente ci limitiamo ad “essere” invece di “fare” ci sentiamo imbarazzate e molto vulnerabili. La mutua commiserazione come criterio di amicizia deve essere rimpiazzata da mutui interessi molto più remunerativi. Donne che amano troppo – Robin Norwood – Feltrinelli Editore

 

Innanzitutto la prima terapia è il TEMPO . Qualsiasi tipo di “terapia” voi intraprendiate dovete concedervi tempo, non potete pretendere che il tutto avvenga velocemente. Il tempo vi aiuterà anche a lenire le ferite. Inoltre, potrebbe essere utile non iniziare, come spesso succede, una terapia durante le fasi più acute. Si rischia di fallire in partenza.

Ogni terapia sulle dipendenze affettive deve passare attraverso tre fasi.

La prima fase è quella della “consapevolezza” . In questa fase ci si rende conto che si vive una relazione “sbagliata” sotto tutti i punti di vista, e si intende porvi fine.

La seconda fase è quella della “richiesta d’aiuto”. Anche se potrebbe essere presente la tentazione di riuscire da soli, invece è indispensabile ricercare l’aiuto di persone che si stima e ritenute in grado di supportare. Anche, perchè, così, senza volerlo, ci si responsabilizza maggiormente a proseguire il cammino intrapreso sulla strada della guarigione. Infatti diverso è se si deve rendere conto solo se stessi se si cambia idea, diverso è se bisogna rendere conto anche agli altri.

La terza fase è quella del “recupero” . In questa fase è richiesto il massimo impegno nel perseguire la “guarigione”. In questo periodo bisogna cercare di cambiare il modo di agire, pensare e sentire. Si entra nella fase vera e propria del recupero solo quando si incomincia a fare scelte che non ricalcano più i vecchi comportamenti.

Qui di seguito propongo una sorta di decalogo propedeutico alla terapia sulle dipendenze affettive.

  • Accettare se stessi completamente, pur nella consapevolezza che bisogna cambiare parti di sé.
  • Accettare gli altri per come sono, senza volerli cambiare per appagare i propri bisogni.
  • Avere coscienza dei propri sentimenti e atteggiamenti in ogni aspetto della propria vita.
  • Amare ogni aspetto della propria personalità senza cercare nella relazione il valore di sè stessi.
  • La propria autostima deve essere sufficiente a permettere di godere della compagnia dell’altro sesso, che vanno accettati per come sono. Non è necessario che qualcuno abbia bisogno di voi per sentirvi bene.
  • Bisogna permettere ad altri di conoscervi a livello profondo senza però permettere lo sfruttamento da parte di chi non è interessato alla vostra felicità.
  • Porsi la domanda se la relazione che si stà vivendo è idonea per voi, se permette di sviluppare le vostre potenzialità.
  • Se tale relazione vi distrugge bisogna avere la capcità di interromperla senza cadere in una sorta di stato depressivo. Fondamentale è la presenza di un gruppo di sostegno di amici e di interessi sani che vi permettano di superare la crisi.
  • Porre la propria serenità al centro di tutto. Lotte, drammi, caos non hanno nessun fascino se non sono finalizzate al raggiungimento della propria serenità.
  • Adottare l’aforisma : “Amarsi non è guardarsi l’un l’altro,ma è guardare insieme nella stessa direzione”. L’aforisma và inteso nel senso che la relazione deve avvenire fra persone che condividano simili valori, interessi ed obiettivi come coppia, al di là di quelli individuali.
  • Aspettare che il grande medico “il tempo” sani qualsiasi ferita. Il superamento di una dipendenza affettiva o della fine di una relazione, richiede due diversi tempi, secondo una concezione greca del tempo. Cronos che è il tempo cronologico, quello delle ore, dei giorni e dei mesi. Lo scorrere di Cronos e importante per superare una problematica affettiva. L’altro concetto di tempo è Kairòs che è un tempo individuale , un tempo necessario per dire “basta”, vale a dire il tempo del cambiamento interno. E’ in quel momento che ci si rende conto che è tempo di voltare pagina. Anche sul piano dell’elaborazione personale, distinguiamo un elaborazione esterna, più superficiale e di facciata, ed una interna, più profonda ma anche più dolorosa, che porta alla vera accettazione della dipendenza o problematica affettiva premessa per il suo effettivo superamento.Sta a noi dare il “giusto tempo”.

Sopratutto, nel frattempo, bisogna fare qualcosa di positivo per sé stessi, per riempire il vuoto della mancanza della persona amata. Non si può interromepere un rapporto di dipendenza senza sostituirgliene un altro che ne prenda il posto. La nuova dipendenza, deve essere positiva: bisogna cercare un nuovo forte interesse, che non riempirà appieno il baratro lasciato dal precedente, ma ci aiuterà comunque.
La natura umana aborrisce il vuoto,soprattutto nell’area dei comportamenti e delle emozioni umane. Se non colmiamo, pur parzialmente, questo vuoto, il comportamento dipendente si rafforza.

