IL LUNGO CAMMINO DEL PERDONO

Tratto dalla discussione del forum “ll lungo, lunghissimo cammino del perdono”

Argomento: Perdono

Autore: Zebretta

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Oggi è un giorno particolare per me: esattamente un anno fa mio marito mi ha confessato la sua relazione extraconiugale; un anno fa quella storia è finita….ed è cominciata la mia.
Non ha confessato spontaneamente: l’ho costretto quando ho scelto di smettere di non vedere.
Ricordo tutto di quel giorno: lui che tra le lacrime confessava una storia con una donna che non amava e che ciononostante non era riuscito a chiudere;il tempo; che ora era ed il silenzio…
Sono rimasta seduta sul divano incapace di dire e provare nulla.
L’unica cosa che sono riuscita a dirgli è stata : “non toccarmi”; dopo mesi di dolore, di disperazione, di annullamento di me stessa ho visto per la prima volta il dolore nei suoi occhi.
Ho passato il pomeriggio a parlare con una mia amica, sbrodolandole letteralmente addosso quello che avevo tenuto per me tanto a lungo e lei mi ha detto che ci avrei messo tanto tempo a guarire:” tra un anno sarai ancora qui a cercare di riprenderti”.
Un anno?! No no, un anno così io non lo passo….

Beh, è passato un anno, mi è passato sotto il naso senza che nemmeno me ne accorgessi.
E’ stato così pieno e così intenso che sembra ne siano passati dieci.
Della donna che ero è rimasto poco e su quel poco ho dovuto lavorare tantissimo, rimettendo in discussione tutto di me stessa, di mio marito e del nostro matrimonio.
La cosa buffa è che io ero convinta di essere una donna lineare,con un’idea estremamente radicata e ferma di cosa è giusto e cosa è sbagliato e invece adesso mi ritrovo a fare i conti con una persona complessa, con idee complesse.
E’ come percepirsi non più ad una sola dimensione ma tridimensionale.
Ho ancora tanto da scoprire di me perché sento di avere solo dato una prima piccola occhiatina dell’universo immenso che c’è dentro di me.
Questo da una parte lo trovo molto bello e stimolante, dall’altro mi spaventa.
E’ meraviglioso scoprire di possedere risorse a noi ignote ma proprio questa non conoscenza di sé implica anche non conoscere bene tutti i propri limiti e le proprie incapacità.
Ma non posso e non voglio tornare indietro.

Oggi sono ancora qui, con mio marito: è lui che mi tiene per mano, lui che mi dice che ce la possiamo fare e che mi consola nei, seppur rari oramai, momenti di crisi.
Sicuramente abbiamo camminato tanto e siamo cambiati altrettanto ma siamo anche consapevoli delle difficoltà che ancora dobbiamo affrontare.
Proseguire la nostra storia necessita il perdonare e perdonarsi.
Lui ancora non si è perdonato: per un certo verso questo mi rassicura.
Indubbiamente non è giusto ma mi da la certezza del suo essere in grado di percepire l’errore commesso.
D’altronde mi rendo conto che mi aggrappo a questo facendone una sicurezza per il nostro rapporto: ma non è sano.
Sarebbe opportuno che si perdonasse, che imparasse ad accettare che non è perfetto ed anche io dovrei fare altrettanto.

Ultimamente il tema del perdono è emerso più volte nel corso di varie discussioni e mi sembra importante affrontarlo, per lo meno io lo considero importante forse perché mi ci sto confrontando pienamente.
Ho postato qui perché credo che sia un processo necessario in tutte le storie relazionali, sia che siano finite o ancora in corso.
Ma più che altro per capire come arrivare a perdonare è necessario capire cosa è veramente il perdono

Spesso infatti si tende a confondere il perdono con la riconciliazione ma sono due atti totalmente autonomi.
Perdonare significa riuscire a vedere i limiti di chi ci ha ferito, ridargli una dimensione più reale, di persona con pregi e difetti, comprendere senza per questo giustificare.
E’ un atto che richiede profondo equilibrio interiore nonché l’accettazione profonda di noi stessi.
Comprendere ed accettare i nostri difetti e le nostre fragilità ci permette di farlo poi con gli altri.
Perdonare non significa dimenticare ma far sì che il passato non continui a ferirci, ricordare senza provare dolore.
In quest’ottica il perdono non è qualcosa che serve a chi ci ha offeso per liberarsi delle sue responsabilità ma innanzitutto un processo per liberare noi delle conseguenze dell’offesa che abbiamo ricevuto.
Non è facile perché molto spesso crediamo di aver perdonato e non è vero.

Io ho capito di non averlo fatto ancora veramente perché non riesco a ricordare senza provare dolore o rabbia in alcuni momenti.
E quando non perdoniamo l’offesa rivive nella nostra mente e nel nostro cuore continuando a ferirci.
Sono cosciente di ciò che mi impedisce di perdonare: sono arrabbiata con me stessa per avergli permesso di ferirmi e non mi fido più della mia capacità di giudizio.
Comprendo che questo mi porta sempre al punto di partenza: la scarsa accettazione di me stessa e la conseguente scarsa autostima.
Non so dire in che misura essa fosse comunque presente prima di questa dolorosa esperienza e quanto questa abbia contribuito nell’acutizzarla ma so quanto sia difficile recuperarla.
Cercando di salvare il mio matrimonio ho lavorato, sto lavorando molto sul tema del perdono.
Certo alla fine dovrò trovare dentro di me la forza e la capacità di perdonare, me stessa in primo luogo e so che la strada è ancora lunga.
Tuttavia nel lungo cammino di questo anno il confronto in questo forum mi è stato di grande aiuto e penso che il possa esserlo anche su questo tema.
Ho cercato di condensare in poche righe un argomento così difficile ma poi un post troppo lungo magari può essere faticoso da leggere.
Spero che ne nasca un terreno fertile di discussione …..
Un abbraccio a tutti

Zebretta 

ciao zebretta… dopo aver letto il tuo racconto ci sono in me sentimenti dolorosi e contrastanti: solidarietà, tristezza per quanto ti è accaduto, gioia per aver letto che il tuo matrimonio continua e che tuo marito ti tiene per mano, rammarico e delusione per il ricordo di quanto accaduto a me.
A suo tempo avevo scoperto la tresca e mettendo insieme i pezzi avevo capito quanto era successo. In quel momento ho provato una disperazione che mai avevo provato prima e che mi ha segnato permanentemente in quanto da quel momento una parte di me è cambiata, si è spenta… non sò come descriverlo. Il dolore più grande era, ed è, quando nella mia testa rivivevo i momenti in cui lei era l’oggetto del desiderio, coronato, di un’altro (lo conoscevo pure).
Ho chiesto, voluto ascoltare il suo racconto nel dettaglio per tranquillizzarla, consolarla, liberarla, capire come fosse potuto accadere. Era sera e quella notte mi chiese di dormire semplicemente con lei (ci eravamo lasciati e non ci vedevamo da diversi giorni). Una notte infinita, tormentata, con la voglia di andarmene per la sofferenza che provavo, e il desiderio di restare perchè potevo ancora guardarla mentre dormiva.
In seguito, anche lei rimase segnata da quanto accaduto e io rimasi paziente, cercando di essere il più dolce e sensibile possibile. Rimasi in attesa che le cose migliorassero, che lei superasse i suoi blocchi e le sue difficoltà… per 4 anni! 4 anni che ora mi rendo conto furono devastanti per me, per la mia persona, per la mia autostima. Per tutto quel tempo mi sono annientato: ho vissuto per lei, per far star bene lei, per far ripartire in nostro rapporto. Ho lasciato perdere tutto per concentrarmi su noi, per tornare ad essere felici. 4 anni in cui credevo di aver perdonato ma in cui in realtà soffrivo, il ricordo (frequente) mi logorava, la rabbia per la non curanza del mio dolore cresceva dentro di me. Gli sforzi infiniti per accontentarla, risultare unico, migliore, valido, amabile.
Sorrido ironicamente nel pensare che per 4 anni ho atteso instancabilmente mentre lei si curava unicamente dei fatti suoi! Il comportamento da me adottato doveva essere il suo e viceversa. Invece il mio donarmi agli altri, in particolar modo alla persona che più amavo al mondo, unito al suo egoismo hanno ribaltato quanto doveva naturalmente essere.
A differenza tua zebretta, una volta capito il suo tradimento ho cercato di comprenderla e perdonarla: questo è stato il più grande errore che potessi commettere. Così facendo, lei si è liberata del fardello che portava, passandolo interamente a me, per poi lavarsene le mani: non mi ha mai chiesto perdono, scusa, non ha mai capito quanto mi avesse fatto e quale tremenda agonia stessi vivendo. Non ho mai avuto il piacere di essere preso per mano, consolato, confortato, mai, neppure una volta in tutto questo tempo.
In conclusione, mi ha lasciato: stesso copione di quel tradimento, solo che questa volta ha voluto andare oltre a quello che sostanzialmente fu una notte e via, e mossa dal desiderio di innamorarsi nuovamente, provare forti emozioni mi ha lasciato. In quel momento la gelosia nel pensare lei ancora tra le braccia di un’altro e la rabbia per tutto quello che ho dovuto passare per cercare di farla stare bene mi stavano facendo impazzire e ancora non l’ho superato completamente.
Questo accadde un anno fa e, come per te, pare sia volato in un batter d’occhio: sembra ieri che mi diceva di non amarmi più. Ma allo stesso tempo, se ripenso al ragazzo che ero, ai sentimenti che provavo sembra passata un’eternità.
Ora ho paura di esser diventato più freddo, più razionale e distaccato, più attento a non essere ferito e di conseguenza più distratto, assente nei confronti di chi mi affiancherà nel prossimo futuro.
L’augurio, per entrambi, è che tutta questa sofferenza si traduca in qualcosa di meraviglioso.
Un abbraccio,

Flender


Dal punto di vista etimologico perdonare significa concedere un DONO: è così in tutte le lingue, dall’inglese ‘forgive’ al francese ‘pardonner’ ed al tedesco ‘vergeben’. Non sono molte le persone predisposte all’atto di donare, ed anche se dal punto di vista etico o religioso si può essere d’accordo sul principio,…………… metterlo in pratica è tutt’altra cosa
Il perdono implica la propria liberazione da un nemico interno, costituito dall’odio.
L’odio, come l’amore, è un sentimento molto forte, che può legare indissolubilmente ad una persona e che dunque fa si che l’offensore sia sempre nei pensieri dell’offeso, nei suoi ricordi, nei suoi progetti.
L’odio crea una dipendenza.
Un forte abbraccio

Ros

Ciao Zebretta.. Ho pensato a lungo su cosa potere scrivere in risposta a questo tuo bellissimo thread e non so se sarà appropriato.
Leggendoti ho pensato al perdono e mi è venuto in mente mio papà. Il percorso che mi ha portata al perdono adesso mi sembra semplice ed inevitabile( ehmm ci sono voluti un po’ di anni). E’ come se semplicemente avessi seguito una strada che era già segnata. Il perdono è stato per me la trasformazione dall’odio all’amore.
Poi ho pensato al mio ex…. Mi ha fatto molto male e gli ho portato molto rancore. Ma poi sono giunta all’indifferenza… dal rancore profondo sono giunta all’accettazione capendo che quell’uomo è più malato di me e che non avrebbe mai potuto amarmi come io desideravo. L’ho scelto apposta! Questo è perdono? Non so
Penso al padre di mia figlia. Non lo perdono. Razionalmente mi dico che lui è fatto così e non potrò mai cambiarlo ma solo accettarlo per quello che è.. ma non riesco ad accettarlo.. mi fa ancora troppo male il suo comportamento.
Perdono? Anche nel suo caso forse dovrebbe essere accettazione.. forse anche affetto perché in fondo abbiamo condiviso e condividiamo la cosa più bella che abbiamo potuto fare: una figlia! Mi verrebbe da dire che forse non è indispensabile perdonare sempre.. ma quando in mezzo ci sono dei figli forse è un cammino che vale la pena di tentare di percorrere.

Poi ho pensato al tradimento.. Io ho vissuto una serie di storie nelle quali il mio compagno mi tradiva ma “il tradimento vero” è stato solo quello di mio marito.. quando, come hai detto tu, ho deciso che volevo smettere di non vedere e, nel mio caso, smettere di permettere di tradirmi. E’ stato un giro di boa nella mia vita. Ringrazio quel tradimento perché è stato l’inizio di un cambiamento molto lento e doloroso che mi ha portata dove sono adesso. Purtroppo per me il tradimento non ci ha portati a riavvicinarci ma ad allontanarci ancora di più e definitivamente perché penso che questa unione avesse delle fondamenta molto fatiscenti..
Gio62

Il tradimento è una grave ferita e va collocata in un contesto. Ha un motivo di essere. Nella maggioranza delle storie il motivo è il non amore o la fine dell’amore e quando è così noi lo sappiamo ( dentro di noi) perchè il tradimento , in questo caso, é la conseguenza di molte cose che non vogliamo vedere o non siamo pronte o non riusciamo. Io la penso così e non solo per la mia esperienza ma anche per quello che vedo intorno a me. In questo senso un tradimento ci obbliga a guardare anche dentro di noi profondamente prendendoci le nostre responsabilità ( non colpe!!!) senza per questo assolvere un tradimento che è davvero un colpo basso.
Gio62
Gio…la tua risposta la aspettavo con impazienza per la verità….ci contavo
Mentre scrivevo pensavo a mio padre, a tuo padre e a te.
Ultimamente mi capita spesso di associarti al pensiero del mio babbo, forse perchè so che devo compiere un cammino simile al tuo e ho tanta ammirazione per te che sei riuscita a risolvere il tuo rapporto con lui.
Mi rendo conto che dovrei perdonare anche papà ma sarà che lui mi ha ferito quando ero più indifesa, sarà che le mie aspettative su di lui erano grandi, io sento di riuscire a perdonarlo con maggiore difficoltà rispetto a mio marito.
Questo mi stupisce perchè se ripenso a me da piccola ricordo il dolore ma molto ovattato, mentre quello di oggi con mio marito è più vivo e acuto.
Si, credo fermamente che il perdono sia accettazione che porta con sè la fine del logorio interno, del dolore.
Sono consapevole, come te, che il tradimento sia stato un giro di boa: mi ha costretto a guardare di me anche ciò che non volevo vedere.
E lo fa ancora ma non riesco, proprio non ce la faccio a ringraziare che sia accaduto benchè sia cosciente che alcuni aspetti di me e della mia vita non li avrei considerati nè modificati altrimenti.
Ma probabilmente dipende dal fatto che ancora mi procura dolore, che ancora non ho perdonato fino in fondo.

