SINTOMI PSICO-FISICI DELLA FINE DI UN AMORE

«La fine dell’amore porta con sé un aumento della rabbia e dell’aggressività dirette ora contro l’amante che li ha abbandonati, ora contro il Sé. Si ha l’impressione che in precedenza l’odio fosse trattenuto dall’amore, ma che ora le chiuse dell’odio e della depressione minaccino di schiacciare la persona colpita dal lutto». Martin S. Bergmann “Anatomia dell’ amore” (Einaudi, Torino, 1992)

 

Diversi studi psicologici sono stati condotti per cercare di capire quali sono le reazioni psicologiche degli esseri umani alla fine di un amore o di una relazione . Tra i sintomi più frequentemente mostrati da chi subisce un abbandono o una separazione ci sono l’ insonnia e la depressione, ma anche l’ abuso di alcol e psicofarmaci, la perdita di peso, l’ insorgenza di malattie fisiche, come se l’ organismo fosse in qualche modo debilitato dalla perdita dell’ oggetto d’ amore.

Fra le varie ricerche condotte in tal senso segnalo, di seguito quella di un gruppo di ricercatori inglesi guidati dal professore Man Cheng del dipartimento di Psicologia dell’Università di Playmouth in Gran Bretagna. “La nostra idea iniziale – spiegano i ricercatori autori della ricerca – era quella di investigare sull’ ipotesi che sintomi del disturbo post-traumatico da stress possano essere presenti anche in persone che hanno subito eventi stressanti diversi dai disastri tecnologici o naturali, dagli incidenti e dalle aggressioni. Ambito della ricerca è stato quello dei rapporti d’ amore che si chiudono. Lo studio è stato realizzato su 60 studenti dall’ età media 22 anni, che sono stati reclutati attraverso annunci lasciati in università. I giovani presentatisi avevano interrotto una relazione affettiva in media da circa sei mesi e la durata media delle relazioni era stata di 20 mesi».

I QUESTIONARI Il professor Chung e i suoi collaboratori hanno sottoposto diversi questionari a questi giovani, con l’ intento di arrivare a misurare alcuni aspetti della loro risposta psicologica all’ interruzione del rapporto d’ amore, questionari come l’ Impact of Event Scale che misura i comportamenti di evitamento e il ripresentarsi intrusivo di pensieri relativi al partner, e il General Health Questionnaire, che valuta la presenza di sintomi di tipo psichiatrico. «I risultati dello studio hanno confermato l’ esistenza di stress in persone che hanno sperimentato una rottura affettiva – dice Chung. «Il 72% del campione ha avuto alti punteggi all’ Impact of Event Scale, ed è emersa una relazione significativa tra i pensieri intrusivi, il comportamento di evitamento e le condizioni di salute».

ANSIA E DEPRESSIONE Queste conseguenze psicologiche si sono sviluppate in giovani che avevano avuto relazioni tutto sommato molto brevi, un elemento che lascia intendere quanto devastanti possano essere le conseguenze psicologiche della fine di una storia d’ amore durata molti anni. Dagli studi realizzati negli anni precedenti si sapeva anche che alla fine dell’ amore è associato un elevato rischio di sviluppare uno stato depressivo, ma lo studio di Chung non ha confermato il dato. Più che dalla depressione i ragazzi sembravano tormentati dall’ ansia, ma anche questa deve essere una caratteristica tipica della loro giovane età. A 20 anni si ha la consapevolezza dell’ alta probabilità di aprire entro breve una nuova relazione, esattamente il contrario di quello che avviene a chi è avanti negli anni. I ragazzi studiati dal professor Chung avevano dallo loro parte la speranza, il miglior vaccino nei confronti della depressione. Infine, come il buon senso già sa da tempo, gli psicologi oggi riconoscono che altri fattori possono incidere sulla profondità della ferita affettiva inferta da un partner che se ne va, come la durata della relazione e la sua intensità, la facilità con la quale si riesce a trovare un altro partner, e anche il ruolo attivo o passivo giocato nella risoluzione di un rapporto d’ amore. Come sempre, chi subisce è colui che impiega più tempo a far rimarginare le sue ferite psicologiche.

Inoltre il professor Chung afferma: «Ad esempio, le donne divorziate tendono a provare più facilmente depressione rispetto alle donne sposate. Le divorziate facilmente si accusano di essere state responsabili per la rottura del matrimonio, – sostiene l’ esperto – si sentono sole e tristi, si preoccupano in maniera esagerata e si sentono molto più prive di speranza rispetto a quelle che sono sposate». «Altre risposte psicologiche conseguenti alla fine di un rapporto – ricorda il professor Chung – sono: paura, rabbia, astio, sensazione di essere respinti, autocommiserazione, sensazione di vuoto, abbassamento del proprio livello di autostima e, talvolta, sensazione di essere perduti».

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

LA SEPARAZIONE PSICOLOGICA

Il processo di separazione che segue la fine di un amore, di una relazione, di un matrimonio consta di due separazioni differenti: reale e psicologica.

La separazione reale coincide con l’effettiva separazione fisica. Vale a dire che i due membri della coppia insieme o, purtroppo, unilateralmente il più delle volte, decidono di non vivere e frequentarsi più. Questa separazione reale è importante perché la coppia potrebbe anche decidere di continuare a vivere insieme da ‘separati in casa’ ma non possiamo parlare in questo caso di vera e propria separazione.

Ancora più importante è la separazione psicologica. Può essere anche avvenuta da qualche tempo la separazione reale ma uno dei due o talvolta anche entrambi, possono continuare a rimanere legato all’altro anche a distanza di tempo. Finché non avviene la separazione psicologica non ci si è effettivamente separati dall’altro e, conseguentemente, non si è pronti neanche a entrare in una nuova storia.

Perché avvenga la separazione psicologica è necessario un processo individuale che deve attraversare diverse fasi prima che quest’ultima sia ultimata. Non c’è nessuna scorciatoia e bisogna elaborare tutte 
le fasi per poter finalmente scrivere la parola “fine” alla vecchia relazione e ritornare di nuovo ad amare e vivere.

Le fasi per realizzare la separazione psicologica sono le seguenti:


1) Affrontare i forti sentimenti e le emozioni generati dalla separazione attraverso: 
– Espressione della delusione

– Espressione della rabbia

– Espressione del vissuto di fallimento

– Espressione del perdono verso se stessi

– Espressione del perdono verso l’altra persona.


2) Ricapitolare la relazione di coppia andando alla ricerca delle motivazioni profonde della separazione 

3) Scoprire i processi di crescita avvenuti nella relazione, che ora sono bloccati.

4) Accettare gli elementi positivi della relazione

5)Ridefinire la realtà, gli obiettivi della propria vita, gestire il futuro prossimo.

Il rimanere bloccato in una di queste diverse fasi non permette di portare a termine il processo di separazione psicologica. Più si rimane bloccati in una fase iniziale più si continua a rimanere legati all’altra persona.

