MAMMA SEPARATA VIVE LONTANO DAL FIGLIO PER LAVORO: QUALI CONSEGUENZE?
Come si deve gestire l’affidamento del figlio se la mamma è obbligata ad essere lontana dal bambino anche per lunghi periodi
MAMMA SEPARATA VIVE LONTANO FIGLIO PER LAVORO – Salve, mi chiamo S., ho 27 anni e da poco tempo seguo il vostro gruppo. Ho letto alcune storie che avete pubblicato e se possibile mi piacerebbe raccontare anche la mia per ricevere un riscontro, un’opinione, un supporto per poter andare avanti. Cercherò di essere breve anche se ho tante cose da dire. Fino allo scorso anno ho lavorato in un’azienda vicino alla mia città, ero un commerciale estero e il mio titolare aveva molta considerazione di me…finché non ho scoperto di essere incinta.
Dopo neanche tre mesi di gravidanza ho avuto una minaccia d’aborto e il ginecologo mi ha dato la maternità anticipata. Dunque dovetti smettere di lavorare e stare il più possibile a riposo. Questa situazione ovviamente è andata a scapito del mio posto di lavoro.
Il mio titolare trovó modo di parlarmi e mi fece capire chiaramente che se appena finita la maternità obbligatoria non fossi tornata al lavoro mi avrebbe licenziata. Così nacque mio figlio e allo scadere del suo terzo mese di vita tornai a lavorare trovando un ambiente completamente diverso: venni privata di tutte le mansioni che ricoprivo prima della maternità e non venivo più rispettata ma solamente maltrattata.
Così, sentendomi messa con le spalle al muro e percependo il rischio del licenziamento, cominciai a guardarmi intorno e a cercare un altro impiego. Mandai curriculum su curriculum in ogni dove senza mai ricevere una risposta finché non venni a conoscenza di una selezione che si svolgeva a Milano per andare a lavorare come assistente di volo in Emirates.
Non aspettandomi nulla decisi di provare e partecipai alla selezione. Nel frattempo con il mio compagno le cose non stavano andando a gonfie vele, litigavamo spesso, lui non si fidava di me perché ogni volta che un amico o un vicino di casa o un uomo mi scriveva un semplice “come stai” diventava una tragedia.
Con il passare dei giorni Emirates mi chiama dicendomi che ero stata selezionata e mi invia il contratto di lavoro. Avendo bisogno di lavorare per poter mantenere mio figlio decisi, con gran sacrificio, di accettare il contratto e così a luglio, seppure a malincuore, partii per Dubai vedendomi costretta ad allontanarmi da mio figlio che allora aveva solamente nove mesi.
Questa mia decisione non ha fatto che peggiorare le cose tra me e il mio compagno, il quale ha cominciato a far leva sul fatto che avessi preso la decisione di mia spontanea volontà senza chiedere il suo parere, rinfacciandomi più e più volte di aver abbandonato mio figlio, ripetendomi che non ero una buona madre e così via.
Queste cattiverie gratuite mi hanno sempre ferita dentro in quanto mio figlio è tutto per me e se ho accettato questo lavoro l’ho fatto solo ed esclusivamente per lui, per mettere da parte dei soldi in previsione di un futuro insieme a mio figlio, e per dare una svolta al mio curriculum in quanto convinta che un’esperienza del genere avrebbe potuto aprirmi nuove strade in Italia.
Ora io e il mio compagno, per queste ragioni, non stiamo più insieme. In questo momento è il padre di mio figlio che si sta prendendo cura di lui assieme ai suoi genitori. Prima di partire per Dubai vivevamo insieme in un appartamento in affitto. Dopo il mio trasferimento ha voluto portare la residenza del bambino nella casa dei suoi genitori dove tuttora sta vivendo e come se non bastasse, il mio ex compagno ha preteso di organizzare un incontro con degli avvocati e una psicologa dell’età evolutiva perché sostiene che il bambino vada tutelato in una situazione così “anomala”.
Per nulla d’accordo sul ricorrere a questi mezzi ho comunque accettato di presenziare all’incontro e di seguito riporto ciò che è venuto fuori. Premesso che il mio lavoro mi permette di tornare in Italia in media ogni mese e mezzo per una settimana, secondo la psicologa le mie comparse e scomparse con il bambino devono essere graduali, ad esempio il primo giorno non posso passare più di 4 ore di tempo con mio figlio, il secondo giorno 5 ore e così via per poi ti diminuire il tempo a pochi giorni dal ritorno a Dubai.