Credo anche io che perdonare non sia sempre necessario: penso lo sia in proporzione al dolore che noi avvertiamo.
Ci sono persone che mi hanno ferito molto, volontariamente; che ancora cercano di farlo…le stesse che hanno creato tutte le difficoltà a mio marito dando origine a situazioni tanto complesse da essere ancora in atto.
So per certo che queste persone hanno cercato di farmi del male, ancora, proprio pochi giorni fa.
E mi sono chiesta se ho perdonato: la risposta è no e non credo che lo farò mai.
Non riesco a perdonare chi persevera nel volermi ferire, non ce la faccio proprio.
Le offese che ho subito, le angherie erano e sono grandissime: tempo fa li ho odiati, non mi vergogno a dirlo.
Oggi non più: penso che questo dipenda dal fatto che erano persone che anni fa consideravo amiche ma dalle quali avevo già cominciato a staccarmi perchè percepivo che qualcosa non andava: dunque le mie aspettative su di loro erano ormai bassissime.
Non ho bisogno di perdonarli perchè non sento più dolore dentro di me ma non ho accettato e non lo farò mai.

Caro Flender,
quando ho letto il tuo post mi sono molto dispiaciuta: non volevo alimentare un dolore che so essere enorme.
Capire come agire e reagire nei confronti di un tradimento non è facile.
Ma credo che tu abbia usato la parola chiave: autostima.
Sinceramente penso che tutti noi abbiamo dei buchetti qua e la in essa, nel senso che non sarebbe reale nè sano secondo me pensare ad un autostima totale.
Certo è che le dimensioni dei buchetti contano enormemente quando accade un tradimento.
Perchè il tradimento di per sè è il più potente mezzo di annientamento dell’autostima: non solo ti chiedi cosa c’è in te che non va per aver dovuto subire tanto ma ti domandi anche come hai potuto non vedere e non capire.
Ricostruire l’autostima dopo un tradimento è come ricostruire una città rasa completamente al suolo e deserta.

Gli sforzi infiniti per accontentarla, risultare unico, migliore, valido, amabile .

Questa tua frase mi ha colpito moltissimo: in essa c’è tutta la ferita della tua autostima, della tua ricerca di cambiarti per essere meritevole di amore.
Ma l’amore, quello vero, è quello ti accetta e che non ti cambia.
Il perdono è un processo lungo e doloroso: quando si perdona troppo celermente in realtà stiamo solo cercando un modo di difenderci, stiamo cercando di proteggerci dal dolore.
Cercare di comprendere e giustificare il tradimento credo tecnicamente si chiami NEGAZIONE.
Il perdono per essere tale deve essere rivolto proprio alle persone che non scusiamo.
Ho letto un libro veramente interessante su questa tema: lo consiglierò nell’apposita sezione. Penso che possa essere utile, a parte per il perdono in sè, anche e soprattutto per comprendere quali sono i nostri meccanismi di difesa e le ferite sottese.

Ha aiutato anche me a comprendere quali siano le motivazioni che mi impediscono o comunque rendono difficile il proseguire il mio cammino: sono diverse ma credo che questa frase ne condensi il senso complessivo

perdonare significa anche correre il rischio e superare la paura di essere umiliati una volta di più.

Ecco, credo che non avrei potuto descrivermi meglio in questo momento…

Un grande abbraccio a tutti

Zebretta 

Da dove comincio..
Mio papà per me il vero perdono è quello.. Ho detto che è stato semplice ma lo è stato adesso che lo vedo a ritroso, naturalmente. Mi ricordo ancora quando proprio su questa tastiera piangevo lacrime come fossi un fiume in piena senza riuscire a trattenermi come non ho mai pianto, come se tutte quelle lacrime lavassero via il dolore, quando ho visto mio padre oltre quella cortina di nebbia fittissima perenne. Ma ancora non avevo perdonato. Avevo solo iniziato a vederlo per quello che era: un uomo con tante difficoltà, con tante debolezze, con un infinito timore, tanto, troppo simile a me, al punto tale che per anni ci siamo scontrati. Due bambini che non hanno mai imparato ad esprimere se stessi. Credo che tutto fosse fondato sull’incomunicabilità e il fatto che io abbia iniziato un cammino dentro di me e abbia trovato un pezzetto di persona più adulta, ha fatto in modo di cambiare atteggiamento di fronte e lui e a cominciare a slegarmi da un modello oramai consolidato
Non sarei mai riuscita a dirgli le cose che gli ho detto poco tempo fa. Anzi, solo alcuni mesi fa gli ho urlato addosso il mio odio e proprio di questo poco tempo fa, gli ho chiesto scusa, perché non lo provavo più. Gliel’ho chiesto con il cuore in mano. E’ stato semplice perché nel momento in cui questo processo è iniziato ho solo dovuto seguire me stessa vincendo le mie paura.
Prima delle ferie volevo chiarirmi con lui ma non l’ho fatto perché mi sentivo ancora debole .. ero su un terreno scivoloso e avevo paura che, oltre a non riuscire ad esprimere per il meglio quello che avevo dentro, lui potesse rifiutarmi ancora e non sapevo come lo avei preso.
“perdonare significa anche correre il rischio e superare la paura di essere umiliati una volta di più”. 
Ecco era proprio per questo che non trovavo il coraggio.. ma poi,un giorno, ho solo dovuto seguire la strada verso casa sua consapevole che dovevo farlo per me, che l’unico modo per trovare lui era concedere a me stessa di esprimere quello che avevo dentro. E io gli ho sempre voluto bene, lui non me lo avrebbe detto e non avrebbe mai cambiato modo di agire…solo io potevo fare quel passo.
E dopo questo ho visto un miracolo perché lui ha fatto dei piccoli tentativi per cambiare.. e questo mi fa comprendere che avevo visto giusto nel suo cuore. Continuiamo a non parlarci molto ma quel poco è sufficiente. Non vedo più mio padre come un mostro ma neppure solo come una persona debole. Mio padre ha trovato il suo posto e mi sta insegnando ora più di quando ero piccola. In questo momento mi sta accompagnando a comprendere l’abbandono che è il mio terrore e mi sta insegnando la dignità della morte e delle sofferenza.
Lui non voleva farsi ricoverare a luglio, quando gli hanno trovato un tumore, e aveva tutti contro.. anche me in parte.. poi ha fatto altri esami e abbiamo scoperto che è davvero molto compromesso. Anche i medici adesso dicono: lasciamolo stare. Lui, che è sempre taciturno e non ho mai capito, comprende perfettamente la sua situazione ascoltando se stesso e con estrema dignità sta andando contro il suo destino.
Penso che in realtà sia più semplice perdonare un genitore che un partner: perché dentro di noi amiamo i nostri genitori, tanto più li odiamo tanto più li amiamo perché ci hanno feriti, perché ci aspettavamo da loro qualcosa che non potevano o non hanno saputo darci. Il filo che ci lega è fortissimo. Ma i nostri genitori sono esseri umani come noi, non sono gli esseri prefetti che avremmo voluto. Mi viene difficile pensare che un genitore, in genere, non ami un figlio, anche se ho degli esempi molto vicini, di persone cha hanno ripudiato perfino i propri figli. Non so che dire in questi casi…. Per fortuna non è stato il mio caso! ( e già di danni ce ne sono stati!)
Per quanto riguarda i partner.. come vedi essere riuscita in una tale impresa non mi insegna a sapermi gestire con il padre di mia figlia! Ci lavorerò anche perché lo devo a mia figlia.. anche se penso che ogni cosa che superiamo ci rende più forti e il giorno in cui sarò riuscita a separarmi da mio marito senza nessun rancore sarò una persona migliore e quindi devo farlo anche per me.
Un abbraccio forte
Gio62

Ho letto il tuo racconto letteralmente rapita…
In un certo senso mi ci ritrovo: non nelle parti fondamentali( non ancora almeno!) ma anche io comincio ad avvertire il desiderio di parlare con mio padre e come te temo non solo di essere respinta ma che lui non possa capire, nel senso che secondo me mio padre mi vive come figlia poco amorevole ma per causa mia.
In sostanza io sarei quella con il caratteraccio: e non è solo il mio senso di colpa a indurmi a fare questa considerazione( perchè ovviamente sento di essere manchevole, di non comportarmi come una brava figlia dovrebbe) ma anche la consapevolezza che mio padre ha la tendenza a “riaggiustare” gli eventi del passato in modo più gradevole per lui, possibilmente deresponsabilizzandosi.

Credo sarebbe più semplice, dopo un tradimento, lasciarsi pittosto che cercare di ricominciare insieme.

Sapessi quanto mi ha fatto tribulare questo pensiero!
Su questa considerazione ho speso tutte le energie che avevo nel tentativo di stabilire se ero o meno dipendente..
Sia io che mio marito abbiamo sempre considerato che non riuscivamo ad immaginare il nostro futuro senza l’altro.
In un certo senso è ancora così: mi sembra che la sua presenza nel mio futuro sia naturale come l’aria ma adesso sono perfettamente cosciente che potrei vivere benissimo anche senza lui ( e in questo mi è stato utilissimo andarmene di casa per un mese).
Magari a molti sembrerà banale ma io ho accolto questa consapevolezza con immensa gioia e sollievo.

Proprio ieri, dopo aver visto che ero un po’ triste dato il particolare anniversario, mio marito mi ha chiesto se non mi venisse mai la voglia di mollare tutto, di lasciar perdere per evitare la sofferenza.
Beh io mi sono sentita rispondere:”si, eccome!”. Non ci ho nemmeno pensato…
Lui è rimasto un po’ male e mi ha detto che per lui la sofferenza vale il nostro rapporto ma ha anche aggiunto che certo sono io quella che soffre di più….
Io sono contenta, contenta di sapere, adesso, che per me sarebbe più facile andarmene e invece scelgo di restare.

Non so se sono riuscita a spiegarmi….a volte nel tentativo di fare maggiore chiarezza mi ingarbuglio ancora di più
Zebretta
E’ possibile che tu abbia un gran brutto carattere. Anche io l’ho sempre avuto e me lo porto dietro e penso sia il risultato di come siamo cresciute, Zebretta. Ne sarai anche un pò responsabile tu ma lo è anche il rapporto con tuo papà e quindi.. dove sta la colpa? Prova a cambiare l’angolatura con cui vedi la situazione con tuo padre. Io penso sia importante lasciare gli schemi che ci imprigionano.
Il tuo comportamento è la risposta al suo e viceversa. Se nessuno di voi cambierà continuerete così.. allora tu che sei più giovane e più motivata e più sensibile.. cambia! semplice eh? ehmmm lo so che non lo è per niente..
E poi cerca di vincere la paura che hai di non essere compresa. fallo per te. Sai, molte volte andavo dalla psicologa e mi mettevo a piangere perchè dicevo: Ho compreso il modo di comunicare con molte persone.. ma non riesco a trovare un varco per comunicare con mio papà.. con chi porto dentro, perchè metà di me porta i suoi cromosomi! Mi sembrava assurdo.. era come se ci forse un muro insormontabile.. Ma se ti metti in ascolto e soprattutto ti dai fiducia forse arriverai a vedere quello squarcio. Non è detto che debba avvenire.. ma se tu lo vuoi io credo che ci siano buone probabilità che questo avvenga. Non avere fretta, segui le tue emozioni. Per me è stato così.. spero possa esserlo anche per te.
Gio62

Hai ragione cambiare non è semplice soprattutto quando implica perdonare chi ci ha ferito.
So anche che necessariamente uno di noi due deve rompere il circolo vizioso che abbiamo innescato ma lotto ancora con me stessa perchè sento una vocina che mi chiede perchè devo sempre essere io a fare la prima mossa.
E’ infantile, lo so ma è la verità.
La bimba che c’è in me vorrebbe sentire il suo papà che le dice che le vuole bene e la protegge.
Ecco io non mi sono sentita abbandonata, non nel senso stretto del termine: mi sono sentita non protetta.
Sono grande ormai e solo io posso proteggere me stessa, lo so…

Credo che il desiderio di ricostruire il rapporto con mio padre stia nascendo anche per la voglia incredibile che ho di pace, di avere una vita serena.
Voglio chiudere questo capitolo e iniziarne uno nuovo, senza nessuno strascico del passato.
Non so se ci riuscirò perchè non dipende solo da me.

Forse, come te, sono impegnata su troppi fronti e devo necessariamente trovare un po’ di equilibrio: non ho la forza necessaria per affrontare due problemi così impegnativi nello stesso momento.
Mi sento ancora fragile e non sufficientemente “attrezzata” per correre il rischio ed essere eventualmente nuovamente umiliata.

Credo comunque che sia solo questione di tempo: basta sapersi ascoltare ( che è più facile a dirsi che a farsi a volte…)
Zebretta

ciao zebretta e ciao gio62
questo thread è iniziato con un primo anniversario speciale che da inizio al “lungo, lunghissimo cammino del perdono” per qualcosa che zebretta, ma in realtà moltissimi di noi, ha ricevuto senza richiedere, qualcosa che ha fatto soffrire moltissimo, qualcosa che nessuno meriterebbe mai,
poi siamo passati al perdono dei papà e la cosa scusate mi ha un po’ infastidito, vi spiego perchè però…

io ho lo stesso identico problema vostro solo che il mio perdono, prima ancora la mia rabbia, coinvolge la mamma, il papà è morto tantissimi anni fa

stesse dinamica, terrore di parlarle, terrore di ascoltare le sue ragioni e per qualche fantomatico circolo vizioso riprendere come sempre sulle mie spalle tutte le colpe

quando è iniziata la crisi con mio marito la prima cosa che mi è stata rinfacciata è stata “ti ho dovuto fare anche da padre” ed io mi sono accollata anche questa colpa, come sempre

sono bastate poche sedute dalla psicoterapeuta per capire che il mio problema non era la mancanza di un papà, ma la presenza stile condor di una madre frustrata sia per infanzia sia per cultura sia per vedovanza sia per carattere

lei stessa pensate all’inizio non voleva che lo sposassi, non proprio ma avrebbe preferito un “medico”, diciamo così un uomo con una posizione migliore, che poi mio marito ha realizzato, io tra l’altro l’ho incontrato ancora studente svogliato

perchè sono arrabbiata? parlavamo di una piccola e grandissima al tempo stesso vittoria di zebretta di cui io ero entusiasta, per andare a sbattere sull’argomento genitori dove ancora sono alla ricerca di serenità, di protezione con un amaro retrogusto di rabbia protratta negli anni

sono molto contorta lo so, il mio lavoro sta anche nello srotolare la matassa che ho negli anni raggomitolato male
buona giornata ad entrambe
un grosso bacio
Laura.m

Cara Laura,
questo thread è nato, nelle mie intenzioni, per confrontarsi su un tema così difficile come il perdono.
Lo è tanto che io ancora ci lotto, anche e soprattutto con mio marito.
Ciò che mi premeva di più era parlare del perdono non come qualcosa dovuto o cercato per gli altri ma come mezzo per il raggiungimento della nostra pace interiore.
E soprattutto il perdono non coincide con la riconciliazione: questo passaggio è fondamentale.
Significa che in fondo io non posso scegliere veramente di restare con mio marito, di riconciliarmi con lui se prima non lo perdono e non viceversa.
Tanti di noi hanno creduto di avere perdonato in certe occasioni ed invece non era vero: io credevo di aver già perdonato mio padre e purtroppo non è così; Gio e Flender pensavano di aver perdonato i rispettivi partners ma anche loro si erano illusi.

Cos’è il vero perdono, come raggiungerlo veramente….questo è il tema di questo thread, che sia perdono per un padre, una madre o un compagno.
Il processo è sempre lo stesso, poi naturalmente i tempi sono diversi a seconda delle persone coinvolte, delle nostre aspettative nei loro confronti e del nostro dolore.