Potremmo dire che non basta solo separasi con la testa ma bisogna separarsi soprattutto con il cuore.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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SUPERARE LA FINE DI UN AMORE

RIFLESSIONI SULLA FINE DI UN AMORE (Anonimo)

Io ancora non ho superato tutto . . . è passato appena un mese . . . ma mi sento molto meglio perchè al contrario delle altre volte sto’cercando di viverla nel modo migliore possibile . . quello di osservare bene il dolore che provo, il senso del possesso perduto. . . senza alcuna voglia che tutto finisca presto, non perchè sono masochista. . . ma perchè sono stanco di cercare di fuggire dal dolore . . .perchè sò che in questo modo dura di più . . .

Appena mi ha lasciato ho scritto questo, solo per me: farfalle notturne attratte incessantemente da fiamme che bruciano le ali… come un tossico in cerca di dosi… il sollievo è troppo breve e l’astinenza, puntuale torna sempre più pesante . . un’altra dipendenza da sfidare . . come il vortice di un remo nell ‘ acqua, cosi’ vorro’ mandar via la speranza . . che è l ‘unica cosa che mi abbatte . . piu’ del bruciore di un possesso perduto . . piu’ di ogni goccia che scende dallo sguardo . . piu’ dei mostri della notte . . e dei fantasmi del risveglio . . e ancora : piu’ della paura delle strade divergenti . .la speranza abbatte muri e difese , la speranza coccola , tranquillizza, indebolisce e ogni volta spiana la strada al dolore cattivo, quello dell’autocommiserazione e dell ‘ orgoglio ferito .. . della dignita’ mancata.. il dolore buono è qui’ , ora , nel profumo di tutto cio’ che rifiorisce . . nella chiassosa allegria degli uccelli . . e nelle voci gioioseche giungono dall ‘ altra riva .

Il dolore buono e solitario , silenzioso e non si racconta a nessuno , è l’energia sufficiente a sgretolare la speranza , è la consapevolezza di aver avuto quattro occhi . . che non vedevano per uno . . di aver parlato urlando con 2 voci , non essendo neppure sentiti . . ora appare cosi’ la figura di quell ‘ essere che ho voluto con tutto il cuore . .e che per sempre se ne è andato . . e volo alto , perchè ho capito che vale piu’ una fase di tristezza tenera e sincera, che l’oblio di una vita infelice . .perchè la tristezza riempie solo per svuotare . . . e svuota . . solo per riempire ancora , la coppa del nettare della gioia . .

meglio un dolore che urla , che una ferita sempre aperta .

 

“Un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla” . Questa struggente frase di C. Pavese sintetizza bene la condizione in cui ci si ritrova per la fine di un amore. Tale condizione è tanto più grande quanto più lacerante è la riflessione sulla fine di un amore. Riflessione che per attribuzione di sensi di colpa, volomtà di autopunirsi per quello che è successo, perdita di fiducia e stima verso sè e gli altri, può portare a veri e propri stati depressivi. Diventa quindi necessario effettuare un percorso per il superamento di questa fine.

Innanzitutto bisogna accettare che l’amore è finito e che nel finire ci ha completamente disarmati, come nella frase di Pavese. Senza un’accettazione di ciò qualsiasi percorso è inutile. Sembra scontato ciò, ma non lo è. All’inizio, sopratutto se la fine sopraggiunge in maniera improvvisa ed imprevista, si tende a negare il tutto o quanto meno a minimizzare. Si ritiene che l’altro ritornerà, che ha confuso qualche suo dubbio o quant’altro come mancanza d’amore.

Dopo che si è arrivati ad accettare che l’amore è realmente finito, si sprofonda in un cupo, lacerante dolore. Bisogna allora concedersi un periodo di lutto . In questo periodo che può durare giorni o settimane ed a volte mesi, và cacciato fuori tutto il nostro dolore. Bisogna piangere tutte le lacrime di questo mondo. Ci si può far affiancare in questo periodo da una persona a noi cara che prestandoci semplicemente ascolto, raccogliendo il nostro dolore, ci allevierà un pò la sofferenza. Và espressa anche tutta la rabbia che si ha dentro. Vanno anallizzati eventuali sensi di colpa che si provono.

Serve un distacco totale dalla persona che ci ha lasciato. Spesso, per soffrire di meno, si tende a mantenere una minimo di relazione, di tipo amicale, con l’altro. Ci si illude che così il dolore sara meno lacerante, mentre non si fà altro che prolungare l’agonia. Inoltre quest’atteggiamento nasconde la speranza, spesso inconscia, che l’amore possa ritornare. Quindi, prima che si possa riprendere un rapporto anche minimamente formale con l’altro, occorre tempo.

Come suggeriva già Ovidio nel suo trattato Remedia Amoris, evitare luoghi e situazioni della relazione finita. Spesso, si tende a ritornare sul “luogo del delitto” a voler simbolicamente rivivere l’amore finito, al fine di attenuarne il dolore. Niente di più sbagliato, è solo una sorta di masochismo sentimentale che prolunga solo l’agonia. L’evitare luoghi e situazioni dell’amore finito fà parte di quel distacco assoluto, necessario al superamento del tutto.

Agire . Bisogna, nel frattempo, fare qualcosa di positivo per sé stessi, per riempire il vuoto della mancanza della persona amata. Non si può interrompere un rapporto di dipendenza senza sostituirgliene un altro che ne prenda il posto. La nuova dipendenza,deve essere positiva però, bisogna cercare un nuovo forte interesse, che non riempirà appieno il baratro lasciato dal precedente, ma ci aiuterà comunque.
La natura umana aborrisce il vuoto,soprattutto nell’area dei comportamenti e delle emozioni umane. Se non colmiamo, pur parzialmente, questo vuoto, il comportamento dipendente si rafforza.

Ricordarsi della massima del filosofo Nieztsche che recita “Tutto ciò che non mi uccide mi giova”. La fine dell’amore rappresenta anche un momento di crescita , di rafforzamento delle proprie capacità di superare le difficoltà. Inoltre può rappresentare l’inzio di un percorso volto a meglio conoscere noi stessi. Se riusciremo in tutto questo saremo sicuramente più forti e più maturi.

Capire quali eventuali vuoti interiori questo amore così forte e passionale colmava. Infatti spesso sentimenti molto forti non sono dovuti all’amore per l’amato, ma a ver e proprie carenze affettive passate.

Ricostruire gli “abbandoni passati”. Infine non dobbiamo dimenticare che il nostro modo di superare la fine di un amore è legato ai nostri primi “abbandoni” quelli infantili. Non ricordo chi diceva “il bambino è il padre dell’uomo”. Mai come in questo caso ha ragione. Infatti a seconda di come siamo stati “abbandonati” ed abbiamo vissuto e superato tali “abbandoni” da piccoli, che rivivremo quelli attuali e futuri. Capire tutto ciò ci permette di meglio superare la fine di un amore, di cambiare il “copione” passato.

Non dimenticarsi del dottore ” Tempo “ che col suo trascorrere cicatrizza qualsiasi ferita. Al riguardo gli antichi greci distinguevano due diversi concetti di tempo. Cronos che è il tempo cronologico, quello delle ore, dei giorni e dei mesi. Lo scorrere di Cronos e importante per superare un amore. Qualche autore è del parere che sono necessari almeno sei mesi per superare un lutto o un abbandono. L’altro concetto di tempo è Kairòs che è un tempo individuale , un tempo necessario per dire “basta”, vale a dire tempo del cambiamento interno. E’ quel momento i cui ci rendiamo conto che è il momento di voltare pagina.

