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Chi soffre di Dipendenza Affettiva sta bene solo con chi non Ama

Questo concetto è ben sintetizzato in questa poesia che descrive bene il vissuto opposto rispetto a quello provato nei confronti della persona da cui si dipende affettivamente. Paradossalmente chi soffre di Dipendenza Affettiva riesce a trovare serenità, come in una relazione sana, solo se si lega ad una persona verso cui non prova passione. Sottolineo passione e non amore perché è la dimensione passionale la modalità principale con cui vive la relazione chi è dipendente.

La poesia fornisce un importante spunto di riflessione da sviluppare individualmente o all’interno di una psicoterapia sulla Dipendenza Affettiva come obiettivo terapeutico
Roberto Cavaliere Psicoterapeuta

Devo molto a quelli che non amo.

Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.

La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.

Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l’amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.

Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente quasi come una meridiana,
capisco ciò che l’amore non capisce,
perdono ciò che l’amore mai perdonerebbe.

Da un incontro a una lettera
passa non un’eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.

I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo, le cattedrali visitate, i paesaggi nitidi.

E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che trovi su ogni atlante.

È merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico, con un orizzonte vero, perché mobile.

Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.

«Non devo loro nulla» –
direbbe l’amore sulla questione aperta.

Wisława Szymborska

Dottor Roberto Cavaliere Psicologo e Psicoterapeuta con studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

Possibilità di effettuare sedute anche tramite video chiamata.

Per info e contatti cavaliere@iltuopsicologo.it o al 3208573502

LA RELAZIONE MADRE-BAMBINO COME MODELLO DELLA RELAZIONE DI COPPIA

“La relazione del bambino con la madre è unica, senza paralleli, tale che una volta stabilita si mantiene inalterabile per tutta la vita come la prima e più forte relazione d’amore, e come il prototipo di tutte le successive relazioni d’amore, e questo è vero per entrambi i sessi (Freud)

 

Freud ha interpretato la relazione del bambino colla madre in termini di motivazione secondaria, vale a dire che essa è deputata a soddisfare i bisogni che gli psicanalisti definiscono primari: bisogni alimentari, di pulizia, sessuali (libido), aggressivi. La madre rappresenta l’oggetto sui cui il bambino può scaricare le tensioni provenienti dall’accumulo d’energia dei bisogni primari non soddisfatti.

Secondo tale teoria, quindi, la ricerca della vicinanza e dell’oggetto materno sarebbero finalizzate al soddisfacimento dei bisogni suddetti e non sarebbe un amore ‘gratuito’.

Le ricerche successive della teoria dell’attaccamento hanno ribaltato tale impostazione teorica.

Ha dato il via a tali ricerche H.Harlow, primatologo, che ha condotto una serie di esperimenti sui macachi che hanno un patrimonio genetico molto simile al nostro.

Un esperimento prevedeva che i piccoli macachi appena nati, venivano portati via dalle rispettive madri e rinchiusi individualmente in gabbie di ferro con allattamento al biberon. I piccoli sopravvivevano fra enormi disagi: diarrea, alterazioni del battito cardiaco, disturbi del sonno. Taluni arrivavano a morire mentre sopravvivevano meglio chi aveva trovato nella gabbia dei pezzi di stoffa che avvolgeva intorno al collo ed alla testa traendone conforto.

Successivamente vengono introdotti, in ogni gabbia, due sagome di scimmia, simili alla madre in due tipologie diverse: una composta di filo di ferro con annesso biberon ricolmo di latte, l’altra rivestita di panno morbido, ma mancante di biberon. I piccoli all’inizio interagivano con il simulacro materno di fil di ferro al fine di succhiare dal biberon, per poi trascorrere la maggior parte del tempo stretti al simulacro materno di panno morbido.

In variabili dell’esperimento in cui venivano introdotti oggetti che incutevano paura i piccoli si rifugiavano dalla madre morbida, abbracciandola al fine di trovare conforto.

Tali esperimenti ed altri hanno dimostrato che la soddisfazione dei bisogni primari come il cibo non è sufficiente alla sopravvivenza ma necessita di contatto e vicinanza con qualcosa di morbido, caldo, rassicurante, caratteristiche tipiche di una figura materna.

Anche indagini successive di Spitz sui bambini istituzionalizzati (in orfanatrofi o ospedali), quindi, privi di contatti materni hanno dimostrato come tali privazioni comportavano difficoltà ed ostacoli nella crescita e nello sviluppo.

Conclusioni: il bisogno d’affetto è forse ancora più importante di quello del cibo, permette di esistere ancor più dell’alimentazione.

 

Dott.ssa Rosalia Cipollina