Sicuramente in questo momento io sento più prepotente in me la necessità di trovare un equilibrio vero con mio marito: lui è il mio presente, il mio progetto di vita in un certo senso.
Ma credo fortemente che sia necessario anche il perdono, che per me è vera accettazione, anche nei confronti di mio padre, che rappresenta il mio rapporto con il mondo maschile.
Il perdono di papà mi serve per ricostruire, per perdonare ed accettare anche me stessa: la parte di me che gli assomiglia, quella che si sente in colpa,quella che non si accetta e non si piace.
Non posso perdonare gli altri se non perdono anche me stessa.
E la difficoltà della situazione attuale è forse quella generata dal legame che sento tra questi fronti, diversi eppure simili, di perdono che sto affrontando.
Devo necessariamente perdonare tutti e due, anzi tutti e tre me compresa, ma fatico a farlo contemporaneamente.
D’altra parte so, sento, che essi sono strettamente dipendenti l’uno dall’altro.

Laura, io credo che il mio cammino per il perdono sia iniziato molto tempo fa: la differenza tra allora, quando questa storia dolorosissima è iniziata, e adesso è che prima io volevo perdonare, ora ne sento il desiderio.
Prima lo volevo perchè volevo il mio matrimonio ( perdono = riconciliazione), ora ne sento la necessità per me, con la consapevolezza che è sì un mezzo assolutamente indispensabile per la riconciliazione ma anche che scelgo il perdono per me stessa prima che per chiunque altro.
In questo senso io sento di aver ottenuto una piccola vittoria: non puoi ottenere ciò che non conosci e soprattutto non lo puoi nemmeno desiderare veramente.

Non sei contorta: solo, forse, avevi voglia di sentire qualcosa di positivo, di vedere che c’è un cammino possibile, tenuto conto anche che da un certo punto di vista le nostre storie si assomigliano tanto, ma poi ti sei ritrovata in un argomento, evidentemente, per te ancora più doloroso del tuo matrimonio.
Nei tuoi ultimi posts si legge un aumento di consapevolezza della reale situazione matrimoniale che stai vivendo, uno spostamento delle responsabilità, che oggettivamente e giustamente, non riconosci più a tuo totale carico.
Piano piano stai diventando “padrona” della situazione e benchè questo possa procurarti dolore unitamente alla consapevolezza che possa anche essere che il tuo matrimonio sia irrecuperabile, tutto ciò ti rende contemporaneamente più autonoma e più forte.
Ed è in ogni caso una bella sensazione.
Al contempo la difficoltà con tua madre ti fa sentire ancora fragile.

Non so Laura, la mia è un’ipotesi che si basa anche sulla mia esperienza.
In questo lungo cammino sono riuscita ad individuare quali sono le motivazioni che mi impediscono di andare oltre, di progredire.
So che è un cammino che nessuno può compiere al posto mio ma credo che parlarne aiuti, specie con chi ha saputo raggiungere il vero perdono, a prescindere dal fatto che sia stato perdonato un padre piuttosto che un marito.
Ti abbraccio forte

Zebretta

Cara zeb,
come vedi il perdono non è legato solo al contingente; anzi spesso quello che non riusciamo a “perdonare” nell’immediato è qualcosa che non riusciamo a fare altrettanto per il passato. Zeb questo thread mi piace molto perché dal dolore ricordato con una data fatidica, poi con naturalezza la tua prospettiva si è spostata su ciò che, probabilmente, ti impedisce di lasciar andare rabbia e dolore e accettare la fragilità dell’altro in pieno, senza per questo sentirti sminuita o meno donna.
“Credo che il desiderio di ricostruire il rapporto con mio padre stia nascendo anche per la voglia incredibile che ho di pace, di avere una vita serena.
Voglio chiudere questo capitolo e iniziarne uno nuovo, senza nessuno strascico del passato. Non so se ci riuscirò perchè non dipende solo da me.”
Io credo che questo desiderio nasce dal fatto che oggi ti senti più forte, hai affrontato un “tradimento” doloroso e stai ricostruendo il tuo rapporto con tuo marito, questo ti da la sicurezza che se vuoi, da parte tua c’è la capacità di andare incontro all’altro, hai acquisito la sicurezza dentro di te.
Credo che sì per ricostruire un rapporto con tuo padre serva la sua collaborazione, ma credo fermamente che per non avere nessuno strascico ti serva comunque un confronto con lui, che questo significhi ricostruire un nuovo rapporto o accettare ciò che lui è.
Zeb qualche settimana fa io ho avuto il mio confronto, lo avevo rimandato per molto tempo credendo che non mi fosse più necessario; che non servisse più.
Ora posso dirlo, non solo è servito per chiudere un capitolo lunghissimo della mia vita, ma per lasciare uscire fuori la mia “bambina” ferita, umiliata, non protetta; lasciarla andare costringendo mia madre a lasciare andare la madre “matrigna”, ossessiva, ipercontrollata e costringerla a vedere i suoi errori e capire che sono adulta e deve trattarmi da adulta. Mia madre oggi, pur con grande fatica, “cerca” di avere con me un rapporto maturo. Non so quanto riuscirà a controllarsi o a cambiare, tocca a lei. Io mi sento in pace, anche se la sua “non presenza” ossessiva a volte “mi disorienta”, nel senso che chi ha sempre avuto un ombra ha paura di non farcela a camminare senza.
Zeb quando sarà arrivato il momento di questo confronto accadrà, non ci sarà bisogno di programmarlo, io non l’ho programmato è arrivato così, come una tempesta a dissipare le mie “ombre”.
Zeb stai camminando verso il perdono…quando sentirai di non avere più rabbia verso il tuo lui sarai pronta per cominciare a ritroso il cammino verso tuo padre. Sei vicina, non affrettarti, lasciati portare dalla tua “coscienza interiore”. Un abbraccio

Pat

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

PERDONARE

PERDONARE ? Quante volte dopo aver subito un’offesa, un torto, un aggressione, superata la fase della rabbia ci chiediamo se perdonare o meno? Rispondere a tale domanda non è facile, ma proverò ad evidenziare gli aspetti positivi di un eventuale perdono.

Innanzitutto effettuiamo una disamina storica del perdono. Da sempre sono le religioni che sensibilizzano al perdono, portando ad esempio il perdono di Dio, che deve essere d’esempio a tutti gli altri perdoni umani. I seguenti aforismi sono tratti dalle sacre scritture:

Chi non sa perdonare spezza il ponte sul quale egli stesso dovrà passare.

Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu.

Ma fra filosofi e studiosi, diversi non sono d’accordo.

Friederich Nietzsche che era contrario al cristianesimo, in quanto religione degli schiavi, era contrario anche al perdono che riteneva caratteristica dei deboli, degli incapaci ad affermare i propri diritti, degli incapaci di ribellarsi e di vendicarsi. Il filosofo Schopenauer era dello stesso parere sul perdono, anche se con motivazioni diverse.

Ma sopratutto contrario al perdono è stato il padre della psicanalisi, Freud.

Egli lo considerava pericoloso per l’equilibrio psicologico della persona, in quanto mette a repentaglio la capacità dell’Io di fronteggiare le pulsioni inonscie, causando o una rivolta o la nevrosi. Per Freud le uniche concessioni al perdono potevano avvenire solo nel caso di una sottomissione strategica al più forte, per ridurre la sua aggressività o per lo scopo narcisistico di sentirsi superiore agli altri perdonando.

Attualmente la psicologia stà rivalutando il perdonare. Al di là della concessione del perdono come gesto di bontà, empatia, altruismo, c’è anche un utilizzo pragmatico perdonare, a scopo personale. Perdonare infatti, spesso produce sollievo, eliminando la relazione d’odio che lega vittima e carnefice e che danneggia sopratutto la vittima. In questo caso Il perdono può essere concesso sia ai vivi che morti, e nel caso dei vivi indipendentemente da una loro più o meno esplicita richiesta. Inoltre il perdono può essere parziale (il più delle volte) totale (accade raramente) e può riguardare sia la persona che ha offeso o agito il torto che l’azione dell’offesa o del torto.

La capacità di perdonare, naturalmente, è anche legata all’entita dell’offesa o torto subito ed allimportanza che riveste per l’offeso la persona che le ha inflitte.

La stessa psicoterapia fà del perdono uno dei moventi principali del percorso terapeutico e dell’esito finale dello stesso. Nella psicoterapia il perdono , producendo una diminuzione di amarezza e risentimento, ha un effetto catartico, di liberazione, perché è capace di eliminare o attenuare i sentimenti di rabbia, di vendetta, di vergogna e di risentimento, liberando delle energie, che possono essere dunque meglio spese su altri fronti.

Ma il perdono richiede tempo: può avvenire solo dopo che vi sia stato una rielaborazione mentale dell’offesa o del torto subito, che permetta di placare , la rabbia, il desiderio di vendetta o di punizione di chi ha inflitto il tutto.

Dimenticare non è sinonimo di perdonare in quanto col perdono non cerchiamo di dimenticare l’offesa ricevuta, ma solo fare in modo che essa, pur presente nel ricordo, non sia più dolorosa.

Allo stesso modo perdonare non significa riconciliarsi. Possiamo non nutrire più rabbia per l’offesa ricevuta e perdonare l’offensore, ma non intendiamo più avere nessuna relazione con quest’ultimo.

Approfondiamo la dinamica dell’odio che è sottesa al non perdonare. L’odio può essere un sentimento che lega per sempre. Il filosofo Cioran era del parere che se non vogliamo più dimenticare una persona dobbiamo arrivare ad odiarla. Nello stesso modo l’odio mantiene sempre vivo l’offensore e le sue azioni nella mente dell’offeso. Tutto questo crea dipendenza. Nella stessa dipendenza affettiva l’odio è l’altra faccia della medaglia.

Per perdonare bisogna guardare la realtà dal punto di vista dell’offensore, comprendendo quelle che possono essere state le motivazioni o le pulsioni delle quali possa essere stato, a sua volta, vittima chi ha offeso. Bisogna anche riconoscere eventuali propri errori che possono aver contribuito alla genesi dell’offesa o del torto. Questo insieme di considerazioni può agevolare la concessione del perdono.

Ma anche se fossimo così bravi ad attuare tutto il percorso del perdono, questo non impedisce che la rabbia relativa all’offesa o al torto subito scompaia per sempre. Potrebbe continuare ad albergare dentro di noi e dare segni di vita in determinate circostanze che possono riattivare il rimosso. Ma tali riattivazioni non vranno mai l’impatto doloroso ante-perdono.

Perdonare, quindi, come gesto di amore per sè stessi, per perdonare anche sè stessi di aver permesso all’altro di farci del male. Non dimentichiamo che gli altri ci trattano come noi li permettiamo di trattarci. In questo senso l’offesa ed il relativo perdono possono rappresentare un occasione di crescita personale perchè quello che è accaduto non si verifichi più.

Dott. Roberto Cavaliere

Perdonare fa bene alla salute ma soltanto se si è sinceri
di ALESSIA MANFREDI


LA vendetta potrà anche essere dolce, ma il perdono alla lunga è molto meglio. Se ne sta accorgendo anche la scienza, che dedica sempre più studi ai benefici psicologici e fisici che si innescano quando si smette di provare risentimento, rancore, rabbia, sostituendoli invece con sentimenti positivi. 

Perdonare, arrivando ad augurarsi il bene di chi ci ha fatto soffrire, si traduce in un calo della pressione, minori sintomi depressivi e un senso di benessere generale. Un balsamo non solo per l’anima, quindi, ma anche per il corpo. Ne è convinto uno dei guru della nuova “scienza del perdono”, lo psicologo Robert D. Enright dell’Università del Wisconsin, ma la tendenza è in atto già da una decina d’anni, durante i quali – riferisce il Los Angeles Times – i ricercatori hanno ammassato una discreta mole di dati sugli effetti terapeutici di quella che finora è stata considerata più che altro come una virtù insegnata dalla religione o tutt’al più un arte per pochi eletti. 

Per chi ha subito uno sgarro o un vero e proprio trauma – compresi casi estremi come la violenza fisica, l’assassinio di un familiare, le mutilazioni dei conflitti etnici – pensare di andare oltre, superare il dolore augurandosi la felicità del proprio aguzzino, può suonare improbabile o essere vissuto come una provocazione. Eppure, sostengono gli scienziati, è questa la chiave per diminuire il rischio di sviluppare malattie cardiache e disturbi mentali scatenati dal ricordo ossessivo di cosa ci ha fatto male. 

Proprio come correre o giocare a tennis, il perdono è qualcosa che si può imparare allenandosi: ci sono corsi specifici, in cui si comincia a stare meglio anche dopo poche sedute. Pioniera in questo campo è stata l’équipe dello psicologo Loren Toussaint della Luther University di Decorah, in Iowa, che per prima ha stabilito un nesso fra la salute e la propensione al perdono. Uno loro studio nazionale, pubblicato nel 2001 sul Journal of Adult Development , mostrava che solo il 52 per cento degli americani dicevano di essere riusciti a perdonare chi aveva fatto loro del male. Ma fra questi, quelli che avevano 45 anni o più, godevano di miglior salute rispetto agli altri che non erano riusciti a perdonare.

Gli scatti d’ira aumentano il rischio di aritmie, attacchi cardiaci e causano un aumento della pressione sanguigna, spiega alLos Angeles Times il dottor Douglas Russell, cardiologo, che in uno studio del 2003 ha documentato come dopo sole 10 ore di “corso di perdono” le funzionalità coronariche dei pazienti già migliorassero. 

Il campo è in evoluzione ed ha suscitato molto entusiasmo; eppure l’insistenza sul superamento felice del trauma ad ogni costo non convince tutti. A volte, come nel caso delle vittime dell’incesto, parlare di perdono può essere troppo, sostiene Linda Davis, a capo della associazione Survivors of Incest Anonymous : “arrivare ad una forma di accettazione è già abbastanza. Il perdono è un di più, non è necessario raggiungerlo”. Non solo. Qualcuno fa anche notare che se il perdono arriva troppo facilmente, potrebbe nascondere ben altro, come un senso di colpa che porta la vittima ad assolvere gli altri prendendo su di sé la responsabilità di una violenza: atteggiamento tutt’altro che terapeutico. 

In uno studio su pazienti che hanno contratto l’Hiv Lydia Temoshok, dell’Istituto di virologia umana dell’Università del Maryland, ha identificato in modo specifico questa tipologia di pazienti, che ha classificato come “C”. Se il tipo “A” è arrabbiato e può andare incontro a problemi cardiaci a causa della propria ira e il tipo “B”, invece, riesce ad avere uno stato di salute migliore degli altri perché affronta la malattia nel modo giusto, il tipo “C” nega i problemi e sopprime i propri reali sentimenti: proprio quest’ultima categoria va incontro ad una maggiore possibilità di sviluppare l’Aids e il melanoma per lo stress eccessivo in cui vive e cui sottopone il proprio sistema immunitario. 