Una sintesi dei due diversi tipi di tempo è in un significativo verso di U. Saba ” Muta il destino lentamente, a un’ora precipita “. Per quanto doloroso e lento possa essere questo percorso di superamento della fine di un’amore, arriverà un’ora dove vi accorgerete di essere guariti. E vi renderete conto che il più grande amore è quello che ancora stà aspettando.

Ricordate, di fronte, alla cupa disperazione per la fine di un amore questo aforisma: “Si è proteso su degli abissi. Ha rischiato più volte di cadere. Ma alla fine non è precipitato. In bilico sul vuoto, non ha conosciuto la caduta. Ci sono stati cedimenti, sbandamenti, delusioni, scoramenti, ma la vita l’ha sempre avuta vinta.” (P. Besson)

Concluderei con una metafora: superare la fine di un amore, di una relazione è come attraversare un tunnel buio di cui non conosciamo la lunghezza ma che comunque ha un’uscita. All’ingresso del tunnel, con i due piedi già dentro, ci si dimena per uscirne subito, ma purtroppo è già stato chiuso l’ingresso. Bussare a quest porta è inutile, fà perdere solo tempo. Ma neanche velocemente ci si può uscirne. Và attraversato tutto e nell’attraversarlo i momenti di sconforto per timore che non ci sia mai la fine sono frequenti e fanno aprte del percorso. In qualche punto del tunnel ci si può fermare e non avere più la forza di andare avanti. Ma si riparte e l’uscita prima o poi arriva. Ma quel prima o poi dipende da noi. Prima lo attraversiamo senza indugi e prima ne usciamo.

CHIARIMENTO

… il suo sito, l’ho quasi stampato tutto, tanto mi sono ritrovata in quello che ha detto! Ho fatto leggere anche alle mie amiche “codipendenti” quello che ha pubblicato e ne abbiamo discusso insieme. Un punto solo vorrei discutere con lei. Non sono d’accordo quando dice:”Non si può interrompere un rapporto di dipendenza senza sostituirgliene un altro…bisogna colmare il vuoto”. Ma le persone non sono intercambiabili! Se penso poi che ciò potrebbe essere applicato a me stessa, cioè visto che non ci sono più io va bene anche un’altra, la cosa mi fa rabbrividire…Ma come si può sostituire un rapporto fatto di anni di conoscenza, condivisione, familiarità, intimità con un’altra banale esperienza? E poi c’è anche il corpo. Io amo quegli occhi, quelle mani, quella pelle che per me sono insostituibili e, come lei ben sa, sono maggiormente tali in quanto mi vengono negati. Poi c’è anche il fatto che sento dentro che la fonte d’amore si è esaurita, dopo aver amato tanto. Ad un certo punto, come si fa a ricominciare ad amare? Penso sia impossibile. Le sarò grata se mi manderà una sua risposta.

Apprezzo il suo “disaccordo” perché ritengo che soprattutto nel campo delle dipendenze affettive, nessuno può dire di avere la “cura” giusta. Per cui le replico con piacere e la ringrazio per lo “spunto riflessivo” che mi ha fornito. Innanzitutto il punto con cui lei è in dissaccordo è il seguente: “Non si può interrompere un rapporto di dipendenza senza sostituirgliene un altro che ne prenda il posto. La nuova dipendenza,deve essere positiva però, bisogna cercare un nuovo forte interesse, che non riempirà appieno il baratro lasciato dal precedente, ma ci aiuterà comunque.”

Quindi, quando parlo di sostituire la dipendenza affettiva con un’altra, intendo un altro tipo di dipendenza. Infatti interrompere una dipendenza affettiva che ci ha “assorbito” in tutto e per tutto, ci precipita in un vuoto, o meglio in un baratro, che rischia di far fallire in partenza qualsiasi tentativo stesso, per quanto motivato, di superare la fine della relazione. Se noi tendiamo di colmare questo vuoto, questa dipendenza, non con un’altra persona (e qui che, forse, non sono stato chiaro)ma con una forma di dipendenza “sana” il vuoto ci apparirà meno vuoto. Un esempio: di solito le persone affette da “dipendenza affettiva” sono piene di mille risorse, di mille potenziali interessi, tutti “sedati” dalla dipendenza stessa. Rispetto al “portone sprangato ” della relazione che si è chiusa proviamo ad aprire il “piccolo oblò” del nostro vero essere. Cerchiamo di dipendere da noi stessi, dai nostri interessi sopiti, optiamo per un “sano egoismo”. Smettiamo di parlare con gli altri di “lui”, ma parliamo di “noi”, dedichiamoci a “noi”. Ci renderemo conto che da quell piccolo oblò potremmo arrivare a vedere un mondo per noi sconosciuto. Belle parole mi dirà, ma difficili da applicare di fronte al dilagare del dolore per la fine di un’amore. Incominciamo a fare dei piccoli e timidi passi, forse ritornermo indietro, forse andremo avanti, ma di fronte al dolore non recitiamo: “Non ci riesco!!!” . A volte, anche se ci sembra di aver tentato, è un tentativo poco sentito e motivato, che serve per giustificare, inconsciamente, il fallimento del tentativo stesso. E come dirsi: “Ci ho tentato, non ci sono riuscita, vuol dire che è l’unico vero amore della mia vita. E’ l’unico.Non voglio altri che lui”. Qui il discorso, come lei sa, diventa più complesso: copioni passati, codipendenza, complesso di cenerentola e via dicendo. Proprio per questo è necessario anche una profonda riflessione interiore. Conclusione: è un impresa titanica ma ci si puo riuscire, soprattutto se non adduciamo troppi prestesti con noi stessi. Cordiali saluti. Dott. Roberto Cavaliere

CONSIGLI PERSONALI DI PATRIZIA (lettrice anonima)