Dott. Roberto Cavaliere

Tutte le terapie ed autoterapie presenti in tale sezione sono da considerarsi puramente indicative e non sostituiscono, lì dove ne ricorre la necessità, terapie tradizionali da effettuarsi con figure terapeutiche di pertinenza.

Le stesse indicazioni terapeutiche ed autoterapeutiche sono oggetto d’approfondimento nei Corsi e Seminari MALdAMORE

RICHIESTA DI CHIARIMENTO DI UNA LETTRICE

… il suo sito, l’ho quasi stampato tutto, tanto mi sono ritrovata in quello che ha detto! Ho fatto leggere anche alle mie amiche “codipendenti” quello che ha pubblicato e ne abbiamo discusso insieme. Un punto solo vorrei discutere con lei. Non sono d’accordo quando dice:”Non si può interrompere un rapporto di dipendenza senza sostituirgliene un altro…bisogna colmare il vuoto”. Ma le persone non sono intercambiabili! Se penso poi che ciò potrebbe essere applicato a me stessa, cioè visto che non ci sono più io va bene anche un’altra, la cosa mi fa rabbrividire…Ma come si può sostituire un rapporto fatto di anni di conoscenza, condivisione, familiarità, intimità con un’altra banale esperienza? E poi c’è anche il corpo. Io amo quegli occhi, quelle mani, quella pelle che per me sono insostituibili e, come lei ben sa, sono maggiormente tali in quanto mi vengono negati. Poi c’è anche il fatto che sento dentro che la fonte d’amore si è esaurita, dopo aver amato tanto. Ad un certo punto, come si fa a ricominciare ad amare? Penso sia impossibile. Le sarò grata se mi manderà una sua risposta.

 

Apprezzo il suo “disaccordo” perché ritengo che soprattutto nel campo delle dipendenze affettive, nessuno può dire di avere la “cura” giusta. Per cui le replico con piacere e la ringrazio per lo “spunto riflessivo” che mi ha fornito. Innanzitutto il punto con cui lei è in dissaccordo è il seguente: “Non si può interrompere un rapporto di dipendenza senza sostituirgliene un altro che ne prenda il posto. La nuova dipendenza,deve essere positiva però, bisogna cercare un nuovo forte interesse, che non riempirà appieno il baratro lasciato dal precedente, ma ci aiuterà comunque.” Quindi, quando parlo di sostituire la dipendenza affettiva con un’altra, intendo un altro tipo di dipendenza, questa volta sana. Infatti interrompere una dipendenza affettiva che ci ha “assorbito” in tutto e per tutto, ci precipita in un vuoto, o meglio in un baratro, che rischia di far fallire in partenza qualsiasi tentativo stesso, per quanto motivato, di superare la fine della relazione. Se noi tendiamo di colmare questo vuoto, questa dipendenza, non con un’altra persona (e qui che, forse, non sono stato chiaro)ma con una forma di dipendenza “sana” il vuoto ci apparirà meno vuoto. Un esempio: di solito le persone affette da “dipendenza affettiva” sono piene di mille risorse, di mille potenziali interessi, tutti “sedati” dalla dipendenza stessa. Rispetto al “portone sprangato ” della relazione che si è chiusa proviamo ad aprire il “piccolo oblò” del nostro vero essere. Cerchiamo di dipendere da noi stessi, dai nostri interessi sopiti, optiamo per un “sano egoismo”. Smettiamo di parlare con gli altri di “lui”, ma parliamo di “noi”, dedichiamoci a “noi”. Ci renderemo conto che da quell piccolo oblò potremmo arrivare a vedere un mondo per noi sconosciuto. Belle parole mi dirà, ma difficili da applicare di fronte al dilagare del dolore per la fine di un’amore. Incominciamo a fare dei piccoli e timidi passi, forse ritornermo indietro, forse andremo avanti, ma di fronte al dolore non recitiamo: “Non ci riesco!!!” . A volte, anche se ci sembra di aver tentato, è un tentativo poco sentito e motivato, che serve per giustificare, inconsciamente, il fallimento del tentativo stesso. E come dirsi: “Ci ho tentato, non ci sono riuscita, vuol dire che è l’unico vero amore della mia vita. E’ l’unico.Non voglio altri che lui”. Qui il discorso, come lei sa, diventa più complesso: copioni passati, codipendenza, complesso di cenerentola e via dicendo. Proprio per questo è necessario anche una profonda riflessione interiore. Conclusione: è un impresa titanica ma ci si puo riuscire, soprattutto se non adduciamo troppi prestesti con noi stessi. Cordiali saluti.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