( 3 gennaio 2008 )

AFORISMI SUL PERDONO

Si perdona finché si ama. (François de La Rochefoucauld)

– Noi siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdonarci reciprocamente le nostre balordaggini è la prima legge di natura. (Voltaire)

– Ognuno dovrebbe perdonare i propri nemici, ma non prima che questi siano impiccati. (Heinrich Heine)

– Ama la verità ma perdona l’errore. (Voltaire)

– Finchè dura il pentimento, dura la colpa. (Jorge Luis Borges)

– Amare non significa trovare la perfezione, ma perdonare terribili difetti. (Rosamunde Pilcher)

– Importante è ricordare, ma più importante è dimenticare. (Rainer Maria Rilke)

– L’amore scusa tutto ciò che fa. (Molière)

– Perdona i tuoi nemici, ma non dimenticare mai i loro nomi. (John Fitzgerald Kennedy)

– Si dimentica prima una ferita che un insulto. (Philip Dormer Chesterfield)

– L’animo umano è fin troppo pronto a scusare le proprie colpe. (Tito Livio)

– La passione non ottiene mai il perdono. (Pier Paolo Pasolini)

– Un Dio tutto misericordia è un Dio ingiusto. (Edward Young)

– Si può ben perdonare a un uomo di essere sciocco per un’ora, quando ci sono tanti che non smettono mai di esserlo nemmeno per un’ora in tutta la loro vita. (Francisco de Quevedo)

– Perdona sempre i tuoi nemici. (Nulla li fa arrabbiare di più. (Oscar Wilde)

 

Dott. Roberto Cavaliere

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SCALA DI VALUTAZIONE DELLE OSSESSIONI E COMPULSIONI

La Scala di Valutazione Ossessivo Compulsiva  Yale Brown Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale (Y-BOCS) è utilizzata, in ambito clinico, per quantificare la severità di un Disturbo Ossessivo Compulsivo. In questa sede và utilizzata quando si è in presenza di veri e propri sintomi ossessivi e compulsivi nei confronti di una persona.

Per un corretto utilizzo della scala segnare la risposta più vicina la proprio vissuto , scegliendo un solo numero per domanda. Il punteggio raggiunto dovrebbe riflettere l’effetto di tutti i sintomi ossessivi e compulsivi.

 

Scala di Valutazione delle Ossessioni

– Argomento – – Grado di Severità –

1. Tempo dedicato alle Ossessioni 0 ore al giorno 0-1 ore al giorno 1-3 ore al giorno 3-8 ore al giorno 8 o più ore al giorno
Punteggio 0 1 2 3 4
2. Interferenza dalle Ossessioni Nessuna Leggera Definita ma gestibile Impedimento sostanziale Inabilitante
Punteggio 0 1 2 3 4
3. Angoscia e pena dalle Ossessioni Nessuna Poca Moderata
ma gestibile
Severa Quasi costante, inabilitante
Punteggio 0 1 2 3 4
4. Resistenza
alle Ossessioni
Resisto sempre Resisto molto Oppongo una qualche resistenza Spesso cedo Cedo completamente
Punteggio 0 1 2 3 4
5. Controllo sulle Ossessioni Controllo completo Controllo notevole Un qualche controllo Poco controllo Nessun
controllo
Punteggio 0 1 2 3 4

Scala di Valutazione delle Compulsioni

– Argomento – – Grado di severità –

1. Tempo dedicato alle Compulsioni 0 ore al giorno 0-1 ore al giorno 1-3 ore al giorno 3-8 ore al giorno 8 o più ore al giorno
Punteggio 0 1 2 3 4
2. Interferenza dalle compulsioni Nessuna Leggera Definita ma gestibile Impedimento sostanziale Inabilitante
Punteggio 0 1 2 3 4
3. Angoscia e pena dalle Compulsioni Nessuna Poca Moderata ma gestibile Severa Quasi costante,
Inabilitante
Punteggio 0 1 2 3 4
4. Resistenza alle Compulsioni Resisto sempre Resisto molto Oppongo una certa resistenza Spesso cedo Cedo completamente
Punteggio 0 1 2 3 4
5. Controllo sulle Compulsioni Controllo completo Controllo notevole Un certo controllo Poco controllo Nessun
controllo
Punteggio 0 1 2 3 4

 

 

Sommando i vari punteggi ottenuti per ciascuna domanda si ottiene il punteggio totale nella Scala di Valutazione Yale Brown e da esso, attraverso la tabella sottostante ricavate il grado di severità  sia delle ossessioni che delle compulsioni.

 

 

 Punteggio    Grado di Severità  
0-7 DOC Assente
8-15 DOC Leggero
16-23 DOC Moderato
24-31 DOC Severo
32-40 DOC Estremo

 

Dott. Roberto Cavaliere

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TERAPIA DELLE OSSESSIONI E PAURE AFFETTIVE E RELAZIONALI

“Vedo cio che è bene e lo approvo ma seguo ciò che è male” S.Agostino

 

Di seguito suggerisco una breve terapia cognitiva (oggetto d’approfondimento nei corsi e seminari maldamore) utile a contrastare i pensieri ossessivi e fobici caratteristici del mal d’amore quali: paura dell’abbandono, paura della separazione, ossessione dell’altro, insicurezza della relazione, ecc….

I passaggi da attuare sono i seguenti:

  • Identificare i pensieri ossessivi e le paure fonti d’ansia ed angoscia. Distinguerli dai pensieri piacevoli ed utili relativi al quì ed ora del presente.
  • Riportare tali pensieri ossessivi e paure in froma scritta ed attribuire loro un punteggio in base ad una scala che và da 0 a 100 in funzione del loro carattere ossessivo e del loro carico d’ansia ed angoscia.
  • Stabilire un periodo di tempo (da mezz’ora a massimo di un ora) da dedicare giornalmente a tali ossessioni e paure. Il periodo di tempo và osservato sempre allo stesso orario e nello stesso posto.
  • Quando ci si accorge che i pensieri ossessivi e le paure occupano la mente, posporre il tutto al periodo stabilito al punto precedente.
  • Utilizzare il periodo di tempo stabilito per lasciare spazio a ossessioni e paure ed impegnarsi a trovare soluzioni, allo stesso tempo, al fine di affrontarle, con lo scopo di eliminarle.

Questa breve terapia necessita di pazienza e tempo per essere posta in atto nella sua totalità. E’ possibile che all’inizio non si riesca ad effettuare i vari passaggi, ma col tempo è l’allenamento i risultati si vedranno.

Concluderei con una massima zen:

Pensare, Che non ti penserò più È ancora pensarti.

Lasciami allora provare a non pensare Che non ti penserò più.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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ASSERTIVITA’ E DIRITTI ASSERTIVI

Io sono io, tu sei tu; io faccio le cose mie, tu fai le cose tue.

Io non esisto al mondo per rispondere ai tuoi bisogni, e neanche tu devi essere al mondo per rispondere ai miei bisogni.

Se ci incontriamo, bene, può essere amicizia, può essere amore, può essere orgasmo… ma se non ci incontriamo, non c’è niente da fare…

Preghiera di Spencer

 

“L’ assertività ,è un comportamento che permette a una persona di agire nel suo pieno interesse, di difendere il suo punto di vista senza ansia esagerata, di esprimere con sincerità e disinvoltura i propri sentimenti e di difendere i suoi diritti senza ignorare quelli altrui”. Alberti ed Emmons

La persona assertiva è consapevole dei propri ed altrui diritti e li difende. La persona assertiva esprime ciò che pensa e ciò che sente in modo chiaro e diretto

DIRITTO N° 1 – Voi soli avete il diritto di giudicare il vostro comportamento, i vostri pensieri e le vostre emozioni, e di assumervene la responsabilità accettandone le conseguenze.

DIRITTO N° 2 – Voi avete il diritto di non offrire ragioni o scuse a giustificazione del vostro comportamento.

DIRITTO N° 3 – Voi avete il diritto di valutare se volete assumervi la responsabilità di trovare soluzioni ai problemi degli altri.

DIRITTO N° 4 – Voi avete il diritto di cambiare il vostro modo di pensare.

DIRITTO N° 5 – Voi avete il diritto di sbagliare e di assumervene la responsabilità.

DIRITTO N° 6 – Voi avete il diritto di essere indipendenti dalla benevolenza degli altri, quando dovete tenere loro testa.

DIRITTO N° 7 – Voi avete il diritto di essere illogici nel prendere decisioni.

DIRITTO N° 8 – Voi avete il diritto di dire : “non so”.

DIRITTO N° 9 – Voi avete il diritto di dire: “ non capisco”.

DIRITTO N° 10 – Voi avete il diritto di dire “ non mi interessa “.

Questo elenco è lungi dall’essere esaustivo ed ognuno può aggiungervi un suo diritto maturato sulla propria esperienza personale.

 

Dott. Roberto Cavaliere

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I MECCANISMI DI DIFESA

Come in tutte le forme di disagio psicologico, anche nelle problematiche e dipendeze affettive e relazionali, noi mettiamo in atto dei meccanismi di difesa

I meccanismi di difesa sono stati concettualizzati all’interno della teoria psicoanalitica, ad opera inizialmente di Sigmund Freud seguito successivamente da diversi psicoanalisti, in particolare dalla figlia di Freud, Anna Freud nel suo libro “L’Io ed i meccanismi di difesa”.

Essi sono una funzione propria dell’Io attraverso la quale questa istanza intrapsichica si protegge da eccessive richieste libidiche o da esperienze di pulsioni troppo intense, che non è in grado di fronteggiare direttamente.

Un meccanismo di difesa entra in azione con modalità al di fuori della sfera della coscienza: di fronte ad una situazione che genera eccessiva angoscia, ad esempio, l’Io ricorre a varie strategie per fronteggiare l’estrema portata ansiosa dell’evento, con lo scopo preminente di escludere dalla coscienza ciò che è ritenuto inaccettabile e pericoloso. Raramente i meccanismi di difesa intervengono separatamente: nella maggior parte dei casi sono combinati per fronteggiare l’evento o l’effetto sotto più profili.

Vediamo quali entrano in atto nel disagio affettivo e relazionale.

  • La Rimozione : è uno dei meccanismi di difesa più arcaici ed universali. Consente nell’inconsapevole cancellazione di un ricordo, di una esperienza che il soggetto ha vissuto come angosciante o traumatica . Un esperienza si dice traumatica quando presenta le seguenti caratteristiche:
  • Accade improvvisamente
  • Produce uno spavento acutissimo
  • Il soggetto diventa impotente ed incapace di controllare situazioni.
  • Il soggetto sente si subire qualcosa di così tremendo da produrre n danno anche fisico irreparabile. Dalle statisitche, si è scoperto che l’evento più traumatizzante è lo stupro e le esperienze di morti improvvise di cui ne siamo testimoni. Questo meccanismo di difesa dura a lungo ed antico: si sviluppa, secondo Freud, nella fase edipica a 3-4 anni e il bambino, alla fine della fase edipicarimuove i sentimenti e gli aspetti sessuali nei confronti della madre. Si ha nell’ inconscio ed è un meccanismo efficace nelle situazioni angosciose e evnti traumatici.
  • La Proiezione : secondo alcuni autori rappresenta un meccanismo di difesa dal sintomo angoscia sostitutivo dell’insuccesso presentato dal meccanismo della Rimozione. Esempio: “non sono iotraditore ma sono gli altri che tradiscono e devo difendermi tradendo anche io”. I pregiudizi, certe opinioni incontrollate e le superstizioni molto spesso si basano su proiezioni.
  • L’Identificazione: facendo parte dei meccanismi fisiologici di costruzione dell’io in ogni forma di educazione , può trasformarsi in meccanismo di difesa patologico lì dove ad esempio vi è imitazione servile (per spontaneo contagio psichico da parte di un immagine parentale) oppure nella perversione sado-masochista in cui si verifica l’identificazione proprio con ciò di cui si ha paura e che si vorrebbe sopprimere: l’aggressore.
  • L’Identificazione proiettiva: è il meccanismo di difesa che consiste nel porre nell’altro delle parti di sé “buone” (per evitare la separazione dall’oggetto quando si teme di perderlo o per tenere le stesse parti buone dell’oggetto d’amore al sicuro dalle cose cattive che sono dentro il soggetto come per esempio nel caso della necessità di “umanizzare il proprio aggressore” per ragioni di abnorme paura di vendetta che si teme lo stesso aggressore possa mettere in atto verso la sua persona nel caso il soggetto lo odiasse = Sindrome di Stoccolma) o “cattive” in modo da controllare l’oggetto per liberarsene e distruggerlo
  • L’Introiezione: è quel meccanismo che tende a far proprie e portarle dentro di sé, sia quelle parti desiderabili del mondo esterno quali per esempio la sicurezza, sia le parti indesiderabili e d’insoddisfazione facendole sparire all’interno di sé quale per esempio il lutto melanconico di molte fantasie nevrotiche.
  • La Fissazione : rappresenta un arresto dello sviluppo evolutivo emotivo-affettivo per cui la persona resta “fissata”, immobilizzata ad una precedente fase evolutiva per la sua inconscia necessità di proteggere il proprio equilibrio psicologico. Esempio: figlio iperprotetto e non svezzato all’impegno, alle frustrazioni e perfino alle gratificazioni eccessive rimane fissato allo stadio infantile-orale.
  • La Regressione : meccanismo che può instaurarsi anche nelle normali esperienze di vita quotidiana alla ricerca di un ritorno sia pur transitorio ad un momento di gratificazione giovanile ( adolescenziale, puberale, puerile, infantile): che va dal richiedere particolari coccole ed attenzioni nel corso ad esempio di una malattia fisica, all’atteggiarsi a bambino nell’ambito di un rapporto affettivo, alla bevuta con gli amici, ecc. La regressione quindi è un meccanismo di difesa da cause esterne interne finalizzato inconsciamente o meno ad un recupero degli equilibri psichici. Ma oltre ad essere episodico può anche essere un meccanismo permanente come si verifica nelle crisi di adattamento dell’individuo caratterizzato da debole personalità o ipotrofia dell’io.
  • La Razionalizzazione : è un processo di schermatura volto a coprire una crepa nel mal riuscito processo della Rimozione, per cui viene operata inconsciamente una distorsione delle idee, delle motivazioni, delle percezioni e delle interpretazioni con la finalità di creare delle giustificazioni di fronte a se stesso e agli altri, è un po’ come quando la volpe che non arriva all’uva dice che è acerba.
  • La Intellettualizzazione : si verifica ogni volta che il soggetto durante il colloquio, non appena viene sfiorato un argomento per lui fonte di disemotività, filosofeggia, interpreta o giustifica intellettualmente ogni cosa trasformando in intellettualizzazioni le sue ansietà più profonde per la assoluta necessità di controllare ogni cosa, pena la conseguente estrema insicurezza e lo scompenso.
  • Il Diniego: meccanismo di difesa che abolisce dalla coscienza, desideri, pensieri, sensazioni o situazioni traumatizzanti, dolorose spiacevoli.
  • Il Blocco o Repressione degli affetti: costituisce una variante della Rimozione, con la differenza che il meccanismo di difesa avviene a livello più superficiale ovverosia preconscio e talvolta in piena consapevolezza per ragioni di imposizione delle regole dei rapporti sociali.
  • La Sublimazione : consiste nel dirottare le proprie pulsioni sessuali o aggressive primitive verso mete più nobili socialmente accettabili ed encomiabili, ad esempio l’idealizzazione della donna in genere, la platonizzazione o il sogno ad occhi aperti, ecc.
  • La Formazione reattiva: tipica nelle nevrosi ossessivo-compulsive e nell’isteria; si può considerare un desiderio inconscio espresso tramite il suo opposto che si esprime attraverso interessi più socializzati rispetto a certe tendenze infantili che permangono nell’inconscio, per esempio: la pulizia eccessiva, il pudore esasperato, l’atteggiamento missionario, per coprire un terribile odio inconscio contro tutto e tutti.
  • La Traslazione : meccanismo di spostamento o di dislocazione degli affetti verso altre persone, animali o cose messo in atto come conseguenza delle frustrazioni subite. Tipico delle persone sole o rimaste sole nella vita.
  • L’Isolazione o isolamento: consiste nell’intellettualizzazione anaffettiva esasperata di situazioni emozionali scabrose o penalizzanti per il soggetto a causa di un meccanismo iperdifensivo.
  • Il Ritiro emotivo: si verifica nel caso di frustrazioni intense o persistenti con ritiro emotivo-affettivo-interpersonale per timore di eventuali ulteriori scottature, per esmpio: tossicomani, alcoolismo, sogno ad occhi aperti o “dedizione esclusiva ad un intenso lavoro”.
  • Autismo: tipicamente rappresentato dalla persona affetta dalla Sindrome di Clérambault che mette in atto un radicale meccanismo di fuga dalla realtà per lui penalizzante con cui teme di confrontarsi, vivendo in un mondo del tutto immaginario privo di reale contatto con altri individui, cose ed aspetti del sociale.
  • La Psicosomatizzazione : rappresenta un meccanismo di difesa a parte, caratterizzato dal convogliare per via neuro-umorale emozioni, pensieri o comportamenti penalizzanti si funzioni fisiologiche e quindi sul corpo.
  • La Scissione o dissociazione primitiva: estrinseca l’assoluta necessità di effettuare una netta divisione degli oggetti esterni in “tutti buoni” o “tutti cattivi”: la fisiologica coesistenza di una parte buona e di una cattiva in ciascun essere umano è inaccettabile in quanto il riconoscere una parte cattiva all’interno di un’altra persona abitualmente considerata buona è insopportabile per il soggetto che quindi vive tale possibile coesistenza come francamente minacciosa.
  • L’Idealizzazione primitiva: è da considerarsi come una variante della Scissione ed è messa in atto grazie all’innalzare l’oggetto della perfezione proprio nell’intento di evitare le conseguenza del riconoscere l’ambivalenza (buono e cattivo).
  • L’Onnipotenza: modalità di pensiero infantile che si struttura nel persuadersi che il fatto stesso di pensare o desiderare qualcosa possa agire sul mondo esterno, tradursi in effetti irreali.
  • La Svalutazione : può essere considerata il contrario dell’onnipotenza, difatti il soggetto in questo caso si considera incapace di realizzare ciò che desidera.