Questi i miei consigli per gestire la fine di un amore, almeno quello che ho imparato a fare io:
– Piangere tutte le lacrime, sfogarsi fa bene e permette di scaricare la rabbia. Fare del moto, ginnastica, il corpo ha bisogno come il cervello di scaricare le energie negative represse. Ove fosse possibile allontanarsi, con un viaggio anche breve, dai luoghi abituali della vostra vita.
– Quando si riacquista un po’ di lucidità stilare una lista di ciò che pensiamo dell’ex partner: lati positivi e lati negativi; facciamo la stessa cosa con noi stessi.
– Riflettere su ciò che abbiamo considerato negativo nell’altro: sono aspetti che possiamo tollerare oppure intollerabili? Che cosa ci teneva legati a lei/lui? Scrivere ciò che pensiamo in proposito.
Questo ci serve per stabilire un minimo di obiettività su ciò che è accaduto: ristabilire le responsabilità reciproche sull’andamento e la fine del rapporto stesso. A questa fase subentra coscienza ed amor proprio, rendersi conto di aver partecipato involontariamente allo spegnersi di un sentimento non è facile, ma se riusciamo a vedere là dove il nostro errore è conciso con l’errore altrui e i meccanismi che si sono innestati, riusciamo a farci una ragione di ciò che è accaduto e forse mettiamo il primo mattone che ci aiuta a superare il lutto.
Poi, riuscire a perdonarci per non essere stati consapevoli durante il rapporto di ciò che accadeva e perdonare l’altro per le sue debolezze. Da qui in avanti spetta a noi risollevarci e credere di poter costruire un rapporto positivo memori dell’esperienza che abbiamo vissuto, prendendoci tutto il tempo che ci occorre. Durante questo tempo bisognerebbe:
– Sforzarsi di prendersi cura di sé: preparare piatti che stimolino il nostro appetito anche quando apparentemente non abbiamo fame, essere più attenti alla cura di se stessi, prendersi dei momenti per farsi dei bagni rilassanti, massaggiarsi, aver cura del proprio ambiente notturno, vestirsi per farsi piacere, guardarsi allo specchio commentando sui propri progressi: oggi sto’ un po’ giù, oggi va un po’ meglio, oggi non c’è male etc.
– Dedicarsi ad un’attività che abbiamo tralasciato per mancanza di tempo: il tempo ora non deve essere né stancamente vissuto, né ammazzato con troppe attività. Bisogna assecondare le proprie energie: leggere, cucire, lavorare a maglia, all’uncinetto, fare del découpage, dipingere, disegnare, scrivere, risistemare la libreria secondo un ordine corretto; cambiare qualcosa nel proprio ambiente per sottolineare il cambiamento. Tirare fuori, insomma, la propria creatività, che è quella che caratterizza ognuno di noi e che ci aiuta a recuperare il nostro valore a prescindere dalla presenza di qualcuno.
– Tenere un diario: annotare le proprie emozioni e gli accadimenti che sono significativi.
– Imparare a confrontarsi con gli amici e i conoscenti senza cercare di scaricare su di loro le nostre frustrazioni o continuando a parlare di ciò che è accaduto in continuazione: non vi serve, è come un continuare a nutrire il vostro dolore. Se vi accorgete di non poter fare da soli rivolgetevi ad un terapeuta, è importante riconoscere i propri limiti. Siamo esseri umani e se una cosa non riusciamo a superarla dobbiamo capirne l’origine, potrebbe essere molto lontana nel tempo e non legata a ciò che ci accade al momento e se non andate a trovare una risposta ora, nel tempo potreste essere costretti a farlo in un altro momento, magari con maggiore difficoltà.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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PERCHE’ FINISCE UN AMORE

C’era un innamorato che amava senza speranza. Si ritirò del tutto nella propria anima e gli parve che il fuoco d’amore l’avrebbe consumato. Perdette il mondo, non vedeva più il cielo azzurro e il verde bosco, il torrente per lui non frusciava, l’arpa per lui non suonava, tutto era sprofondato e lui era caduto in miseria. Ma il suo amore cresceva e lui avrebbe preferito morire e rovinarsi piuttosto che rinunciare al possesso della bella donna che amava. Sentì allora che il suo amore avrebbe bruciato in lui ogni altra cosa, e l’amore divenne potente e tirò e tirò, e la bella donna dovette obbedire, venne, e lui era lì a braccia aperte per attirarla a sé. Ma quando gli fu davanti si era del tutto trasformata, e con un brivido egli sentì che aveva attirato a sé tutto il mondo perduto. Era davanti a lui e gli si arrendeva, cielo e bosco e torrente, tutto gli veniva in contro in nuovi colori, fresco e splendido, gli apparteneva, parlava il suo linguaggio. E invece di conquistare soltanto una donna egli aveva tra le braccia il mondo intero, e ogni stella del cielo ardeva in lui e scintillava voluttà nella sua anima. – Aveva amato e amando aveva trovato se stesso. Ma i più amano per perdersi “ (Hermann Hesse)

 

Affronteremo la fine di un amore o di qualsiasi altra relazione affettiva secondo due visioni teoriche: una più recente di uno studioso americano Sternberg e quella classica psicanalitica.

Visione di Sternberg

In questa visione , più legata alla ricerca empirica, è sottintesa l’idea che molto spesso le relazioni falliscano perché la scelta è stata fatta in base a quello che conta di più nell’immediato e non a quello che conta di più nel lungo periodo.
Sternberg, Professore di psicologia e pedagogia a Jale, ha teorizzato, suffragato da alcune sue ricerche, un concetto di amore completo, sulla base di tre componenti fondamentali:

  • l’impegno come componente cognitiva,
  • l’intimità come componente emotiva e
  • la passione come componente motivazionale dell’amore.

Si può visualizzare l’amore come un triangolo in cui quanto maggiori sono impegno-intimità-passione, tanto più grande è il triangolo e più intenso l’amore.
Da questa teoria scaturisce una tipologia collegata alla combinazione dei tre diversi fattori, dando luogo a otto possibili tipi di relazione.

La prima è ” l’assenza di amore “: tutte e tre le componenti mancano; è la situazione della grande maggioranza delle nostre relazioni personali, casuali o funzionali.

Il secondo tipo è la ” simpatia” . C’è solo l’intimità, si può parlare con una persona, parlare di noi, ci si riferisce ai sentimenti che si provano in una autentica amicizia e comporta cose come la vicinanza, il calore umano (ma non i sentimenti forti della passione e dell’impegno).

Il terzo tipo è “l ‘infatuazione “: quando c’è solo la passione. Quell’amore a prima vista che può nascere all’istante e svanire con la stessa rapidità. Vi interviene una intensa eccitazione fisiologica, ma senza intimità o impegno. La passione è come una droga, rapida a svilupparsi e rapida a spegnersi, brucia alla svelta e dopo un po’ non fa più l’effetto che si voleva: ci si abitua, arriva l’assuefazione.

” L’amore vuoto “ è il quarto tipo di relazione, dove l’impegno è privo di intimità e di passione: tutto quello che rimane è l’impegno a restare insieme. Un rapporto stagnante che si osserva talora in certe coppie sposate da molti anni: un tempo c’era l’intimità, ma ormai non si parlano più; c’era la passione, ma anche quella si è spenta da un pezzo.

” L’amore romantico “ è una combinazione di intimità e di passione (tipo Giulietta e Romeo). Più di una infatuazione, è vicinanza e simpatia, con l’aggiunta dell’attrazione fisica e dell’eccitazione, ma senza l’impegno, come un’avventura estiva che si sa che finisce.

” Amore fatuo “ è quello che comporta la passione e l’impegno, ma senza intimità. E’ l’amore da fotoromanzo: i due si incontrano, dopo una settimana sono fidanzati, e dopo un mese si sposano. S’impegnano reciprocamente in base all’attrazione fisica., ma dato che l’intimità ha bisogno di tempo per svilupparsi, manca il nucleo emotivo su cui può reggersi l’impegno. E’ un tipo d’amore che di solito non dà buon esito nel lungo periodo.

” Sodalizio d’amore “ è chiamato un rapporto d’intimità e impegno reciproco, ma senza passione. E’ come un’amicizia destinata a durare nel tempo. Quel tipo di amore che spesso si osserva nei matrimoni dove l’attrazione fisica è scomparsa.