ELOGIO DEL TRADIMENTO

CONTRIBUTO INVIATO DA UNA VISITATRICE DEL SITO

Fa discutere e impegna pensate se non ci fosse…
E’ stato ” creato ” per stimolare ampliare e sostenere I sentimenti profondi.
Ognuno vi partecipa ognuno ha da dire e dare quando c’è in ” ballo ” la danza del tradimento. E’ un ritmo che gira a 360° gradi. Rimescola si alterna propone fa vivere e spesso rende anche più belli.
Di volta, quando non c’è, si ricorre al mezzo che più ci affascina; si ricorre alla invenzione e purtroppo, capita che, tra una cosa e l’altra, si finisce col negare.
Neghiamo chi siamo mentre proponiamo l’altro e l’altro è sempre il nemico, colui che ci fa del male.
Il tradimento in sostanza fonda un’attività psichica che ci rende molto meno passivi sui sentimenti di coppia i quali potrebbero ammuffire, quindi, ben venga questa nota dolente tanto poi si sa che la mente umana ha in sè poteri utili al suo sviluppo e se questo è il percorso che ha scelto non si può ne si deve evitarlo.
Il peggio di un ” peccato ” è rimangerselo, nasconderlo; il peggio, quando il peggio è di norma realtà di fatto, è non capire non vedere non sentire che a tradire non è l’altro, siamo noi.
E’ un carattere altruistico colui che propone e lo fa tradendo l’altro lo fa per nutrire per impegnare lo fa per un vincolo affettivo. Lo fa per amore.
In realtà, la grande maggioranza della gente sia uomini che donne ammettono il tradimento dell’altro come se si trattasse di una forma di ” riparo ” ma qualunque sia il peso o le motivazioni che spingono in quella direzione l’importanza di capire trascende dal bisogno.
Un uomo non è un uomo senza tradimento e le donne esigono che il proprio compagno abbia almeno una volta una nemica da combattere. Per la donna si tratta di tutt’altro.
Si dice che la donna tradisce per bisogno affettivo e quando si ritrova in una tipica situazione – malgrado si ammetti di aver cercato invano di resistervi – in contrasto sublima ciò che lei vorrebbe vivere. L’idea quindi di un’altra donna piangente o comunque di manomettere in senso realistico – incorporando – se stessa vittima e giustiziere, in profondo, in modo sadico ma non del tutto cosciente.

Il tradire comunque non è solamente l’idea di una rottura, la quale, quasi mai, arriva a concludersi in questo modo, come ho anticipato è una scelta una delle più accanite decisioni.
Aiuta a rinvigorire e riesce a sostenere l’unità in sè.
Senza il tradimento l’umanità non potrebbe sopravvivere.
E’ l’attività della mente, quella più antica, la forza di una costituzione organica e psichica a tutti gli effetti.
Eppure, se chiamiamo ” tradimento ” la conquista di noi stessi c’è rischio di trovarsi in serie difficoltà col mondo che ci circonda.
Ma sono poi tutte forme di tradimento intese in questo senso?
E’ possibile che vi sia dell’altro.
Dobbiamo riservare la parola ” tradimento ” a una particolare unione con se stessi, associarla a una virtù idealistica che si vuole vivere la propria situazione e come sempre la risposta a questo dubbio può essere solo arbitraria.
Mi riferisco al tradimento come ad una matura consapevolezza di sè e che ciò sia in grado di risolvere e non distruggere una relazione sia di coppia che di altra forma di unione.

Il tradire si ritiene sia come tutti dicono, un tradire la compagna/o ma vi sono tante forme e diverse situazioni in cui il tradire diventa percorso e sviluppo. Vi sono unioni di figli verso i genitori e di genitori verso i figli, di amicizie, di religioni, ciò che conta è sapere a quale tipo di unione ci si sente meno legati e quando si è ben certi agire su quel modello caratteriale di cui sopra.
Esiste una realtà anche in questa generazione attuale; esiste e fa la differenza tra i diversi criteri utilizzati in passato.
Nelle odierne ” democrazie ” parlare in termini di tradimenti personali non suscita più timori.
La gente parla di sè ammettendo di conoscersi profondamente.
Dice che non accetta alcun tipo di tradimento e lo fa con argomentazioni prevalentemente conformate.
L’unione col gregge del conformismo è di prassi un percorso abituale.
Bisogna mantenersi uniti la paura di restare isolati obbliga ad un adattamento per questa ragione, spesso, l’anticonformismo speculatorio viene indotto e sorregge non al di fuori ma propriamente all’interno ove i livelli più elevati si
” condensano ” con i consensi generali.
L’anticonformista dunque è l’essere che più si adatta e che si mantiene seguendo una sua logica che non è quasi mai differente quasi mai innovativa quasi mai creativa.