 

Dott. Roberto Cavaliere

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AMARE SE STESSI

TEST SULL’AMORE PER SE STESSI

IN QUALE GIRONE DANTESCO DELL’AMORE TI TROVI ?

Inferno 
Non sono stato amato e quindi non mi amo. 
Ho bisogno d’amore ma ho paura d’amore. Vorrei essere amato ma ho paura di essere rifiutato un’altra volta. Non mi apro.
Non mi amo e quindi non riesco ad amare.
Vorrei amare, vorrei aprirmi ma ho paura di farlo, non sono capace di farlo, credo di non esserne in grado e allontano chi prova ad amarmi.
Non riesco ad amare e quindi non mi amano.
Non mi amano e quindi non mi amo… e il circolo continua. 

Purgatorio 
Non sono stato amato ma provo ad amarmi. 
Provo ad amarmi e provo ad aprirmi.
Mi apro e vinco la paura del rifiuto.
Prendo fiducia in me e mi apro un altro po’.
Mi apro e vedo che non è così terrorizzante, che si può fare.
E anche se non sono stato amato provo ad amarmi…
e il circolo progredisce.

Paradiso 
Mi amo perché sono stato amato. 
Mi hanno fatto sentire importante e adesso lo sento anch’io.
Mi amo e sono amato.
Gli altri sentono la mia positività e il mio valore che anch’io sento. Così è facile per loro amarmi e aprirsi.
E anche per me è facile aprirmi e farmi amare.
Sono amato e mi amo.
E più intesso relazioni d’amore e più sento che sono capace d’amare, che sono una persona preziosa e importante…
e il circolo continua.» 

(dal web)

 

 

Tratto da “L’arte di Amare” di Erich Fromm edito da Mondadori

“Amore per se stessi. Mentre non suscita nessuna obiezione l’applicazione del concetto d’amore a vari oggetti, è opinione diffusa che sia virtuoso amare gli altri e peccato amare se stessi. Si ritiene che nella misura in cui amo me stesso non posso amare gli altri, che l’amore per se stessi sia una forma egoistica d’amore. Questo punto di vista ha la sua origine nel pensiero occidentale. Calvino parla di amore per se stessi come di ” una peste “, Freud ne parla in termini psichiatrici, ma, nonostante ciò, il suo giudizio è uguale a quello di Calvino. Per lui, amore per se stessi significa narcisismo, libido verso se stessi. Il narcisismo è il primo stadio dello sviluppo umano, e la persona che in età adulta ritorna a questo stadio è incapace di amare; nel caso estremo è malata di mente. Freud parte dal presupposto che l’amore sia la manifestazione della libido, e che la libido sia o rivolta verso altri (amore) o verso se stessi (amore per se stessi). Amore per gli altri e amore per se stessi sono reciprocamente esclusivi, nel senso che più ve n’è di uno, meno ve n’è dell’altro. Se l’amore per se stessi è peccato, ne deriva che l’altruismo è virtù. Sorgono ora queste domande: L’osservazione psicologica sopporta la tesi che ci sia una contraddizione basilare tra l’amore per se stessi e l’amore per gli altri? È l’amore per se stessi lo stesso fenomeno dell’egoismo, oppure è l’opposto? Inoltre, è l’egoismo per l’uomo moderno un vero interesse per se stesso come individuo, con tutte le sue possibilità intellettuali, emotive e sensuali? Non è egli diventato un’appendice del suo ruolo economico-sociale? È il suo egoismo uguale all’amore per se stesso, oppure è cagionato dalla mancanza di esso?…

….Siamo ora arrivati alle premesse psicologiche sulle quali si fonda il nostro argomento. Generalmente queste premesse sono come segue: non solo altri, ma anche noi stessi siamo l’oggetto dei nostri sentimenti e attitudini; le attitudini verso gli altri e verso noi stessi sono fondamentalmente congiuntive Rispetto al problema in questione ciò significa: l’amore per se stessi si trova in coloro che sono capaci di amare il prossimo. L’amore, come principio, è indissolubile per quel che riguarda la connessione tra “oggetti” e noi stessi. L’amore genuino è un’espressione di produttività ed implica cure, rispetto, responsabilità e comprensione. Non è un “affetto” nel senso di essere amato da qualcuno, ma uno sforzo attivo per la crescita e la felicità dell’essere amato, dettato dalla propria capacità di amare.

Amare qualcuno è la realizzazione e la concentrazione dei potere d’amore. L’affermazione fondamentale contenuta nell’amore è diretta verso la persona amata come verso un’incarnazione di qualità essenzialmente umane. L’amore per una persona implica l’amore per l’uomo come tale. La “divisione del lavoro “, come William James la chiama, per cui un uomo ama la famiglia ma non sente niente per lo ” straniero “, è sintomo d’incapacità d’amare. L’amore dell’uomo non è, come generalmente si crede, una astrazione che viene dopo l’amore per una specifica persona, ma è la sua premessa, sebbene geneticamente la si acquisisca amando specifici individui.

Ne deriva che il mio io deve essere un oggetto di amore tanto quanto ogni altro essere. L’affermazione della propria vita, felicità, crescita, libertà è determinata dalla propria capacità di amare, cioè nelle cure, nel rispetto, nella responsabilità e nella comprensione. Se un individuo è capace di amare in modo produttivo, ama anche se stesso; se può amare solo gli altri, non può amare completamente.

Se l’amore per se stessi non è disgiunto dall’amore per gli altri, come ci spieghiamo l’egoismo, che ovviamente esclude qualsiasi interesse genuino per gli altri? L’egoista s’interessa solo di se stesso, vuole tutto per sé, non prova gioia nel dare, ma solo nel ricevere. Vede il mondo esterno solo dal punto di vista di ciò che può ricavarne; non ha interesse per le necessità degli altri, né rispetto per la loro dignità e integrità. Non può vedere altro che se stesso; giudica tutto e tutti dall’utilità che gliene deriva; è fondamentalmente incapace d’amare. Questo non prova che l’interesse per gli altri e l’interesse per se stessi sono alternative inevitabili? Sarebbe così se l’egoismo e l’amore per se stessi fossero la stessa cosa. Ma questa convinzione è l’errore che ha suscitato tante conclusioni errate riguardo il nostro problema. Egoismo e amore per se stessi, anziché essere uguali, sono opposti. L’egoista non ama troppo se stesso, ma troppo poco; in realtà odia se stesso. Questa mancanza di amore per sé, che è solo un’espressione di mancanza di produttività, lo lascia vuoto e frustrato. È solo un essere infelice e ansioso di trarre dalla vita le soddisfazioni che impedisce a se stesso di raggiungere. Sembra interessarsi troppo di sé, ma in realtà non fa che un inutile tentativo di compensare la mancanza di amore per sé. Freud sostiene che l’egoista è un narcisista, che ha concentrato su se stesso ogni capacità d’amore. P vero che gli egoisti sono incapaci di amare gli altri, ma sono anche incapaci di amare se stessi.

È più facile capire l’egoismo se lo si paragona ad un morboso interesse per gli altri, come lo troviamo, ad esempio, in una madre troppo premurosa. Mentre lei crede di essere particolarmente attaccata al suo bambino, in realtà ha una profonda, repressa ostilità per l’oggetto del proprio interesse. È eccessivamente premurosa, non perché ami troppo il proprio figlio, ma perché deve compensare la sua incapacità di amarlo.

Questa teoria sulla natura dell’egoismo è nata dall’esperienza psicoanalitica dell'”altruismo” nevrotico, un sintomo di nevrosi osservato in molti soggetti turbati non solo da questo sintomo, ma da altri ad esso connessi, quali la depressione, la stanchezza, l’incapacità di lavorare, il fallimento nei rapporti col prossimo, e via dicendo. Non solo l’altruismo non è considerato un “sintomo”; è spesso l’unico tratto positivo del carattere del quale i soggetti si vantano. La persona ” altruista ” non vuole niente per sé; vive solo per gli altri, si vanta di non considerarsi importante. È sorpresa di scoprire che, ad onta del proprio altruismo, è assai infelice e che i suoi rapporti con coloro che la circondano non l’appagano. Uno studio analitico dimostra che questo altruismo non è qualcosa di separato dagli altri sintomi, ma uno di essi, e spesso il più importante; che il soggetto è inibito nelle proprie capacità di amare e di godere; che è pieno di ostilità verso la vita e che dietro la facciata dell’altruismo si nasconde un sottile ma intenso egocentrismo. Questo individuo può essere curato solo se anche il suo altruismo è interpretato come un sintomo tra gli altri, in modo che la sua aridità, che sta alla base sia dell’altruismo che degli altri sintomi, possa essere corretta.”

 