Infine quando tutti e tre gli elementi si combinano in una relazione, abbiamo quello che Sternberg chiama ” amore perfetto o completo “. Raggiungere un perfetto amore, dice quest’autore, è come cercare di perdere un po’ di peso, difficile ma non impossibile; la cosa davvero ardua è mantenere il peso forma una volta che ci si è arrivati o tenere in vita un amore completo quando lo si è raggiunto. E’ un compito aperto, non una tappa raggiunta una volta per tutte. La relazione tende a finir male se non c’è corrispondenza tra quello che si vuole dall’altro e quello che si pensa di riceverne: chiunque ha amato senza essere ricambiato altrettanto, sa quanto può essere frustrante. Alle volte si potrebbe consigliare di ridurre le proprie aspettative e diminuire il proprio coinvolgimento: ma è un consiglio difficile da seguire.
La gente è davvero così stupida da fare sempre la scelta sbagliata? Probabilmente no: il fatto è che sceglie troppo spesso in base a quello che conta di più nell’immediato. Ma quello che conta nel lungo periodo è diverso: i fattori che contano cambiano, cambiano le persone e cambiano le relazioni.
Nella ricerca fatta sui fattori che tendono a diventare più importanti con l’andare del tempo, si sono rilevati questi tre:
– la disponibilità a cambiare in funzione delle esigenze dell’altro
– la disponibilità ad accettare le sue imperfezioni
– la comunanza di valori.
Queste sono cose che è difficile giudicare all’inizio di una relazione: l’idea che l’amore vinca tutti gli ostacoli è molto romantica, ma poco reale. Quando si devono prendere delle decisioni, quando arrivano i figli e si devono fare alcune scelte, una cosa che sembrava poco importante, lo diventa. Altri fattori invece nel lungo periodo diventano secondari: come l’idea che l’altro sia “interessante” (all’inizio c’è il timore che se cala l’interesse la relazione svanisce). In realtà quasi tutto tende a diminuire col tempo (nelle coppie studiate statisticamente): calano la capacità di comunicare, l’attrazione fisica, il piacere di stare insieme, gli interessi in comune, la capacità di ascoltare, il rispetto reciproco, il trasporto romantico… può essere deprimente, ma è importante fin dall’inizio sapere che cosa aspettarsi col tempo, avere aspettative realistiche circa quello che si potrà ottenere e quello che finirà con l’essere più importante a lungo andare.

Visione psicanalitica

Parte dall’idea che la problematicità della coppia sia da collegare a immaturità evolutiva, o a vera e propria patologia, per il prevalere di dinamiche inconsce nel rapporto; ecco i vari tipi di relazione secondo questa visione:

C’è la relazione cosiddetta a ” collusione narcisistica “. In questa relazione l’amore è inteso prevalentemente in funzione simbiotica, “amore come essere uno”, dove l’unione simbiotica è un rapporto sado-masochista (dove il più forte fagocita il più debole) e in cui va perduta l’identità e la “noità” della coppia (l’essere noi). La relazione matura comporta invece una unione nella distinzione, il rispetto dell’altro come distinto, l’accettazione della diversità, ecc.

C’è la relazione cosiddetta a ” collusione orale “: qui l’amore è inteso come “aver cura dell’altro”. E’ un amore di tipo materno, che comporta un partner passivo, introverso, con scarsa autostima. L’amore maturo invece è caratterizzato da mutualità, reciprocità, essere contemporaneamente soggetto e oggetto nella relazione; non solo capacità di dare, ma anche di ricevere.

C’è la relazione cosiddetta a ” collusione sadico-anale “. Qui l’amore è inteso come possesso totale; l’oggetto dell’amore è considerato proprio dominio e tenuto continuamente sotto il proprio controllo. . L’amore maturo invece è caratterizzato da libertà, autonomia, fiducia. Mutualità, interdipendenza reciproca di due soggetti indipendenti e liberi.

C’è la relazione cosiddetta a ” collusione fallico-edipica “ dove l’amore è vissuto soprattutto come autoaffermazione antagonista (virile) e il partner è vissuto sostanzialmente come rivale e luogo della propria affermazione.L’amore maturo è caratterizzato invece da solidarietà, compartecipazione, parità di possibilità di autorealizzazione al cento per cento. Senza eccessiva competitività.

Secondo quest’ottica si esce dalla crisi rivelando le dinamiche inconsce sottese al rapporto.

Al di là di queste due visioni teoriche, molto più semplicemente, non dimentichiamo che anche nella più perfetta e duratura delle unioni può capitare che uno dei due cessi di amare l’altro o s’innamori di un’altra persona.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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FINE DI UN AMORE, DI UNA RELAZIONE

Se un piatto o un bicchiere cadono a terra senti un rumore fragoroso.

Lo stesso succede se una finestra sbatte, se si rompe la gamba di un tavolo o se un quadro si stacca dalla parete. 
Ma il cuore, quando si spezza, lo fa in assoluto silenzio.
 
Data la sua importanza, ti verrebbe da pensare che faccia uno dei rumori più forti del mondo, o persino che produca una sorta di suono cerimonioso, come l’eco di un cembalo o il rintocco di una campana.
 
Invece è silenzioso, e tu arrivi a desiderare un suono che ti distragga dal dolore.
 
Se rumore c’è, è interno.
 
Un urlo che nessuno all’infuori di te può sentire.
 
Un boato così forte che le orecchie rintronano e la testa fa male.
 
Si dimena nel petto come un grande squalo bianco intrappolato nel mare; ruggisce come la mamma orsa a cui è stato rapito il cucciolo.
 
Ecco cosa sembra e che rumore fa.
 
È un’enorme bestia intrappolata che si agita, presa dal panico; e grida come un prigioniero davanti ai propri sentimenti.
 
L’amore è così…nessuno ne è indenne.
 
È selvaggio, infiammato come una ferita aperta esposta all’acqua salata del mare, però quando si spezza il cuore non fa rumore.
 
Ti ritrovi a urlare dentro e nessuno ti sente”.

(Se tu mi vedessi ora – Cecelia Ahern)

 

Dal punto di vista teorico e scientifico la fine di un amore è riconducibile agli stessi processi della separazione, del lutto.

Il primo studioso ad occuparsi delle esperienze di separazione o lutto è John Bowlby che raccoglie in maniera sistematica, le reazioni di angoscia messe in atto da una bambina di soli due anni, ricoverata in ospedale, senza la possibilità di avere accanto la propria madre. Estendendo ad altri casi i risultati della ricerca condotta, Bowlby si accorge dell’analogia del comportamento osservato nella bambina ospedalizzata, con quello messo in atto da altri bambini e da macachi separati dalle proprie madri, da persone rimaste vedove e, in generale, da adulti che hanno subito una separazione o un divorzio doloroso dal loro coniuge. Si potrebbe parlare di un vero e proprio pattern universale, articolato in tre fasi, che si succedono le une alle altre: protesta, disperazione e distacco.

La prima fase, ossia quella della protesta, è caratterizzata da reazioni piuttosto smoderate, quali pianto, grida, agitazione, ansia, panico. La persona lasciata, abbandonata, inconsapevolmente, agisce in tal modo, con l’intento di influenzare il ritorno della persona andata via.