Il tradimento, è questa l’arma la più invincibile.
E’ come un uragano a ” ciel sereno ” non imbroglia, libera le tossine acide altrimenti si che si rischierebbe la follia.
IL tradire è consigliabile a tutta quella gente che se ne resta inerme. Agli obesi innanti tutto, a quelli che si danno come uomini di gran potere. A quei religiosi fanatici. Ai politici freddi e calcolatori. Agli imprenditori, ai commercianti, ai filosofi, ai rivenditori di parole che come me non hanno altro da aggiungere.
Tradire!
Tradire tutti e tutto!
TRadire come terapia di salute!
Tradire anche se stessi, in quel che si è creduto.
TRadire quell’amore innato perchè non c’è amore senza vitalità e questa ci viene data mediante i percorsi meno razionali.
Grazie per la presa di visione.
Un caro saluto a poi…

 

Antonietta Pugliese

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

TRADIMENTO ONLINE, IN CHAT

L’amore ha sempre una proiezione immaginaria, per quanto possiamo crederlo tangibile e reale in un determinato momento. È sempre sul punto di compiersi, è il regno di quel che può essere. O anche di ciò che avrebbe potuto essere. Javier Marier, Quel che non si è compiuto

Internet non favorisce la comunicazione nella coppia. Ecco che di fronte ad incomprensioni, disagi e conflittualità fra partner, la tentazione è di “fuggire” nella vita virtuale.

Perché tentare di comprendere e di essere compresi, con tutte le difficoltà del caso, nel rapporto di coppia, quando c’è qualcuno, nella chat, con cui possiamo farlo senza difficoltà?

Ciò che nasce come amicizia virtuale, se sopraggiunge all’interno di un disagio di coppia, può diventare amore virtuale. Con la persona dell’altro sesso conosciuta in chat, ci si arriva a condividere, spesso, parti di se stessi, non partecipate neanche col partner. L’intimità amicale diventa sempre più affettiva e si arriva a “sostituire” affettivamente e quindi a tradire il proprio partner.

Quando possiamo parlare di tradimento? Escludiamo, ovviamente, il tradimento reale che si ha nel momento in cui la conoscenza dell’altro da virtuale diventa reale.

Ritengo che si possa parlare di un tradimento online quando il livello di “condivisione” virtuale coll’altro supera un determinato limite. Limite fra condivisione amicale e quella di coppia che non è uguale per tutti, ma muta a secondo delle persone e situazioni coinvolte.

Limite che, teoricamente, potremmo porre nel momento in cui il noi della coppia virtuale diventa preponderante rispetto alle singole individualità, che per quanto affini fra loro, intime, devono riuscire a mantenere una certa distanza affettiva.

Invece le entità dell’Io, del Tu e del Noi, sempre in bilico nella vita reale fra individualismi esasperati e fusioni totalizzanti, sul virtuale innescano una deriva fusionale, favorita dal gioco delle proiezioni reciproche sull’altro che è tipico delle relazioni online.

Nel momento in cui, nella relazione virtuale, il noi prende il sopravvento, la relazione da confidenziale, empatica, diventa passionale, nel senso che la presenza dell’altro in chat è attesa come s’attende una persona innamorata, quando la mancanza dell’altro, sempre in chat, diventa angoscia abbandonica, ecco che all’orizzonte si è profilato il tradimento.

Il web , la chat non vanno neanche demonizzati. Spesso il disagio di coppia è tale che il tradimento online può solo aver anticipato un tradimento reale che prima o poi si sarebbe verificato. Anzi, anche se raramente, può rappresentare un’opportunità di rottura di una relazione reale non più sana per se stessi.