TESTIMONIANZE

SONO ANCORA ALLA RICERCA DI ME STESSA Gentile Dott. Cavaliere,ho 43 anni e sono la più piccola di 4 figli…prima di me ci sono due sorelle più grandi e c’era anche un fratello da cui mi dividevano 8 anni di differenza ma col quale avevo una forte intesa… Di lui conservo dei ricordi ormai sbiaditi…Purtroppo, è stato proprio quello più TERRIBILE a rimanere indelebile nel tempo, nel cuore e nella mente: il suo suicidio. Quando si tolse la vita io avevo solo 11 anni.Pochi ma abbastanza per capire che quella tragedia avrebbe segnato me e la mia famiglia, per il resto della nostra esistenza. Data la mia giovane età all’epoca, non sapevo di cosa soffrisse precisamente ma era abbastanza evidente che fosse una persona fragile, insicura e depressa. I miei mi hanno sempre tenuta all’oscuro circa il disturbo di cui soffriva. Forse, non lo avevano capito neanche loro…l’ho capito io, invece, adesso che sto ripercorrendo le orme del suo stesso destino…Era innamoratissimo di una ragazza che non lo rendeva felice e che lo lasciò, con la motivazione di non voler sprecare la sua vita con uno che marchiò freddamente come un “malato di mente”…L’essere stato discriminato in maniera cosi’ brutale proprio dalla persona cui teneva di più al mondo e che aveva difeso oltre ogni limite, deve averlo ferito e umiliato in maniera inimmaginabile. Probabilmente, fu questo il motivo scatenante che lo spinse a compiere quel gesto estremo… Da quella maledetta notte in cui si gettò nel vuoto, anche la spensieratezza della mia fanciullezza è volata via con lui per sempre, lasciando dentro me un vuoto che mai si colmerà…Tra l’orrore del suo corpo fracassato sul marciapide allagato di sangue e le urla strazianti dei miei genitori, il CHIASSO del mio…silenzio. Ero impietrita, incapace di piangere o parlare… Mi sono ritrovata “grande” di colpo, catapultata in un mondo fatto solo di DOLORE, MORTE e DISPERAZIONE impressi nella mia coscienza con la stessa irruenza di un marchio a fuoco. La solitudine e l’incomprensione avevano reso il mio povero fratello vittima di un’illusione: il pensiero di “liberare” della sua presenza quelle stesse persone care che non lo avevano compreso e per le quali il suo problema era diventato un fardello troppo duro da sopportare… Adesso quel fardello è diventato il mio, che ancora oggi pago i risultati di una famiglia “normale”, solo in apparenza…Mio padre era ossessionato dal suo lavoro in cui concentrava tutte le sue energie, comprese quelle che avrebbe dovuto dedicare alla famiglia, ai suoi figli, nella smaniosa voglia di riscatto da un precedente crac finanziario subito dalla sua famiglia di origine. Mia madre, invece, è sempre stata una donna dedita all’accudimento dei figli ma schiava di mille insicurezze che mi ha trasmesso in toto e con scarsissima stima di sè in quanto del tutto sottomessa al marito da cui non è mai stata amata. Fra loro due, la figura autorevole di una sorella maggiore che non ha mai accettato la mia presenza e che, per gelosia nei miei confronti, mi ha sempre oppressa, fatta sentire inferiore a lei, screditandomi agli occhi degli altri pur di soddisfare la sua smania di protagonismo nell’ambito della famiglia. Da piccola, qualunque cosa io facessi o dicessi le risultava inevitabilmente SBAGLIATA e bastava un solo suo sguardo di disappunto per farmi raggelare il sangue nelle vene…All’età di circa 9 anni sperimentai anche la dolorosa esperienza dell’abbandono, quando i miei mi mandarono per lungo tempo in vacanza da una zia che conoscevo a malapena, residente in un posto molto lontano dal mio. A nulla valsero, allora, il profondo disagio che provavo e il desiderio di tornare a casa. Ho vissuto la mia adolescenza e la successiva giovinezza, trascinandomi dietro un mal di vivere che mi ha portato a isolarmi dal mondo, rimanendo sempre chiusa in casa e concentrando nello studio tutte le energie di cui ero capace. Di quel periodo, ricordo un episodio, in particolare, avvenuto subito dopo la tragica scomparsa di mio fratello, ad opera della mia “amica del cuore” di allora. Lei mi introdusse nella sua comitiva di cui faceva parte anche un ragazzo del quale mi innamorai perdutamente fin dal primo momento in cui lo vidi… il classico “colpo di fulmine”, insomma!!! La mia prima “cotta” fu qualcosa di indescrivibile per una come me “abituata” a tanto dolore…Avevo la sensazione di sentirmi abbagliata da una luce che veniva finalmente a rischiarare le tenebre in cui ero stata immersa, fino a quel momento. Mi sentivo come RINATA. Stavo tornando a riassaporare quel “gusto della vita” che avevo ormai dimenticato e, forse, mai conosciuto…Anche la mia “amica” si accorse di quel mio improvviso cambiamento ed io le rivelai il mio segreto, facendole promettere che rimanesse tale, per pudore, per timidezza ma anche perchè lui non sembrava affatto interessato a me. Un giorno, contro ogni mia aspettativa, vidi venirmi incontro proprio il ragazzo per il quale avevo perso la testa. Mi propose di uscire con lui…Io accettai ben volentieri, anche se non riuscivo a capire questo suo improvviso interesse nei miei confronti….Inutile dire quanto mi sembrava toccare il Cielo per quel SOGNO che sembrava realizzarsi! Invece, prima che me ne rendessi conto, lo vidi trasformarsi in un INCUBO, quando mi fu rivelato che si era trattato solo di uno “scherzo di comitiva”…La mia cara “amica”, cosi’ consapevole della mia triste situazione familiare, aveva pensato bene di divertirsi alle mie spalle facendo stracci della mia fragilità e facendomi diventare lo zimbello di tutta la Scuola…E’ stato come se mi avessero violentato l’ANIMA… Dal Paradiso sono ripiombata nel mio “familiare” INFERNO e, da quel momento, ho perso definitivamente la fiducia nel prossimo e la stima di me stessa…Le successive relazioni interpersonali sono state una dolorosa sequenza di insuccessi e di amori non corrisposti. A causa della mia assoluta incapacità di amarmi, sono sempre stata convinta del fatto di valere ben poco e di meritare altrettanto dagli altri. Solo dopo molto tempo ho capito che CHI NON AMA SE’ STESSO…NON PUO’ ESSERE AMATO DA NESSUNO, forse nemmeno da…DIO.”Ama il prossimo tuo COME te stesso”, ordina il 2° Comandamento ed io, sebbene molto credente, ho “violato” questa legge divina, interpretando quel “COME” in un “PIU’ DI ME”. E cosi’, con questa errata consapevolezza mi sono accontentata delle “briciole” che gli altri erano disposti a darmi, in cambio dell’esagerata attenzione che, al contrario, riversavo su di loro. Di uno, in particolare, ovvero di colui il quale sarebbe poi diventato mio marito, ho accettato persino il disamore, la glacialità tipica di un anaffettivo quale lui è, del tutto incapace di manifestare sentimenti per nessuno se non per…se’ medesimo. Anche lui ha vissuto un’infanzia difficile, trascorrendola gran parte in totale assenza di entrambi i genitori che, x motivi di lavoro all’estero, lo lasciarono alle cure della nonna e della zia “di turno”, dalla tenera età di 1 anno fino ai 7 anni, circa. Il disagio psicologico che è derivato da questa situazione è facilmente deducibile, anche sotto l’aspetto dell’identificazione sessuale…Fin dall’adolescenza, infatti, lui ha avvertito delle tendenze “omosessuali” che, però, non ha mai avuto il coraggio di accettare. Rifiutava l’idea di essere “gay”, anche perchè si sentiva attratto anche dal sesso opposto. Quando mi accorsi di questi suoi ambigui atteggiamenti, lo spronai a guardare in fondo a sè stesso per capire COSA intendesse fare della propria vita…Lo lasciai completamente libero di prendere le sue decisioni, senza alcun condizionamento da parte mia.Desideravo soltanto la SUA felicità, anche a costo di sacrificare…la mia. Ma lui scelse di stare con me.Ed io credetti alla veridicità dei suoi sentimenti nei miei confronti pur non provando mai la sensazione di sentirmi veramente desiderata da lui… MAI una carezza, una parola d’amore, un complimento…NIENTE!!!Al contrario, la sua freddezza ha sempre alimentato in maniera esponenziale le mie insicurezze, il mio bisogno d’amore e di approvazione… Sembrava fare l’esatto opposto di ciò che mi aspettavo da lui, non perdeva occasione per farmi sentire inadeguata…Ed io l’ho lasciato fare, convinta del fatto di non essere abbastanza “degna” da MERITARE le sue attenzioni, il suo amore… Quanto più detestavo me stessa, tanto più mi sentivo attratta da lui…Non esisteva NULLA al di fuori di lui e, soprattutto, ignoravo ME STESSA, la MIA VITA che stava avviandosi verso il suo totale annientamento… Giustificavo ogni sua grave mancanza autocolpevolizzandomi e sono arrivata ad accettare offese molto gravi che avrebbero indotto a reagire con decisione qualsiasi donna “normale” al mio posto… Mi sono sentita ripetere frasi del tipo: “Piuttosto che fare l’amore con te, preferisco farmi le…””Nessun uomo potrebbe desiderarti…” Non avrebbe potuto umiliarmi più di cosi’…Ma io, pur di non perderlo, ho fatto finta di ignorare queste pugnalate anche se hanno calpestato la mia dignità e alimentato una RABBIA infinita dentro me… Ma, sicuramente, lo sbaglio più imperdonabile l’ho commesso nel momento in cui ho concepito una figlia con lui… E’ arrivata, desideratissima, dopo ben 8 lunghissimi anni di sofferente attesa, dovuta anche alla scarso numero di rapporti sessuali consumati con mio marito, della cui precarietà mi sono sempre assunta tutte le responsabilità, comprese le sue… L’aver realizzato il sogno di creare una nuova vita sembrava rappresentare la “panacea” che avrebbe risolto tutti i nostri problemi e, invece, la situazione è precipitata ogni giorno di più… Siamo sposati da quasi 15 anni ma, di fatto, viviamo da circa 3 come “separati in casa” (anche se non ufficialmente) e, tra di noi, la comunicazione si è del tutto interrotta, pur non impedendoci di svolgere serenamente il nostro ruolo di genitori e dare cosi’ alla nostra bambina la consapevolezza di vivere in quella famiglia di cui ha diritto e bisogno. Ma sarei falsa se affermassi che la presenza della bambina è l’unico motivo che ci ha tenuto ancora insieme. Da parte sua, la scelta di non separarsi è anche dettata dalla “comodità” che questa situazione gli conferisce…Sta fuori praticamente quasi tutto il giorno, rientra solo per mangiare e pernottare… Da parte mia, invece, esiste solo da poco tempo la consapevolezza di essere DIPENDENTE da lui, non solo economicamente (non lavoro) ma anche e soprattutto emotivamente, che è molto più grave… Ho persino commesso l’errore di parlargli apertamente di questo mio “disturbo di personalità” ma, al posto della sua comprensione, ho ottenuto solo il suo ennesimo rifiuto, mi sono resa vulnerabile ai suoi occhi, facendolo sentire autorizzato a “dipingermi” come una psicopatica… Mi ha detto di essere disposto SOLO ad ascoltarmi e di come, in realtà, non avesse mai avuto la seria intenzione di condividere la vita con qualcuno… So che DEVO assolutamente uscire da questa situazione anche se non so ancora come…. Vivo nella costante angoscia di dover sperimentare, prima o poi, la solitudine più grande: l’assenza da..sè stessi. Quell’inquietante sensazione di vedere ogni cosa perdere di significato, la paura di vivere un futuro che appare ancora più ostile del presente… Ma, ciò che mi pesa più d’ogni altra cosa, è il terrore di deludere mia figlia, di leggere anche nei suoi occhi quella disapprovazione che conosco fin troppo bene… Sento crescere dentro di me la voglia di dire BASTA, il coraggio di ammettere il diritto di VIVERE la mia esistenza anche se continuo a cadere nella trappola dei miei continui ripensamenti, usando l’arte del rinvio… A fronte di una sua possibile relazione extraconiugale di cui sto venendo a conoscenza proprio in questi giorni, credo di non poter più rimandare la separazione e la cosa, purtroppo, mi getta nel panico. Pur avendo già intrapreso da un po’ di tempo un distacco emotivo nei suoi riguardi, ho l’impressione di veder amplificato il doloroso percorso della separazione che mi spetta, mi sento ancora troppo fragile per compiere un passo divenuto ormai inevitabile…Senza contare i sensi di colpa che mi affliggono al pensiero di dover coinvolgere, mio malgrado, anche mia figlia in questa decisione e del dolore che non potrò risparmiarle quando si renderà conto di non poter più godere di quel senso di protezione che deriva dalla convivenza con entrambi i suoi genitori. Vorrei solo riuscire a vivere, un giorno, in pace con me stessa, senza più chiedere a NESSUNO il permesso di farmi respirare…Mi chiedo se ciò sia mai possibile se, a 40 anni suonati, sono ancora alla ricerca di …me stessa. La ringrazio infinitamente per questo sito che dà voce al dolore interiore e la saluto cordialmente.

 

joy-division Età: 41 ….Ho dovuto lasciarla x il suo bene x il mio bene….eppure nel primo anno sembravamo due piccoli cuccioli pieni d’amore…Non voglio sembrare romantico ma e’cosi…. Non ho piu’ forza dentro di me… tutto si e’ dissolto….. lei non ha sopportato le mie paranoie e io le sue….la storia e’ durata 2 anni…. ma dentro di me ho fatto la scelta giusta…non so qual’e’ la medicina giusta o la persona che possa aiutarmi…. una cosa pero’ la so’ questo e’ un calice amaro che berro’ da solo…. ma l’amore e’ cosi da…. e toglie…ho ricordi bellissimi notti d’amore eterne… ma litigi…. mancanza di rispetto urla e via di seguito…e non e’ giusto sia x me che x lei….vorrei correre da lei ma non e’ giusto purtroppo… xche’ l’amore vero e’ diverso…. io non so da dove cominciare ma dovro’ ricominciare come tutti quelli che stanno per ricominciare…. da un amico da un gatto dalla propria madre ma ricominciare…scrivo queste cose con la speranza che quando rileggero’ tante tante volte un giorno possa richiamarla come amico… e’ ridere insieme ma ora no… c’e’ rabbia odio astio xche’ c’e’ amore… ora. Il consiglio che mi do’ ora e’ che ho bisogno di tempo di amici cari di familiari….e di casa mia… So che questa ultima esperienza mi aiutera’ ha crescere pero’ che fatica ragazzi…… facciamoci forza custodiamo tutti i nostri ricordi d’amore xche’ l’amore e l’unica forza della nostra vita anche se ci devasta.. ne vale sempre la pena e anche x questo amore morto ne valsa la pena… sempre sempre…. complimenti dottore x questo sito è stupendo …. Spero che se un giorno incontrero’ il mio amore sia vero….. altrimenti coltivero bonsai e gatti….un abbraccio atuti voi…..e x primo amiamoci noi stessi e dopo forse saremo in grado di amare il prossimo… grazie a tutti voi

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

DONNE IN RINASCITA

Donne in rinascita

Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.

Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.

Che uno dice: è finita. No, finita mai, per una donna.

Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.

Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti da la morte o la malattia.

Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l’esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.

Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai se sei all’altezza o se ti devi condannare.

Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai. E sei tu che lo fai durare.

Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo; che sei terrorizzata che una storia ti tolga l’aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s’infiltri nella tua vita.

Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane.

Sei stanca: c’è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.

Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa. Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre: “Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così”.

E il cielo si abbassa di un altro palmo. Oppure con quel ragazzo che ami alla follia.

In quell’uomo ci hai buttato dentro l’anima; ed è passato tanto tempo, ce ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata.

Comunque sia andata, ora sei qui e so che c’è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.

Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.

Ed è stata crisi. E hai pianto. Dio quanto piangete!

Avete una sorgente d’acqua nello stomaco. Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino.

Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo. E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l’aria buia ti asciugasse le guance? E poi hai scavato, hai parlato. Quanto parlate, ragazze!

Lacrime e parole. Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore. “Perché faccio così? Com’è che ripeto sempre lo stesso schema? Sono forse pazza?” Se lo sono chiesto tutte.

E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli.

Un puzzle inestricabile. Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?

E’ da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai. Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.

Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova te.

Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa.

Non puoi più essere quella di prima. Prima della ruspa.

Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.

Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel.

Parte piano, bisogna insistere. Ma quando va, va in corsa.

E’ un’avventura, ricostruire se stesse. La più grande.

Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.

Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo “sono nuova” con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo.

Perché tutti devono capire e vedere: “Attenti: il cantiere è aperto.

Stiamo lavorando anche per voi. Ma soprattutto per noi stesse”.

Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia.

Per chi la incontra e per se stessa.

È la primavera a novembre. Quando meno te l’aspetti.

Jack Folla – da una trasmissione di Jack Folla

 

TESTIMONIANZA

DALLE NEBBIE DEL PASSATO…

 

Dalle nebbie del passato…

Ciao, sconosciuto

l’anno passato è andato via per sempre, e con lui sono scomparse tutte le cose che vi hanno appartenuto.

Lascio a lui, tutto ciò che non mi serve portare nel mio futuro: una donna che non esiste più.

Chi percorrerà la strada del futuro sarà una nuova donna, ricostruita, che guarda al suo futuro con serenità. Al vecchio anno e tutto sommato, forse anche a te, debbo solo un ringraziamento, ed è questa la ragione di questo scritto: quello di avermi “aiutato” a realizzare la donna che ora sono diventata.

La donna del passato è morta con lui, e tu con lei.

La donna che è rimasta a percorrere il resto della sua vita è quella vera, quella che non sapevo di essere, quella che …

NON TI HA MAI AMATO.

Che non ti avessi mai amato l’ho scoperto dopo,….. dopo la tua fuga.

Se avessi saputo allora ciò che ho capito dopo e che adesso so, tanti errori frettolosi e impulsivi, non li avrei commessi, e mi sarei risparmiata una montagna di parole inutili, di soldi buttati , di inutili umiliazioni sopportate e per cosa…? Neanche per amore.

Non ti ho amato per amore, ma avevo soltanto bisogno di essere amata, di sentire l’affetto di qualcuno, che qualcuno tenesse a me in una fase della mia vita per me molto difficile e complicata, anche se tu questo non lo hai mai saputo.