Durante la seconda fase, quella della disperazione , ai comportamenti di iperattività e protesta attiva, subentrano altri di totale inattività, astenia, depressione. Fanno, inoltre, la loro comparsa alterazioni fisiologiche, quali disturbi del sonno, diarrea, alterazioni del comportamento alimentare, accelerazione del battito cardiaco. Alla delusione dovuta agli esiti negativi dei comportamenti messi in atto durante la prima fase, che non hanno garantito il ritorno della persona scomparsa o andata via, subentra un periodo di passiva disperazione, generata dalla consapevolezza dell’impossibilità di un ritorno.

La terza fase riguarda il distacco . La persona abbandonata, cioè, dopo un determinato lasso temporale, si distacca, a sua volta, affettivamente ed emotivamente dalla persona persa, riorganizzandosi a livello emotivo e ricominciando le normali attività che contraddistinguevano la sua vita prima di restare sola.

Al di là delle tre fasi individuate sopra, nella fine di un amore, un amore che ci ha profondamente coinvolti, si prova una sofferenza indicibile, si pensa che non si può più continuare a vivere, si provano sentimenti quali: tristezza, delusione, senso d’angoscia, sensi di colpa e fallimento. Forte è l’ossessione che l’accompagna, ben descritta dal brano d’apertura. Sopratutto se quell’amore ha preso tutte le nostre forze, ha preso la nostra vita, perchè come in ogni amore che viviamo, pensiamo sempre che sia quello “giusto”, quello che durerà in “eterno”. Ed è doloroso accettare che possa finire, che ci siamo sbagliati.

Il più delle volte non si riesce a comprendere perchè sia finito, non rendendosi conto che quella fine non è stata improvvisa ma era in qualche modo preannunciata in tanti piccoli gesti, occasioni, sfumature, o pur avendo notate quest’ultime si viveva comunque nell’illusione che nonostante tutto non sarebbe mai finito quell’amore.

Nella stragrande maggioranza dei casi ci si dimena, non ci si arrende, si tenta l’impossibile per recuperare quell’amore. Sopratutto si continua ad amare la persona perduta, a volte più di prima. A volte si prova qualche timida speranza di recuperare l’amore perduto, sopratutto se l’altra parte, incautamente, manifesta qualche piccolo segnale d’affetto o di comprensione, che si tende subito ad interpretare come segnale di una rinnovata disponibilità ad amarci e non lo si vede nel suo reale significato (tipica la frase “forse mi ama ancora un pò? forse non è tutto finito?”).

Quando finisce un amore, sopratutto se si è lasciati, si compie una vera e propria analisi di quelle che sono state le cause che hanno portato alla fine. Il più delle volte la persona lasciata tende ad attribuirsi le colpe, imputando a propri comportamenti errati la fine della relazione. Questo perchè permette di poter sperare che cambiando il proprio comportamento la relazione può iniziare di nuovo, se l’altro ci dà un altra possibilità. Non ci si vuole rendere conto che molto più semplicemente l’altro non ama più. Per quanto doloroso possa essere prendere coscienza di quest’amara verità, rappresenta l’unico modo per poterne uscire. Si soffrirà in maniera spaventosa ma il tempo ci aiuterà a porre definitivamente la parola fine. Altrimenti, sperando in un altra possibilità, prolunghiamo solo la sofferenza entrando in un tunnel che ci sembrerà senza uscita.
Ma, per quanto possa essere lontano nel tempo, dopo aver pianto tutte le lacrime di questo mondo, dopo aver espresso tutta la disperazione di questo mondo, arriverà il momento in cui si toccherà il fondo del baratro. Ed in quel momento, quasi senza rendersene conto, si inizierà una lenta ma inesorabile risalita. Si accetterà la realtà delle cose. Si scoprirà che il più grande amore è quello che deve ancora venire.

Infine non dobbiamo dimenticare che il nostro modo di vivere la fine di un amore è legato ai nostri primi “abbandoni” quelli infantili. Non ricordo chi affermava “il bambino è il padre dell’uomo”. Mai come in questo caso ha ragione. Infatti a seconda di come siamo stati “abbandonati” ed abbiamo vissuto tali “abbandoni” da piccoli, che rivivremo quelli attuali e futuri. Ma non dimentichiamo che gli “abbandoni” rappresentano anche un momento di crescita.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

L’AUTUNNO E’ LA STAGIONE DELLA SEPARAZIONE PER TANTE COPPIE

L’autunno segue l’estate e segna il declino del bel tempo. Declino del bel tempo in tutti i sensi, anche nella coppia.

Metafora climatica a parte cerchiamo di vedere perché per tante coppie l’autunno è la stagione della separazione.

L’autunno segue l’estate e con esso un periodo di ferie estive che comporta che la coppia stia maggiormente in contatto quotidiano rispetto al resto dell’anno. Questo maggiore tempo a disposizione e la maggiore condivisione della coppia possono acuire tensioni che durante l’anno gli impegni quotidiani di entrambi i membri della coppia possono aiutare a stemperare.

Paradossalmente il maggior tempo a disposizione allontana e non unisce. Ecco quindi che si arriva in autunno ‘esasperati’ e se questa esasperazione covava già prima arriva come conseguenza la separazione.

Inoltre la decisione di separarsi potrebbe già essere precedente al periodo estivo, ma ci si concede un ulteriore tentativo di provare a recuperare la relazione, approfittando del maggiore tempo che d’estate si ha per stare insieme.Tentativo che si rivela vano.

Se sono presenti dei figli per un senso di colpa nei loro confronti, si decide di trascorrere almeno l’estate tutti insieme e rimandare all’autunno una decisione che è già stata piena.

Un ultimo fattore potrebbe essere legato che l’autunno è anche correlato a una fase depressiva e nelle fasi depressive si preferisce rimanere soli. Ciò coniugato a un profondo malessere di coppia è la goccia che fa traboccare il vaso. Quindi l’autunno come ‘stagione delle separazioni’ è solo l’anello terminale di un processo di separazione che ha attraversato tutte le stagioni.

Dottor Roberto Cavaliere

“Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,
purtroppo, fondano la loro esistenza…
Quelle come me passano inosservate,
ma sono le uniche che ti ameranno davvero…
Quelle come me sono quelle che,
nell’autunno della tua vita,
rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti
e che tu non hai voluto…

Alda Merini

LA DEPRESSIONE POST SEPARAZIONE E DIVORZIO

Il divorzio è un momento molto stressante nella vita di una persona che può facilmente scivolare in una spirale depressiva dalla quale può essere faticoso uscire

La separazione e/o il divorzio, soprattutto se subiti, rappresentano comunque un ’lutto’ talvolta un vero e proprio trauma e mettono a dura prova le capacità personali di affrontare eventi stressati e/o traumatici della propria esistenza. Inoltre la separazione rappresenta la perdita dell’altro e per quanto tale perdita era nell’aria da qualche tempo, l’evento lascia comunque increduli e può intervenire un vissuto di negazione dell’evento stesso.
Ed ecco arrivare primi sentimenti di rabbia, di negazione come già detto, didisperazione agitata, fino a subentrare uno sfondo depressivo. Da premettere che sentimenti di tristezza, di malinconia, di un lieve sfondo depressivo sono comuni in seguito ad una separazione subita. Anzi l’arrivo di tali sentimenti coincide con la presa d’atto che la relazione è finita mentre la rabbia rappresenta comunque un legame.