Dott. Roberto Cavaliere

CONSULENZA

unadonnapersa Età: 36 Gent.mo dott. Cavaliere, innanzitutto vorrei ringraziarLa, perchè non è facile saper di poter contare su persone qualificate che ti aiutano senza scopo di lucro. Le illustrerò la mia situazione che è per me motivo di confusione e “buio” interiore. Ho avuto unalunga relazione iniziata più di 10 anni fa, ero allora ragazza, era la mia prima esperienza ed è subito stata importante. Frequentando quel ragazzo ora uomo ho subito sentito che sarebbe stato la persona con cui avrei voluto passare la mia vita, il papà dei miei figli…è iniziato un rapporto per certi aspetti difficile, perchè lui non aveva il coraggio di parlarmi di sue esperienze precedenti, perchè temeva di perdermi…io mi fidavo ciecamente di lui e nonostante le sue ammissioni, anche se venute molto dopo ho deciso che volevo continuare a stare con lui e continuare a fidarmi. E’ stato tutto bellissimo, tante scoperte insieme, tanti traguardi insieme, siamo cresciuti, maturati e abbiamo consolidato il nostro amore..Nel tempo, la mancanza di fiducia che io avevo nei suoi confronti, dovuta alle menzogne iniziali, mi ha portato a soffocarlo, la mia gelosia era diventata ossessiva, e penso che questo lo abbia bloccato nelle relazioni col mondo esterno, anche se forse inizialmente lui non gli aveva dato peso. Nell’ultimo anno le cose sono andate affievolendosi, il nostro amore, il dialogo, la passione, sembrava tutto essere “blando”…credo che lui non mi volesse più come prima, che era cambiato ed erano cambiate le sue esigenze. Circa un paio di mesi fa ho conosciuto un altro uomo in chat che ha fatto cadere la mia corteccia e mi ha restituito delle emozioni…mi sono sentita amata, ho capito di essere ancora in grado di amare e per me questo è diventato irrinunciabile. Sento di essere legato a quest’uomo che è entrato nella mia vita, mi piace che mi voglia così come sono, che mi faccia sentire “speciale”, che mi ha fatto di nuovo sognare anche se solo in chat o in qualche telefonata. Nel frattempo il mio lui si è “risvegliato”, ha scoperto la mia pseudo relazione ed è come se qualcosa si fosse riacceso in lui…forse nel momento in cui ha capito di avermi persa si è reso conto di volermi ancora con sè. Abbiamo parlato per settimane, lui mi ha rinfacciato vecchi rancori del passato,il suo senso di soffocamento dovuto alle mie insicurezze nei suoi confronti, il suo disagio nei rapporti con gli altri…ed io ho capito di amarlo ancora,e di aver ritrovato tutti i miei sentimenti per lui. ora però sono confusa, perchè non riesco a troncare la nuova relazione, che penso potrebbe crescere, evolversi, ma so di amare il mio compagno e di non poter far a meno di lui, perchè la vita per me senza lui sarebbe priva di senso…lo guardo negli occhi e la mia forza, la mia ispirazione anche nell’esprimermi con l’altro della chat, viene da lui, dall’amore che prova per me e che io sento fortissimo dentro di me…Eppure non riesco a lasciarmi andare…ho paura che tutto torni come prima quando lui era assopito e sembrava non accorgersi di me,non riesco a diimostrargli che lo amo ancora, anche se ho tradito la sua fiducia, anche se, nonostante le mie promesse e le mie garanzie che sarei stata sempre sincera, gli ho mentito impunemente.Ora ci siamo lasciati anche se difatto continuiamo a stare insieme, ci amiamo tanto, quando riusciamo ad essere sereni mi rendo conto che tra noi c’è un affiatamento ed una complicità rare da trovare, ma con quali basi possiamo ricominciare? Ci guardiamo negli occhi e lui sa di non potersi fidare di me, ha paura che io possa ricommettere gli stessi errori, ed io? so che è entrata un’altra persona nella mia vita e non riesco a chiarirmi il ruolo che lei ricopre….questa nuova persona crede molto nel nostro rapporto e nella possibilità di stare insieme, io non credo più nel mio futuro ed in ogni altra relazione…eppure sento di amare il mio grande amore infinitamente…e non saprei neanche spiegarle il perchè…è una corrente irrazionale e fortissima …

Rompa gli indugi e cerchi di recuperare il rapporto col suo ex. Ciò per diversi motivi. Innanzitutto per l’amore che ancora prova nei suoi confronti. Perchè il calo di passione che c’era stato è normale ed anche ricorrente in una relazione stabile e duratura. Perchè tradire con la mente (ciò che è avvenuto con la chat) è un tradimento senza il “passaggio all’atto”. Perchè le relazioni che nascono in chat, il più delle volte s’infrangono nel momento in cui si viene a contatto con la persona reale. E sopratutto nel prendere la decisione non abbia paura di pentirsene in futuro, a condizione che rimposti la relazioni su base nuove, facendo tesoro di ciò che è successo durante questa crisi. Cordiali saluti.

Grazie davvero dottore.Ho troncato la relazione della chat con grande sofferenza. L’altro sente di non poter rinunciare a me perchè sono la donna della sua vita e sente che il nostro è un grande amore.Io ora mi sento spento, mi riaccendo soltanto se lui mi manda dei messaggi a cui ho deciso di non rispondere. Sono innamorata del mio compagno eppure…mi sento vuota

Il vuoto che avverte è normale. La relazione in chat l’ha riempita affettivamente, l’ha portata “tre metri sopra il cielo”. Ma è la vita reale che và trasformata in sogno. Faccia tesoro dell’esperienza in chat, per replicarla il più possibile col suo compagno. Saluti