Non ti ho amato come si deve amare un uomo, perchè si amano degli aspetti della persona e si imparano ad apprezzarne per amore anche i difetti.

Non ricordo di te cosa mi piacesse, o perché ho creduto di provare dei sentimenti invece inesistenti nei tuoi confronti, so soltanto che mi sono imposta di farlo, perché non volevo affrontare da sola un vuoto interiore che mi portavo dentro da una vita intera e cercavo qualcuno che me lo colmasse.

Ho creduto di amarti soltanto per il bisogno di essere amata, per colmare quell’immenso vuoto interiore che la mancanza di affetto di mio padre mi aveva creato. Ho visto in te un padre, una persona più matura, ho creduto sbagliandomi che tu fossi la persona che mi potesse dare protezione e sicurezza, ciò che non avevo mai avuto, e che riscattasse quell’amore che mio padre mi aveva negato o per incapacità a provarlo o per incapacità a dimostrarlo. Avevo bisogno di sentire il calore di una famiglia vera. Quella famiglia affettuosa e numerosa che la mia non era stata. Per anni della mia vita, ho ricordato i loro litigi, e per anni della mia vita ho ricordato la solitudine dei miei Natali da bambina. Volevo quei Natali che non avevo avuto da bambina, quel senso del calore familiare, volevo mangiare le castagne davanti a un caminetto tutti insieme, ignorando che stavo ricopiando un copione che non mi apparteneva, che avevo adottato per me una famiglia che, per quanti sforzi facessi non mi avevano accettato e non lo avrebbero fatto mai. Pur di essere amata da qualcuno, ero disposta a coprirmi gli occhi di prosciutto per non vedere te, per non vedere e ammettere ciò che realmente sei, ciò che non viene fuori di te all’apparenza, ciò che nascondi e celi agli occhi della gente, quello che viene fuori col tempo , quando ti si conosce meglio, ciò che non ammetti di te neanche a te stesso…, ciò che soltanto io ho avuto il tempo di capire.

Tu per me, sei stato soltanto un’opportunità: quella di riscattare il mio passato, quella di uscire insieme ai miei figli, fuori di casa mia dove non sono mai stata bene, dove i conflitti con i miei genitori continuavano, dove la mancanza di un lavoro in quel momento, mi ha reso ancora più fragile e bisognosa di scappare via da quella casa, fuggendo con un uomo che invece non amavo per amore ma per puro bisogno. Non comprendendo che non si può far finta di amare un uomo soltanto per avere ciò che ti è mancato da un padre e ciò che non ti è stato dato, che le ferite lasciate dalla mancanza di un padre non si possono sanare sostituendo il padre con un altro uomo che tra l’altro è una perfetta sua fotocopia: impulsivo, nevrotico, incapace di amare gli altri perché non ama prima se stesso, insicuro, che non ha autostima. Sicuramente tu non eri in grado di darmi nulla, ma soprattutto tu non avresti mai potuto darmi ciò che era mancato a me. Tu, così fragile, e spaurito, pieno di conflitti interiori e contraddizioni mai risolte, di sensi di colpa, bisognoso di una donna soltanto perché temi la SOLITUDINE COME LA MORTE.

Adesso che invece ho compreso cos’era quel vuoto che mi faceva sentire così bisognosa di un qualcuno che mi amasse, non cerco più nessuno che mi colmi quel vuoto, che mi dia affetto e che mi faccia sentire protetta, perché ho capito che nessuno mi potrà apprezzare e rispettare e proteggere più di quanto mi apprezzi, mi rispetti e mi stimi io. Adesso, chi sceglierò per starmi accanto sarà soltanto per puro amore, e non per necessità o per paura della solitudine che ho scoperto di amare e di apprezzare.

Ho scoperto, che nulla ti fa soffrire di più e ti fa sentire sola che lo stare con un uomo che ti fa sentire sola pur stando con lui. Come hai fatto tu.

Ho scoperto che anche quando si è da soli, non si è mai da soli se si sta bene con se stessi.

Oggi riconosco il suono della voce di chi sono, dentro di me rinasco e frego la malinconia, amo e apprezzo la libertà che mi sto guadagnando giorno dopo giorno, mi sento finalmente libera e disinibita di scegliere chi voglio se ne ho voglia, quando voglio, e non per forza per amore , la libertà mentale di vivermi quel momento serenamente soltanto perché quel momento è quello giusto, domani è un altro giorno…

Ho scoperto il piacere di essere corteggiata, e cercata, ho scoperto quanto amo sedurre, bella come non mai, cammino fianco a fianco col mio destino, occhi dritti fissi all’orizzonte, al passato lascio solo delle impronte.

A te, sconosciuto, ringrazio per avermi ridato la LIBERTA’.

La libertà di avere un’altra VITA.

Di aver e la possibilità di incontrare un altro uomo , da amare veramente e per i motivi giusti e con maturità, se è scritto nelle linee della mia mano, la possibilità di avere un destino diverso dalla prigione che mi ero imposta scegliendo te, un uomo sbagliato, scelto per i motivi sbagliati, intrappolata in una vita che non mi si adattava solo per paura della solitudine.

Naturalmente so bene che non ti interessa ciò che ho scritto, ti conosco abbastanza bene per capire che la tua mente non è così elevata da comprendere, che vedi solo ciò che ti fa comodo, e non vedi ciò che ti fa scomodo, e che per te sono soltanto parole nere su un foglio bianco. Ma a me non interessa ciò che pensi, a me interessa solo sapere di averlo fatto.

Non apprezzo il modo poco coraggioso con il quale hai rotto la nostra relazione: chi ha agito era ed è un uomo senza palle la cui viltà, e vigliaccheria ha reso aggressivo, quando invece avrebbe potuto usare la civiltà e il rispetto delle semplici parole. Quel che si chiama comunicare un disagio. Ed è perciò che sei al patibolo.

Ma….IRONIA DELLA SORTE, nonostante le modalità, devo anche ringraziarti per averlo fatto, perché è stato proprio grazie alla tua cecità, alla tua decisione schizzofrenica e frettolosa e alla tua totale inconsapevolezza delle azioni, che ho potuto avere il dono più grande che potessi farmi: LA MIA RINASCITA, e riacquistare la POSSIBILITA’ DI AVERE UN’ALTRA SCHANS DI VITA CON UN UOMO da amare per amore e non per bisogno, LIBERANDOMI DI TE E DELLA VITA CON TE SENZA SENTIRMI IN COLPA DI AVER PRESO IO LA DECISIONE.

Ti Lascio. Ritorna alle nebbie e alle tenebre del passato , come cenere alla cenere e polvere alla polvere, non sei neanche più un ricordo. Sono lontana. Vado verso la vita…

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

AUTOTERAPIE SULLE DIPENDENZE AFFETTIVE E RELAZIONALI

Dobbiamo imparare che non è possibile essere amati da tutti. Questa è un’ipotesi puramente idealistica, difficilmente attuabile nella società umana. Possiamo essere la prugna più succulenta del mondo, dolce, succosa, matura; ed essere pronti offrirla a un altro, chiunque egli sia. Ma al tempo stesso dobbiamo ricordare che non a tutti piacciono le prugne. Dobbiamo capire che, se siamo la prugna più succosa e matura del mondo e qualcuno che amiamo non apprezza le prugne, possiamo sempre scegliere di diventare una banana. Certo, saremo sempre una banana, ma niente ci impedisce di continuare ad essere la miglior prugna del mondo. Dobbiamo tener presente che, se decidiamo di essere una banana di seconda scelta, corriamo il rischio che la persona amata ci consideri a sua volta di seconda scelta, e che, decisa ad avere solamente il meglio, decida di scartarci piantandoci in asso. Ci resta la possibilità di lottare tutta la vita per diventare la miglior banana – cosa impossibile se siamo una prugna- oppure possiamo continuare a sforzarci di essere la miglior prugna. Leo Buscaglia – “Love”

 

Di seguito suggerisco una breve terapia cognitiva-comportamentale (oggetto d’approfondimento nei corsi e seminari maldamore) utile a contrastare la propria dipendenza affettiva. La prima cosa da fare per cercare d’interrompere uno stato di dipendenza affettiva o relazionale e’ accettare di essere dipendenti. Rimanere nel presente e accettare la vostra dipendenza vi aiuterà ad eliminarla.

Le indicazioni da seguire sono:

  • TEMPO. Innanzitutto la prima terapia è il TEMPO. Qualsiasi tipo di “terapia” voi intraprendiate dovete concedervi tempo, non potete pretendere che il tutto avvenga velocemente. Il tempo vi aiuterà anche a lenire le ferite.
  • ACCETTARE LA PROPRIA DIPENDENZA. Fondamentale è accettare di essere dipendenti, non solo con la testa, ma anche con il cuore. Per realizzare ciò acconsentite a ricevere la vostra dipendenza. Accoglietela salutandola. Dite a voi stessi: “l’accettero’ con piacere”. Decidete di accettare l’esperienza. Non combattetela. Sostituite il rifiuto, la collera e l’odio con l’accettazione. Resistendo, ne prolungate gli aspetti spiacevoli. Invece, lasciatela fluire. Non si può risalire un fiume andando controcorrente. La dipendenza fa parte di voi; combatterla e’ come combattere contro una parte di se’.
  • OSSERVATE LA VOSTRA DIPENDENZA. Guardatela senza giudizio, ne’ buono ne’ cattivo. Non guardatela come un ospite indesiderato. Invece valutatela (ad esempio in una scala da 0 a 10) e osservatela salire e scendere. Osservate e guardate i livelli massimi e minimi della vostra dipendenza e osservate le situazioni che la fanno aumentare o diminuire. Siate distaccati. Ricordate, non siete la vostra dipendenza. Piu’ separate voi stessi dall’esperienza, piu’ potete osservarla. Guardate i pensieri, le sensazioni e le azioni come se foste un amico ma non troppo interessato. Dissociatevi dalla dipendenza. Siate nello stato di dipendenza ma non fatene travolgere. Cercate di avere un atteggiamento distaccato e dissacrante magari ironizzandoci.
  • ASPETTATEVI IL MEGLIO. Cio’ che piu’ temete raramente accade. Tuttavia, non siate sorpresi la prossima volta che avete dipendenza. Invece, sorprendete voi stessi col vostro modo di trattarla. Liberatevi dalla convinzione di aver sconfitto la dipendenza per sempre. Aspettandovi la dipendenza in futuro, state mettendovi in una buona posizione per accettarla diversamente quando verra’ di nuovo.
  • NON SOFFOCATE IL DOLORE. I sintomi della dipendenza che state sperimentando non sono impossibili. Il polso che corre o il cuore che batte, il desiderio di gridare o piangere o battere sul tavolo: nessuna di queste reazioni fisiche o emotive indica che la persona non può uscirne. Sono spiacevoli. Sono dolorosi. Ma possono essere tollerati fino a che vanno via. E andranno via.
  • Cercate di distrarvi, utilizzate la TECNICA DELLA DIVERSIONE. Concentratevi sui particolari e i dettagli di quello che vi circonda che non hanno nessuna relazione con la vostra dipendenza; magari descriveteli a voce alta. Raccogliete le forze che vi rimangono per buttarvi a capofitto in un attività che vi interessa Farete passare il breve momento acuto della dipendenza affettiva che vi ha preso e vi sentirete meglio dopo poco tempo.
  • FISSATE PICCOLI OBIETTIVI. Fate una cosa proponendovi solo piccoli passi da effettuare e siate contenti dei piccoli risultati ottenuti. Se non siete in grado di completare una prova vuol dire che ancora e’ troppo per voi. Ci arriverete passo per passo. Esiste sempre un piccolo passo che potete affrontare e risolvere.
  • IMPARATEA DIRE DI NO. Spesso chi soffre di dipendenza affettiva non sà dire di no a qualsiasi richiesta della persona amata. Ponetevi l’obiettivo di incominciare dire nò, partendo dalle piccole cose quotidiane. Sarebbe preferibile dire di nò senza giustificarsi, ma se proprio non si ci riesce all’inizio trovate una possibile giustificazione, che però dovete “affermare” senza che l’altro possa, in qualunque modo, replicarvi. Utile è anche ripetere il no e la sua giustificazione a sè stessi, quasi finchè non diventi un assioma incofutabile.
  • RIPETETE LA STRATEGIA. Continuate ad ACCETTARE LA VOSTRA DIPENDENZA, a OSSERVARLA, ad AGIRE CON ESSA fino a che si attenuerà a un livello accettabile. E sara’ cosi’, se continuerete ad accettarla, osservarla e accompagnarla. Continuate a ripetere queste regole e vedrete che in poco tempo migliorerete allenandovi e rinforzandovi nelle vostre capacita’ di affrontare la dipendenza.

Ma sopratutto fate a voi stessi queste 10 promesse e cercate di mantenervi fede.

1 Mi lascio il passato alle spalle
2 Le mie future relazioni andranno in maniera diversa da quelle passate
3 Posso essere attratta/o da qualcuno/a senza innamorarmi subito
4 Se l’amore mi travolge cerco di non diventarne dipendente
5 Non controllo chi amo e non mi lascio controllare
6 Non mi lascio coinvolgere da persone irraggiungibili
7 Abbandono chi non mi rende felice e chi mi tratta male
8 Non faccio per gli altri quello che devono fare da soli
9 Voglio bene a me stesso/a nella stessa misura in cui amo gli altri
10 Cerco la motivazione, la volontà e la forza di cambiare.

 

Altro esercizio utile da effettuare è il seguente:

IO MI APPROVO E MI ACCETTO

Per le prossime 4 settimane ripetete a voi stessi, in qualsiasi momento libero della giornata “IO MI APPROVO E MI ACCETTO”.

  • Ripetete questa affermazione, il più possibile senza timore di esagerare, senza aver il timore di sembrare stupidi o di considerare stupida l’affermazione. Se anche avrete questa sensazione all’inizio, col tempo e colla “ripetizione” sentirete l’affermazione come vostra, vi apparterrà naturalmente.
  • Il ripetere l’affermazione farà riemergere tutte le affermazioni al “negativo” che vivono dentro di voi.
  • Man mano che riemergono le affermazioni negative del tipo: “Sei uno stupido”, “Non piaci fisicamente alle persone”, “Meglio che rimani da solo” , affrontatele, mettetele in discussione. Ditevi: “Non è vero” seguito dalla vostra affermazione.
  • Se le vostre affermazioni “negative” sono più forti, lasciatele fluire all’inizio. Col tempo e coll’esercizio perderanno sempre più vigore.
  • Affermate la vostra approvazione ed accettazione, indipendentemente dal giudizio altrui.
  • Liberarci dal giudizio degli altri permette di esprimere la propria individualità. La nostra individualità e la migliore risorsa che abbiamo per affrontare le difficoltà della vita.
  • Non accettate incondizionatamente i consigli altrui. Potrebbero procurarvi, involontariamente, effetti negativi sulla vostra personalità, sviluppare un senso di dipendenza dagli altri. E’ una forma mascherata del non accettarsi. A chi è prodigo di consigli nei vostri confronti ripetetegli la massima di Galilei: “Non puoi insegnare nulla ad un uomo, puoi solo aiutarlo a scoprire ciò che ha dentro di sé”.
  • Non cercate di somigliare a nessun’altro, rispettatevi ed amatevi nella vostra individualità.
  • Ricordate che se non ci approviamo ed accettiamo noi per primi, difficilmente potranno farlo anche gli altri. Noi trasmettiamo, incosapevolmente, alle persone che ci circondano la stessa idea che abbiamo su di noi. Se ci approviamo ed accettiamo anche gli altri percepiranno ciò di noi.