I sentimenti citati in taluni casi possono sprofondare in una vera e propria depressione. In questi casi il vissuto psicologico della separazione si allea con caratteristiche personali di uno sfondo depressivo preesistente a causa stessa della relazione che è andata a terminare

Aver paura di perdere l’altro è già vivere un po’ la perdita, la separazione, l’abbandono e quindi sentimenti depressivi erano già preesistenti. Nel momento in cui avviene la vera e propria separazione, arriva anche la vera e propria depressione.

Come uscirne?

ACCETTARE –  Accettare che sentimenti di tristezza, malinconia e un lieve velo di depressione fanno parte di quel processo di elaborazione del lutto che accompagna una separazione. Negarli non può altro che far precipitare di più in una depressione che alla fine arriverà.

VIVERE LA DEPRESSIONE – Dare spazio a sentimenti depressivi in una prima fase. Piangere, disperarsi, ritirarsi in se stessi devono trovare spazio e non essere repressi perché del tutto naturali in un processo di superamento della separazione.

CHIEDERE AIUTO – Se la fase depressiva si prolunga nel tempo o è troppo intensa chiedere aiuto sia alla rete familiare sia a uno specialista. I farmaci dovrebbero rappresentare sempre l’ultima spiaggia.

Dottor Roberto Cavaliere

“Il lutto per la perdita di qualcosa che abbiamo amato o ammirato sembra talmente naturale che il profano non esita a dichiararlo ovvio. Per lo psicologo invece il lutto è un grande enigma, uno di quei fenomeni che non si possono spiegare ma ai quali si riconducono altre cose oscure. Noi reputiamo di possedere una certa quantità di capacità di amare che chiamiamo libido la quale agli inizi del nostro sviluppo è rivolta al nostro stesso Io. In seguito, ma in realtà molto presto, la libido si distoglie dall’Io per dirigersi sugli oggetti, che noi in tal modo accogliamo per così dire nel nostro Io. Se gli oggetti sono distrutti o vanno perduti per noi, la nostra capacità di amare (la libido) torna ad essere libera. Può prendersi altri oggetti come sostituti o tornare provvisoriamente all’Io. Ma perché questo distacco della libido dai suoi oggetti debba essere un processo così doloroso resta per noi un mistero sul quale per il momento non siamo in grado di formulare alcuna ipotesi. Noi vediamo unicamente che la libido si aggrappa ai suoi oggetti e non vuole rinunciare a quelli perduti, neppure quando il loro sostituto è già pronto. Questo è dunque il lutto.”

(da Sigmund Freud, Opere. 1915-1917 Volume 8°)

LA SEPARAZIONE DAL PUNTO DI VISTA DEGLI UOMINI

La separazione è donna: vale a dire che nella stragrande maggioranza dei casi sono le donne a prendere la decisione di separarsi, a prendere atto delle criticità della relazione, ad avere consapevolezza che non si può più andare avanti. L’uomo prova sentimenti ed emozioni soprattutto se subisce la separazione.

Quindi spesso l’uomo è spettatore passivo in questo processo di separazione e questo non significa che non prova sofferenza. La sua sofferenza può essere di due tipi: attiva e passiva .

– La sofferenza attiva è quella che prevale nella maggioranza degli uomini quando si separano.  Molti uomini diventano come dei bambini che sono abbandonati dalla madre. Non accettano tale separazione che è vissuta al pari di un vero e proprio abbandono. Si agitano, si disperano, negano la separazione stessa. Si può arrivare a mettere in atto veri e propri comportamenti ossessivinei confronti della partner fino ad arrivare anche allo stalking o a brutti episodi di cronaca giudiziaria.

– Taluni soffrono passivamente, non reagiscono, si rinchiudono in una fase depressiva. Non riescono a elaborare il processo del lutto della separazione.

– Ma c’è anche una terza categoria, spesso trasversale alle altre due descritte. Quelli che per non sentire il dolore della disperazione o della depressione attuano la pratica del chiodo scaccia chiodo. Con quali esiti è facile immaginare soprattutto per la partner che subentra immediatamente alla fine di una separazione.

In ogni caso nell’uomo che ci separa c’è una difficoltà a entrare in risonanza con le sue emozioni più profonde. Non vogliono provare, non vogliono sentire per non soffrire.

Dottor Roberto Cavaliere

“La storia di una certa ragazza mi fa ancora male, non trovo quello che cerco e quello che cerco ormai non può più essere lei, lei mi ha mandato a vedere se il gallo aveva fatto l’uovo e quando sono tornato e le ho detto di si mi ha mandato a quel paese e mi ha detto di non farmi più vedere. Per un po’ ci ho provato, ma sai bene che quando l’amore si spegne è più freddo della morte. Il problema è che le due parti in causa non si spengono contemporaneamente e quando sei la parte ancora accesa preferiresti essere morto. È incredibile come le parole possano imitare la saggezza. Se ti ostini a cercare qualcosa corri il rischio di trovarla. Vorrei amare ancora, dare il meglio di me a una ragazza. Il problema è che non so cosa sia il meglio di me, non sono sicuro che ci sia un meglio in me. Quando un aereo perde la rotta basta una manovra per ritrovare le coordinate ma quando un treno deraglia non c’è più molto che si possa fare.

C’era un’idea che mi ronzava in testa, cioè che magari non saremo mai in grado di capire del tutto qualcuno, tanto meno chi più amiamo, ma possiamo comunque amarlo senza riserve. Secondo me amare una persona è forse più facile che capirla ma molto più pericoloso perché l’amore fa sempre male. Si può cercare di capire qualcuno ma non si può cercare di amarlo. L’amore nasce involontario. L’amore può aumentare o diminuire fino a sfumare del tutto ma non si può imporre. A volte ci piacerebbe amare una certa persona, possiamo addirittura dire che quella persona ha tutte le qualità perché ci innamoriamo di lei ma questo non accade. Con uno sforzo più o meno grande ci si abitua a chiunque ma abituarsi non è amare. Non so se le mie idee sono giuste oppure assurde ma tendo a credere che l’amore esiste, che è un’invenzione dell’uomo e che ora è fuori controllo.”