TESTIMONIANZA

Delusa Età: 25 Ho postato la mia storia..dove possibile..per ricevere più risposte possibili.. davvero ho bisogno d’aiuto.. stavo vivendo una bellissima storia..con una persona per me perfetta..purtroppo ultimamente per impegni reciproci..per lavoro..si stava in una situazione in cui tutti i giorni si trovava modo di litigare..e si era entrato in un circolo vizioso in cui io scattavo in scenate per ogni minima cosa.. e lui di conseguenza si stancava e mi sentiva “pesante”..io continuavo a prendere ogni cosa in negativo..lo ammettolo assillavo..trattavo male..fino a che un giorno..non lo trovo al telefono mi insospettisco..e vado sotto casa sua..scopro al suo ritorno..che si è visto con un’altra..perchè dice lui “SENTITO DISPREZZATO E RIFIUTATO” mi ha poi detto di aver conosciuto questa persona in chat e di averla vista una sola volta..quella sera..e senza che sia successo niente..sul momento ha avuto crisi di pianto..addossandosi tutte le colpe..che è un suo problema..che io sono perfetta..che lo ha fatto senza motivo..ecc..il giorno dopo mi dice che tutto è successo per il periodo che stavamo passando e per i miei comportamenti sbagliati..a questo punto la mia situazione è difficile..io non sò che fare..perchè da una parte mi sento in colpa..dall’altra non mi sento di giustificarlo completamente..ma quel che è peggio..ho paura che perdonare questo episodio..significhi condannarmi a una vita con una persona tendente al tradimento..quindi a soffrire di nuovo..e doppiamente..sono disperata non sò che fare..lo amo tanto..ma non sono convinta che non lo faccia mai più..e ho tanta paura..

fanny68 Età: 40 Salve ho 40 anni da 20 sposata e ho 2 figli, una ragazzadi 20 e un ragazzo di 17.Da bambina sono sempre stata iper protetta dai miei perchè avendo avuto problemi di salute fin dalla nascita avevano paura per me e mi consideravano una bambina debole…sono rimasta incinta del primo figlio prima del matrimonio, nella famiglia di mio marito ho trovato molta ostilità nei miei confronti…io credo perchè provengo da una famiglia di origini umili e non benestanti. credevo che mio marito mi amasse ma 4 anni fà ho scoperto che si sentiva a telefono con una ragazza conosciuta in chat molto più giovane di me… in pratica una studentessa universitaria…da lì non sono più stata bene….una insicurezza angosciante mi prende dentro… mi sento brutta nonostante ancora qualcuno mi guarda, tremo quando devo scrivere in presenza di qualcuno,( questo mi turba molto perchè lavoro in ufficio) e ho una paura incredibile dirimanere sola, di essere abbandonata, tra lui e la studentessa non è andataoltre le telefonate perchè io li ho scoperti, la domanda che mi faccio dentroè..che cosa sarebbe successo se non li avrei scoperti? ora ho tanta voglia di ritrovare la mia serenità e la mia allegria di un tempo.. sono triste piango enon riesco più ad essere sicura in mezzo alle persone. Non so se il mio sentimento verso di mio marito è amore…sicuramente tanta rabbia, vorrei che anche lui provasse il dolore fitto che da 4 anni provo nelcuore.Aiutatemi vi prego….

IL TRADIMENTO

Il tradimento ci pone di fronte alla più grande tragedia dei rapporti umani: l’inconoscibilità dell’altro. G. Turnaturi

L’affermazione della sociologa Turnaturi evidenzia come il “tradimento” coincida, spesso, colla presa d’atto, da parte del tradito che l’altro è un individuo che presumevamo di conoscere ma che si manifesta invece in tutta la sua inconoscibilità. Il tradimento pone di fronte alla presa di coscienza dell’individualità di ognuno di noi e della precarietà di ogni relazione umana, indipendentemente dalla sua durata e dal profondità del legame instaurato. Baumann al riguardo afferma:

Finché dura, l’amore è in bilico sull’orlo della sconfitta. Man mano che avanza dissolve il proprio passato; non si lascia alle spalle trincee fortificate in cui potersi ritrarre e cercare rifugio in caso di guai. E non sa cosa lo attende e cosa può serbargli il futuro. Non acquisterà mai fiducia sufficiente a disperdere le nubi e debellare l’ansia. L’amore è un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile.

Ciò non toglie che quando ci si innamori ci si illuda che possa essere per sempre, ed è un illusione condivisa da entrambi i membri della coppia.

La relazione di amore in una coppia é uno dei legami principali in cui diamo forma, ma mettiamo anche a rischio, la nostra fiducia nel mondo e in noi stessi. Il legame di coppia può rappresentare, nel modo più puro e acceso, il desiderio di eternità e di sicurezza di una persona, l’esigenza di superare i limiti e l’indeterminatezza della vita presente, la contingenza delle cose. Perciò il tradimento nella coppia rappresenta il modo esemplare, lo scetticismo nei confronti della nostra identità e del mondo esterno. La precarietà delle relazioni, dei sentimenti e degli eventi che ci hanno condotto dove siamo.