 

Tutte le terapie ed autoterapie presenti in tale sezione sono da considerarsi puramente indicative e non sostituiscono, lì dove ne ricorre la necessità, terapie tradizionali da effettuarsi con figure terapeutiche di pertinenza.

Le stesse indicazioni terapeutiche ed autoterapeutiche sono oggetto d’approfondimento nei Corsi e Seminari MALdAMORE

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RICHIESTA DI CHIARIMENTI INVIATA DA UNA PARTECIPANTE AD UN SEMINARIO (le riposte sono in corsivo)

Seminario Progetto Maldamore Dott. Cavaliere.

22-23 Novembre 2008

QUESITI :

Vorrei da Lei queste risposte:

1. Quanto sono “dipendente”, ovvero quanto grave è la mancanza di affetto che ho incamerato in passato?

La dipendenza non si può misurare, varia in relazione alla persona ed allo stato soggettivo di sofferenza che prova. Valutandola in maniera relativa (in riferimento alla sua persona) la sua dipendenza è abbastanza seria. In termini assoluti (in riferimento ad altri casi che ho visto) lo è di meno

2. Quanto è bassa la mia autostima? Ed ha senso lavorare sulla mia autostima? (in passato mi è stato suggerito un percorso di accrescimento di stima verso la figura maschile piuttosto che su di me)

Non ritengo che la sua autostima sia bassa. Concordo col suggerimento che le hanno dato in passato. Lei verso la figura maschile prova molta rabbia inespressa.

•  Sto facendo tutto il possibile per uscirne?

Ritengo che stia facendo molto per uscirne. Fra l’altro è venuta anche al seminario. Purtroppo a volte la colpa non è solo individuale ma anche del contesto in cui si vive. Quest’ultimo non l’aiuta ad uscirne del tutto.

Dubbi:

1. “Amare se stesse” per colmare il bisogno interiore, avere cura della propria “bambina” che piange e protesta per il non amore ricevuto………per avere esigenze affettive più basse e più facili da soddisfare per chiunque incontreremo. (Anche se tra le principali “regole” di buon senso per una coppia c’è anche di “esprimere” l’affetto anche nella quotidianità, magari con un piccolo gesto imprevisto, una telefonata, un abbraccio imprevisto); Ci stiamo prendendo in giro da sole???

2 Ho la sensazione di aver ricominciato ogni storia con molta diffidenza, per non soffrire più, con la consapevolezza di “volere sempre qualcuno che non mi vuole”, attendendo con pazienza solo una insistente decisione dell’altro per potermi lasciar andare, con alcuni episodi addirittura di imbarazzo mio personale (tutto dire) per la mia non adeguata risposta al loro interesse. Eppure il mio inconscio si era accorto che fingevano…..ed erano antidipendenti??? Come farò la prossima volta a non farmi ingannare dal mio inconscio????

3.Se le premesse di un rapporto sono condivisione di valori, di passioni, di attrazione, di intimità…….ma minata dalle proprie ferite, quanto è giusto insistere per trovare soluzioni possibili per sostenersi nell’accettare e gestire le proprie vulnerabilità reciprocamente? Mi rispondo sola: fino a quando la qualità della vita è ancora in positivo (unico vero campanello il fisico che esprime realmente la nostra anima; la mente …mente!!)

I suoi dubbi sono legittimi e non vanno risolti. Fanno parte del processo terapeutico. Anzi se mi autorizza li pubblico sul sito in maniera anonima perché significativi ed utili

Interessi e passioni

Passato e presente: danza, animali, musica, giardinaggio, sapori, natura, odori, yoga, reiki, viaggi, evoluzione della coscienza,

Presente e futuro: spazio alla mia libertà espressiva e creatività sopita (teatro, pittura, imparare uno strumento musicale, partecipare a progetto di volontariato all’estero, scrittura di un opera teatrale…….)

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

TERAPIA DELLE DIPENDENZE AFFETTIVE E RELAZIONALI

CARATTERISTICHE DEL PROCESSO DI GUARIGIONE E DIPENDENZA:

ammettere l’incapacità di controllare la malattia-cessare di fare la colpa dei propri problemi agli altri – concentrarsi su se stesse, assumendosi la responsabilità delle proprie azioni-cercare l’aiuto dai propri pari-cominciare ad affrontare i propri sentimenti invece di ignorarli ed evitarli-formare un circolo di amiche con interessi sani.

Quando incominciate a rinunciare a controllare chi vi sta vicino, potete realmente provare la sensazione fisica di cadere da una rupe.

Quando liberate gli altri dai vostri tentativi di controllarli,la sensazione di non avere più il controllo di voi stesse può essere allarmante. Ricordate che nessuno ha il potere di cambiare un altro, tranne la persona stessa. Concentrate le vostre energie sul compito di aiutare voi stesse.Rimarrà sempre la tentazione di cercare ancora fuori di voi una ragione di vita. Reprimete questa tendenza e continuate a concentrarvi su voi stesse.

Quasi tutta la follia e la disperazione che vi invade viene direttamente dai vostri tentativi di dirigere e controllare qualcosa che non è in vostro potere.

Finchè non ci assumiamo la piena responsibilità delle nostre decisioni, scelte, vita, felicità non siamo esseri umani pienamente maturi, ma restiamo delle bambine dipendenti e spaventate in un corpo da adulte. Diventando meno bisognose d’affetto, è più facile che i nostri bisogni vengano soddisfatti.

Donare il nostro amore senza aspettarci niente in cambio è la cosa più naturale (e giusta) da fare.

Quando finalmente ci limitiamo ad “essere” invece di “fare” ci sentiamo imbarazzate e molto vulnerabili. La mutua commiserazione come criterio di amicizia deve essere rimpiazzata da mutui interessi molto più remunerativi. Donne che amano troppo – Robin Norwood – Feltrinelli Editore

 

Innanzitutto la prima terapia è il TEMPO . Qualsiasi tipo di “terapia” voi intraprendiate dovete concedervi tempo, non potete pretendere che il tutto avvenga velocemente. Il tempo vi aiuterà anche a lenire le ferite. Inoltre, potrebbe essere utile non iniziare, come spesso succede, una terapia durante le fasi più acute. Si rischia di fallire in partenza.

Ogni terapia sulle dipendenze affettive deve passare attraverso tre fasi.

La prima fase è quella della “consapevolezza” . In questa fase ci si rende conto che si vive una relazione “sbagliata” sotto tutti i punti di vista, e si intende porvi fine.

La seconda fase è quella della “richiesta d’aiuto”. Anche se potrebbe essere presente la tentazione di riuscire da soli, invece è indispensabile ricercare l’aiuto di persone che si stima e ritenute in grado di supportare. Anche, perchè, così, senza volerlo, ci si responsabilizza maggiormente a proseguire il cammino intrapreso sulla strada della guarigione. Infatti diverso è se si deve rendere conto solo se stessi se si cambia idea, diverso è se bisogna rendere conto anche agli altri.

La terza fase è quella del “recupero” . In questa fase è richiesto il massimo impegno nel perseguire la “guarigione”. In questo periodo bisogna cercare di cambiare il modo di agire, pensare e sentire. Si entra nella fase vera e propria del recupero solo quando si incomincia a fare scelte che non ricalcano più i vecchi comportamenti.

Qui di seguito propongo una sorta di decalogo propedeutico alla terapia sulle dipendenze affettive.

  • Accettare se stessi completamente, pur nella consapevolezza che bisogna cambiare parti di sé.
  • Accettare gli altri per come sono, senza volerli cambiare per appagare i propri bisogni.
  • Avere coscienza dei propri sentimenti e atteggiamenti in ogni aspetto della propria vita.
  • Amare ogni aspetto della propria personalità senza cercare nella relazione il valore di sè stessi.
  • La propria autostima deve essere sufficiente a permettere di godere della compagnia dell’altro sesso, che vanno accettati per come sono. Non è necessario che qualcuno abbia bisogno di voi per sentirvi bene.
  • Bisogna permettere ad altri di conoscervi a livello profondo senza però permettere lo sfruttamento da parte di chi non è interessato alla vostra felicità.
  • Porsi la domanda se la relazione che si stà vivendo è idonea per voi, se permette di sviluppare le vostre potenzialità.
  • Se tale relazione vi distrugge bisogna avere la capcità di interromperla senza cadere in una sorta di stato depressivo. Fondamentale è la presenza di un gruppo di sostegno di amici e di interessi sani che vi permettano di superare la crisi.
  • Porre la propria serenità al centro di tutto. Lotte, drammi, caos non hanno nessun fascino se non sono finalizzate al raggiungimento della propria serenità.
  • Adottare l’aforisma : “Amarsi non è guardarsi l’un l’altro,ma è guardare insieme nella stessa direzione”. L’aforisma và inteso nel senso che la relazione deve avvenire fra persone che condividano simili valori, interessi ed obiettivi come coppia, al di là di quelli individuali.
  • Aspettare che il grande medico “il tempo” sani qualsiasi ferita. Il superamento di una dipendenza affettiva o della fine di una relazione, richiede due diversi tempi, secondo una concezione greca del tempo. Cronos che è il tempo cronologico, quello delle ore, dei giorni e dei mesi. Lo scorrere di Cronos e importante per superare una problematica affettiva. L’altro concetto di tempo è Kairòs che è un tempo individuale , un tempo necessario per dire “basta”, vale a dire il tempo del cambiamento interno. E’ in quel momento che ci si rende conto che è tempo di voltare pagina. Anche sul piano dell’elaborazione personale, distinguiamo un elaborazione esterna, più superficiale e di facciata, ed una interna, più profonda ma anche più dolorosa, che porta alla vera accettazione della dipendenza o problematica affettiva premessa per il suo effettivo superamento.Sta a noi dare il “giusto tempo”.

Sopratutto, nel frattempo, bisogna fare qualcosa di positivo per sé stessi, per riempire il vuoto della mancanza della persona amata. Non si può interromepere un rapporto di dipendenza senza sostituirgliene un altro che ne prenda il posto. La nuova dipendenza, deve essere positiva: bisogna cercare un nuovo forte interesse, che non riempirà appieno il baratro lasciato dal precedente, ma ci aiuterà comunque.
La natura umana aborrisce il vuoto,soprattutto nell’area dei comportamenti e delle emozioni umane. Se non colmiamo, pur parzialmente, questo vuoto, il comportamento dipendente si rafforza.

Dott. Roberto Cavaliere

Tutte le terapie ed autoterapie presenti in tale sezione sono da considerarsi puramente indicative e non sostituiscono, lì dove ne ricorre la necessità, terapie tradizionali da effettuarsi con figure terapeutiche di pertinenza.

Le stesse indicazioni terapeutiche ed autoterapeutiche sono oggetto d’approfondimento nei Corsi e Seminari MALdAMORE

RICHIESTA DI CHIARIMENTO DI UNA LETTRICE

… il suo sito, l’ho quasi stampato tutto, tanto mi sono ritrovata in quello che ha detto! Ho fatto leggere anche alle mie amiche “codipendenti” quello che ha pubblicato e ne abbiamo discusso insieme. Un punto solo vorrei discutere con lei. Non sono d’accordo quando dice:”Non si può interrompere un rapporto di dipendenza senza sostituirgliene un altro…bisogna colmare il vuoto”. Ma le persone non sono intercambiabili! Se penso poi che ciò potrebbe essere applicato a me stessa, cioè visto che non ci sono più io va bene anche un’altra, la cosa mi fa rabbrividire…Ma come si può sostituire un rapporto fatto di anni di conoscenza, condivisione, familiarità, intimità con un’altra banale esperienza? E poi c’è anche il corpo. Io amo quegli occhi, quelle mani, quella pelle che per me sono insostituibili e, come lei ben sa, sono maggiormente tali in quanto mi vengono negati. Poi c’è anche il fatto che sento dentro che la fonte d’amore si è esaurita, dopo aver amato tanto. Ad un certo punto, come si fa a ricominciare ad amare? Penso sia impossibile. Le sarò grata se mi manderà una sua risposta.

 

Apprezzo il suo “disaccordo” perché ritengo che soprattutto nel campo delle dipendenze affettive, nessuno può dire di avere la “cura” giusta. Per cui le replico con piacere e la ringrazio per lo “spunto riflessivo” che mi ha fornito. Innanzitutto il punto con cui lei è in dissaccordo è il seguente: “Non si può interrompere un rapporto di dipendenza senza sostituirgliene un altro che ne prenda il posto. La nuova dipendenza,deve essere positiva però, bisogna cercare un nuovo forte interesse, che non riempirà appieno il baratro lasciato dal precedente, ma ci aiuterà comunque.” Quindi, quando parlo di sostituire la dipendenza affettiva con un’altra, intendo un altro tipo di dipendenza, questa volta sana. Infatti interrompere una dipendenza affettiva che ci ha “assorbito” in tutto e per tutto, ci precipita in un vuoto, o meglio in un baratro, che rischia di far fallire in partenza qualsiasi tentativo stesso, per quanto motivato, di superare la fine della relazione. Se noi tendiamo di colmare questo vuoto, questa dipendenza, non con un’altra persona (e qui che, forse, non sono stato chiaro)ma con una forma di dipendenza “sana” il vuoto ci apparirà meno vuoto. Un esempio: di solito le persone affette da “dipendenza affettiva” sono piene di mille risorse, di mille potenziali interessi, tutti “sedati” dalla dipendenza stessa. Rispetto al “portone sprangato ” della relazione che si è chiusa proviamo ad aprire il “piccolo oblò” del nostro vero essere. Cerchiamo di dipendere da noi stessi, dai nostri interessi sopiti, optiamo per un “sano egoismo”. Smettiamo di parlare con gli altri di “lui”, ma parliamo di “noi”, dedichiamoci a “noi”. Ci renderemo conto che da quell piccolo oblò potremmo arrivare a vedere un mondo per noi sconosciuto. Belle parole mi dirà, ma difficili da applicare di fronte al dilagare del dolore per la fine di un’amore. Incominciamo a fare dei piccoli e timidi passi, forse ritornermo indietro, forse andremo avanti, ma di fronte al dolore non recitiamo: “Non ci riesco!!!” . A volte, anche se ci sembra di aver tentato, è un tentativo poco sentito e motivato, che serve per giustificare, inconsciamente, il fallimento del tentativo stesso. E come dirsi: “Ci ho tentato, non ci sono riuscita, vuol dire che è l’unico vero amore della mia vita. E’ l’unico.Non voglio altri che lui”. Qui il discorso, come lei sa, diventa più complesso: copioni passati, codipendenza, complesso di cenerentola e via dicendo. Proprio per questo è necessario anche una profonda riflessione interiore. Conclusione: è un impresa titanica ma ci si puo riuscire, soprattutto se non adduciamo troppi prestesti con noi stessi. Cordiali saluti.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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