Efraim Medina Reyes

LA MORTE DI UN AMORE

La morte di un amore è come la morte d’una persona amata. Lascia lo stesso strazio, lo stesso vuoto, lo stesso rifiuto di rassegnarti a quel vuoto. Perfino se l’hai attesa, causata, voluta per autodifesa o buonsenso o bisogno di libertà, quando arriva ti senti invalido. Mutilato. Ti sembra d’essere rimasto con un occhio solo, un orecchio solo, un polmone solo, un braccio solo, una gamba sola, il cervello dimezzato, e non fai che invocare la metà perduta di te stesso: colui o …colei con cui ti sentivi intero. Nel farlo non ricordi nemmeno le sue colpe, i tormenti che ti inflisse, le sofferenze che ti impose. Il rimpianto ti consegna la memoria d’una persona pregevole anzi straordinaria, d’un tesoro unico al mondo, nè serve a nulla dirsi che ciò è un’offesa alla logica, un insulto all’intelligenza, un masochismo. (In amore la logica non serve, l’intelligenza non giova e il masochismo raggiunge vette da psichiatria.) Poi, un po’ per volta, ti passa. Magari senza che tu sia consapevole lo strazio si smorza, si dissolve, il vuoto diminuisce e il rifiuto di rassegnarti ad esso scompare. Ti rendi finalmente conto che l’oggetto del tuo amore morto non era nè una persona pregevole anzi straordinaria, nè un tesoro unico al mondo, lo sostituisci con un’altra metà o supposta metà di te stesso e per un certo periodo recuperi la tua interezza. Però sull’anima rimane uno sfregio che la imbruttisce, un livido nero che la deturpa e ti accorgi di non essere più quello o quella che eri prima del lutto. La tua energia si è infiacchita, la tua curiosità si è affievolita e la tua fiducia nel futuro s’è spenta perchè hai scoperto d’aver sprecato un pezzo d’esistenza che nessuno ti rimborserà. Ecco perchè, anche se un amore langue senza rimedio, lo curi e ti sforzi di guarirlo. Ecco perchè, anche se in stato di coma boccheggia, cerchi di rinviare l’istante in cui esalerà l’ultimo respiro: lo trattieni e in silenzio lo supplichi di vivere ancora un giorno, un’ora, un minuto. Ecco infine perché , anche quando smette di respirare, esiti a seppellirlo o addirittura tenti di resuscitarlo. Alzati Lazzaro e cammina.


– Oriana Fallaci –

FINE AMORE

Ecco, vedi, io mi sono innamorato due volte nella vita, ma sul serio, e tutt’e due le volte ero sicuro che sarebbe stato per sempre e fino alla morte, e tutt’e due le volte è finita e non sono morto.Hesse

 

Dal punto di vista teorico e scientifico la fine di un amore è riconducibile agli stessi processi della separazione, del lutto.

Il primo studioso ad occuparsi delle esperienze di separazione o lutto è John Bowlby che raccoglie in maniera sistematica, le reazioni di angoscia messe in atto da una bambina di soli due anni, ricoverata in ospedale, senza la possibilità di avere accanto la propria madre. Estendendo ad altri casi i risultati della ricerca condotta, Bowlby si accorge dell’analogia del comportamento osservato nella bambina ospedalizzata, con quello messo in atto da altri bambini e da macachi separati dalle proprie madri, da persone rimaste vedove e, in generale, da adulti che hanno subito una separazione o un divorzio doloroso dal loro coniuge. Si potrebbe parlare di un vero e proprio pattern universale, articolato in tre fasi, che si succedono le une alle altre: protesta, disperazione e distacco.

La prima fase, ossia quella della protesta, è caratterizzata da reazioni piuttosto smoderate, quali pianto, grida, agitazione, ansia, panico. La persona lasciata, abbandonata, inconsapevolmente, agisce in tal modo, con l’intento di influenzare il ritorno della persona andata via.

Durante la seconda fase, quella della disperazione , ai comportamenti di iperattività e protesta attiva, subentrano altri di totale inattività, astenia, depressione. Fanno, inoltre, la loro comparsa alterazioni fisiologiche, quali disturbi del sonno, diarrea, alterazioni del comportamento alimentare, accelerazione del battito cardiaco. Alla delusione dovuta agli esiti negativi dei comportamenti messi in atto durante la prima fase, che non hanno garantito il ritorno della persona scomparsa o andata via, subentra un periodo di passiva disperazione, generata dalla consapevolezza dell’impossibilità di un ritorno.

La terza fase riguarda il distacco . La persona abbandonata, cioè, dopo un determinato lasso temporale, si distacca, a sua volta, affettivamente ed emotivamente dalla persona persa, riorganizzandosi a livello emotivo e ricominciando le normali attività che contraddistinguevano la sua vita prima di restare sola.

Al di là delle tre fasi individuate sopra, nella fine di un amore, un amore che ci ha profondamente coinvolti, si prova una sofferenza indicibile, si pensa che non si può più continuare a vivere, si provano sentimenti quali: tristezza, delusione, senso d’angoscia, sensi di colpa e fallimento. Forte è l’ossessione che l’accompagna, ben descritta dal brano d’apertura. Sopratutto se quell’amore ha preso tutte le nostre forze, ha preso la nostra vita, perchè come in ogni amore che viviamo, pensiamo sempre che sia quello “giusto”, quello che durerà in “eterno”. Ed è doloroso accettare che possa finire, che ci siamo sbagliati.

Il più delle volte non si riesce a comprendere perchè sia finito, non rendendosi conto che quella fine non è stata improvvisa ma era in qualche modo preannunciata in tanti piccoli gesti, occasioni, sfumature, o pur avendo notate quest’ultime si viveva comunque nell’illusione che nonostante tutto non sarebbe mai finito quell’amore.

Nella stragrande maggioranza dei casi ci si dimena, non ci si arrende, si tenta l’impossibile per recuperare quell’amore. Sopratutto si continua ad amare la persona perduta, a volte più di prima. A volte si prova qualche timida speranza di recuperare l’amore perduto, sopratutto se l’altra parte, incautamente, manifesta qualche piccolo segnale d’affetto o di comprensione, che si tende subito ad interpretare come segnale di una rinnovata disponibilità ad amarci e non lo si vede nel suo reale significato (tipica la frase “forse mi ama ancora un pò? forse non è tutto finito?”).

Quando finisce un amore, sopratutto se si è lasciati, si compie una vera e propria analisi di quelle che sono state le cause che hanno portato alla fine. Il più delle volte la persona lasciata tende ad attribuirsi le colpe, imputando a propri comportamenti errati la fine della relazione. Questo perchè permette di poter sperare che cambiando il proprio comportamento la relazione può iniziare di nuovo, se l’altro ci dà un altra possibilità. Non ci si vuole rendere conto che molto più semplicemente l’altro non ama più. Per quanto doloroso possa essere prendere coscienza di quest’amara verità, rappresenta l’unico modo per poterne uscire. Si soffrirà in maniera spaventosa ma il tempo ci aiuterà a porre definitivamente la parola fine. Altrimenti, sperando in un altra possibilità, prolunghiamo solo la sofferenza entrando in un tunnel che ci sembrerà senza uscita.

Ma, per quanto possa essere lontano nel tempo, dopo aver pianto tutte le lacrime di questo mondo, dopo aver espresso tutta la disperazione di questo mondo, arriverà il momento in cui si toccherà il fondo del baratro. Ed in quel momento, quasi senza rendersene conto, si inizierà una lenta ma inesorabile risalita. Si accetterà la realtà delle cose. Si scoprirà che il più grande amore è quello che deve ancora venire.

Infine non dobbiamo dimenticare che il nostro modo di vivere la fine di un amore è legato ai nostri primi “abbandoni” quelli infantili. Non ricordo chi affermava “il bambino è il padre dell’uomo”. Mai come in questo caso ha ragione. Infatti a seconda di come siamo stati “abbandonati” ed abbiamo vissuto tali “abbandoni” da piccoli, che rivivremo quelli attuali e futuri. Ma non dimentichiamo che gli “abbandoni” rappresentano anche un momento di crescita.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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