.Al di là di chi è il traditore e  di chi è il tradito il tradimento coinvolge la relazione in sè, vale a dire  il Noi, oltre all’ Io ed il Tu. Quindi entrambi i partner, seppur con modalità diverse, sono coinvolti nella genesi della situazione  extraconiugale. L’esistenza di quest’ultima è segno di un malessere della  coppia, di un malessere del Noi

Il significato originario della parola tradimento viene dal latino tradere, equivalente in italiano a consegnare, inteso nel significato di consegnare ai nemici. Ed infatti, il tradimento consegna la parte del noi che l’altro ha investito nella relazione, ad un altra persona. Il noi privato della presenza dell’altro, è come se di colpo si disintegrasse lasciando soli l’Io ed il Tu

L’esperienza del tradimento tende ad attraversare quattro fasi diverse: quella iniziale e finale, variabili a seconde delle situazioni, e le due intermedie comuni ad ogni esperienza di tradimento. Le varie fasi non sono da intendersi nettamente separate fra esse, ma spesso si sovvappongono. La loro successione temporale rimane quella che di seguito descriverò.

La prima fase è quella della genesi del tradimento: come questo matura, le possibili cause, i segnali anticipatori. Per quanto riguarda le possibili cause rimando all’ articolo collegato . In questa sede accenno ai segnali anticipatori, che sono sempre presenti. 

Generalmente ci sono delle differenze tra uomini e donne nello svolgersi  della relazione extraconiugale. Le donne legano il tradimento ad un  coinvolgimento emotivo e amoroso,  ad un’insoddisfazione nel matrimonio e hanno più difficoltà a viverlo clandestinamente, anche se tendono  a “nasconderlo” meglio. Gli uomini al contrario, lo legano di più al piacere  sessuale e non iniziano una relazione  extraconiugale per motivi di  insoddisfazione rispetto al coniuge, non hanno grandi difficoltà a viverla clandestinamente, anzi ciò aumenta il piacere della relazione, anche se sono  meno “accorti” nel nascondere. 

Il tradimento segue un percorso di sviluppo, passa da una fase in cui ci  sono nella coppia problemi non discussi o non risolti e i coniugi si sentono  in rotta, a quella in cui si sviluppa il vero tradimento, la situazione in  cui il coniuge insoddisfatto scivola nella relazione extraconiugale. In questo stadio l’infedele nega e l’altro cerca di ignorare i segni della  relazione. 
Altro passo importante è la rivelazione, che rappresenta il momento più drammatico,  perché rappresenta uno spartiacque fra un prima e dopo nella storia della coppia e del matrimonio. 
La rivelazione porta alla crisi del matrimonio, il coniuge è ossessionato  dal problema, a questo punto critico è presa la decisione della rottura o di  tentare attraverso il perdono una riconciliazione. 

All’inizio del tradimento c’è una sorta di regressione ‘adolescenziale’. Lo schema sentimentale ricorda appunto quell’età caratterizzata da amori fortemente passionali accompagnati da un turbinio d’emozioni. Ma a differenza di quegli amori, questa volta ci saranno conseguenze per lo più imprevedibili, ma ci si sorvola su quest’ultime, si preferisce non vedere. Il tradimento mantiene sempre la relazione “tre metri sopra il cielo” perchè  non presenta  i litigi, la quotidianità , le preoccupazioni tipiche del  matrimonio. Anche, se col tempo, può divenire fonte di forte ansia per  conciliare tempi e luoghi da dedicare a due relazioni diverse. 

La durata del tradimento è indefinita, da pochi giorni a diversi anni. Ma quanto dura a lungo o termina il matrimonio o la relazione diventa quasi un matrimonio ‘parallelo’. Per quanto riguarda la scoperta del tradimento, a  volte avviene per “confessione”, talvolta gli amici lo dicono al  coniuge, più spesso il coniuge trova un indizio, come un sms, uno scontrino  o altro tale da destare fondati sospetti.

Se un tradimento viene perdonato, spesso si tratta di un perdono incompiuto, vale a dire si crede di aver perdonato ma invece la ferita è ancora ben viva. In questi casi si perdona soprattutto per la paura della perdita dell’altro, anche se ha tradito. Ma il tradimento finisce per rappresentare uno spartiacque fra un prima ed un dopo della coppia. Ci si accorege che l’eventuale crisi è peggiorata, che non c’è più la stessa intimità, che non si può ritornare al “prima” col colpo di spugna del perdono. Anche il perdono di un tradimento richiede una sua elaborazione, come un lutto.