Non posso portare il bambino a dormire con me perché sarebbe meglio che dormisse a casa sua, nel suo lettino. Non posso portare mio figlio con me a Dubai né può venire a trascorrere le vacanze da me finché non avrà compiuto almeno tre anni (ora ha 17 mesi). Questi sono i punti principali su cui la psicologa ha insistito.
Venendo alla relazione con il mio ex compagno, è possibile un riavvicinamento con lui solo e solo se cambio radicalmente il mio modo di essere e di comportarmi: in altre parole dovrei licenziarmi, tornare in Italia (dunque lasciare qualcosa di certo per l’incerto) mandando all’aria il sacrificio di 8 mesi spesi all’estero alla ricerca di un futuro migliore per me è per mio figlio, tornare in Italia senza un lavoro, senza un compagno e senza soldi per poter crescere un figlio; allontanarmi da mia madre (Lorenzo, il mio ex, mi ha sempre condannata per essere molto legata a mia madre, la quale la definisce una persona “frustrata” e che mi ha rovinato la vita (io mi chiedo qual è quella figli che non parla e non si confida con sua madre); dovrei smettere di rispondere a qualsiasi persona di sesso maschile, amico, vicino di casa o pretendente che sia.
Insomma queste le condizioni per poter tornare insieme al mio ex compagno, dovrei trasformarmi completamente in un’altra persona. Ora io mi chiedo: dopo tutte le cattiverie e il male che mi ha fatto, ne vale la pena? Premesso che per me mio figlio è tutto, qual è il bene di mio figlio?
Tornare con lui e far pesare le tensioni che abbiamo sul nostro bambino o sarebbe meglio ricominciare una nuova vita con un altro uomo in grado di farmi stare bene? Ma soprattutto, quanto espresso dalla psicologa ha un fondamento, o anch’io ho diritto a stare con mio figlio? Io sto cercando di fare di tutto pur di avere mio figlio al mio fianco ma ogni tentativo sembra vano.
Sto cercando persone che a abbiano un background simile al mio per sapere se ho delle chance per avere mio figlio con me. Questa è la ragione principale che mi ha spinta a contattarvi, vorrei un parere in merito e possibilmente dei consigli su come agire allo scopo di ottenere l’affidamento di mio figlio. Che posso fare?
È vero che la scelta che ho fatto può costituire un trauma per il bambino perché non abituato ad avere una mamma con sé? È vero che la lontananza da lui può avere effetti catastrofici sulla sua crescita? Che posso fare per far sí che il bambino cresca sicuro di sé, felice e forte? E che posso fare io come madre per averlo il più possibile con me?
Che posso fare per avere mio figlio? Non penso di essere l’unica al mondo ad avere un figlio ma lavorare lontana da lui. Vi prego aiutatemi, vorrei sapere come posso muovermi e quali gli effetti e le conseguenze della mia lontananza sul bambino. In fondo é per lui che sto facendo questo sacrificio (che spero porti i suoi frutti i n futuro) e comunque mi connetto su Skype quasi tutti i giorni (orari di lavoro e fuso orario permettendo) per parlare con lui affinché mi riconosca, mi veda e mantenga il contatto con me. Grazie mille per l’attenzione e spero vivamente che possiate darmi una mano in questo senso.
Lei mi pone tutta una serie di domande, fra cui molte su suo figlio, che meritano ben altro spazio ed approfondimento di quello di una consulenza online. Per quanto riguarda suo figlio la invito a confrontarsi maggiormente colla psicologa dell’età evolutiva e ad esprimere a lei le sue perplessità . In linea di massima posso dirle che un bambino piccolo si avvantaggia di una continuità della presenza e delle cure materne , ma ciò non toglie che non si possa mediare in tal senso.
Per quanto riguarda il suo compagno ritengo che le sue scelte professionali non debbano essere condizionate dal suo partner ma semplicemente essere oggetto di confronto con lui. Fermo restando che spetta a lei la decisione ultima sulla sua vita. Faccia quello che sente anche se fare quello che sente significa effettuare rinunce e sacrifici in altri campi.