Di seguito una significativa testimonianza con “commento” di un altra testimonianza.

Non ha importanza quanti anni ho, voglio solo dare la mia personale testimonianza sul tema del tradimento.

Ho tradito un marito “perfetto”. Ho vissuto il mio tradimento come un “forte” sentimento.

Ho conosciuto l’ “altro” senza cercarlo e senza volerlo, e non importa neanche come e dove. L’ho conosciuto, semplicemente, per caso, per una serie di circostanze fortuite, e sono caduta nel suo abbraccio.

Ma quelle non è un’abbraccio che ti ospita e ti desidera, non lo hai cercato e non ti ha cercato, semplicemente ci cadi dentro e non vuoi vedere. Non vuoi vedere perché il tuo cuore non deve vedere quello che piace al tuo corpo. Perché a volte è bello lasciare il possesso della volontà solo al tuo corpo, spegnere il cuore, gioire di sensazioni fisiche, vibrare di pienezza e di appagamento fisico, perdersi e liberarsi, gridare al tuo corpo che ti fa stare bene.

Poi, passato quel momento, ritorni a vedere e non ti ritrovi, ricordi quel che c’è stato, ma non essendo collegato al cuore ti manca il senso di quello che è stato e vuoi solo andare via. Saluti e vai via. E non rimane segno, perché sai che la tua felicità passa da altre braccia.

Quando invece il tradimento è un forte sentimento che colpisce il cuore, ne diventi schiava.

Quando dell’altro rimane il segno, i suoi occhi, i suoi lineamenti, i suoi movimenti, la sua voce non ti liberi più di tutto questo. Puoi scollegare il corpo dal cuore, il tuo corpo può continuare come un burattino a rimanere lì, obbligato dagli impegni presi, ma il cuore vola di là. La forza del sentimento fa sì che vicini o lontani, presenti o assenti, il filo del legame sia sempre ben teso e vibri continuamente. Desideri l’altro, respiri l’altro, vivi l’altro e perdi la pace. E in casa ti senti sola. Senti d’impazzire. Vorresti non aver mai conosciuto l’ “altro”.

Commento anonimo . A tutti capita di tradire. A volte si tradisce col corpo, a volte con la mente.

Io ho tradito con la mente eppure non mi sento meno colpevole. Ho tradito la fiducia di una persona che aveva stima di me, che mi vuol bene anche se tra noi non c’è un rapporto stabilito e certificato. Eppure fa male, tanto, più che all’altro che si è sentito tradito. Ho tradito le sue parole, la sua confidenza. Il rapporto di amicizia-amore che era germogliato. Ho sopravvalutato me stessa e gli altri.

Sono stata tradita nella mia vita, ma non mi è mai capitato di tradire. Forse perché mi sentivo al di sopra di questo. A volte tradire serve, serve per ritornare sulla terra, per capire che si è soltanto degli esseri umani che possono sbagliare.

Ti senti senza certezze quando tradisci, perché è soprattutto tradire ciò in cui credi. Eppure è un bene anche questo, è un bene perché ridimensiona te stesso e il tuo rapporto con gli altri esseri umani. Nessuno può dire di non poter tradire, tutti, in circostanze diverse possiamo essere tentati di tradire ciò in cui crediamo. La vera sfida è andare oltre. È perdonare il passo falso che coscientemente o inconsciamente abbiamo fatto, così come dovremmo fare quando ci capita di subirlo un tradimento, imparare a vedere la luce e l’oscurità che ci appartiene, senza giudicare. Senza ergerci a giudici inflessibili di noi stessi o degli altri. Forse sia te che io non siamo vittime del caso, delle circostanze, siamo vittime di noi stesse e della paura di voler bene davvero con la responsabilità che questo comporta. Io ci sto provando a perdonarmi, sto provando a prendermi il tempo e a perdonare il tradimento di riflesso che l’altro ha messo in moto. Dovremmo provare a chiederci che cosa ci manca. Dici che tuo marito non meritava il tuo tradimento, forse nessuno merita di essere tradito, ma se accade qualcosa è mancato. Magari è qualcosa che per altri non avrebbe la stessa importanza, ma ognuno deve vedersela con se stesso, con ciò che manca a sé stesso. Usa quest’esperienza per cercare insieme al tuo compagno di ritrovare insieme le emozioni di un tempo e vai a cercare i motivi che ti hanno spinto. Io i miei li ho compresi: ero così spaventata, che, finalmente l’amicizia stava prendendo i binari di un vero amore, che l’ho messa a repentaglio, come se dovessi metterla alla prova o come se volessi provare a me stessa che l’amore non esiste. Che nessuno è in grado di amarmi senza farmi del male. Un abbraccio.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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