IL RANCORE IN FAMIGLIA

Da “Il rancore in famiglia” (forum “dipendenze affettive”)

Selezione a cura di Carlotta Onali

Argomento: dipendenza e rancore in famiglia

Ciao a tutti,
spero di instaurare un confronto con questo tema, perchè ne sento il bisogno.
Già detto che sono dipendente affettiva, o meglio, che lo sono sempre stata e che da un paio d’anni sto adoperandomi in vari modi per uscire dai condizionamenti più dannosi che non mi hanno mai permesso di relazionarmi, e di conseguenza di vivere, in modo sereno ed equilibrato.
Il percorso va avanti, procede con alti e bassi, la consapevolezza si fa sempre più strada, arricchendosi di sfumature sempre più illuminanti.
Per certi versi si va un po’ per tentativi, io ne ho attuati molti.
Terapia, confronto, dialogo, studio, letture, forum, sofferenza, relazioni, correzioni, impegno, isolamento, abbandono, accettazione, fiducia, autostima, pazienza…e molto altro ancora.

Oggi mi sento più forte sotto tanti aspetti.
Attualmente sono single, l’ultima relazione (finita male) per la quale sono finita su questo forum e’ stata determinante perchè mi ha permesso dopo tanto tempo di espormi nuovamente a quegli stimoli che attivavano la mia dipendenza, la mia non autosufficienza emotiva.
Ho potuto affrontare i miei limiti, le mie paure, le mie insicurezze relazionali sotto una nuova luce e cioè quella di quando si vive e si fronteggia una cosa chiamandola con il suo nome esatto ed avendone piena coscienza.
Inoltre, il fatto di non aver saputo gestire serenamente l’ultima relazione, mi ha fatto arrivare qui, dove ho potuto crescere ulteriormente.

Ma la dipendenza si sviluppa nel contesto familiare.
Si ripropone attraverso le relazioni, ma nasce all’interno della famiglia.

Questo e’ il mio problema di oggi. Mi rendo conto che sono ancora rabbiosa nei confronti della mia famiglia.
Razionalmente ho capito che loro hanno fatto del loro meglio per me, pur compiendo errori fatali; ho capito che mi hanno dato tutto ciò che avevano e cioè quello che hanno a loro volta ricevuto dalle loro famiglie d’origine.
Ho capito perfettamente che quando si vive una vita dura, sia a livello emotivo che a livello pratico, come la loro, e’ già tanto se non ci si trasforma in mostri veri e propri.
Incapacità di comunicare, anaffettività, ossessione, fobie, aggressività, dipendenza, assenza fisica ed emotiva: tutte cose che loro hanno conosciuto da molto piccoli e per tutta la loro esistenza. Come potevano educarmi attraverso altre risorse?
Lo so, eppure ancora non l’ho accettato pienamente, nonostante io ami immensamente i miei genitori e sia consapevole di quanto loro amino me.
Lo accetto razionalmente, sono anche capace di scriverlo, ma sento nei loro confronti ancora un enorme rancore, che non riesco a superare, forse perchè non l’ho affrontato come si deve.
Non riesco a tradurre in sensazione ciò che ho appreso intellettivamente.

Oggi ho riscoperto in me una forza maggiore, che consiste nel fatto che il mio desiderio più grande e ciò di cui sento davvero il bisogno sono io. Io con le mie aspirazioni, i miei gusti, la mia strada, il mio futuro, i miei sentimenti, i miei principi, il mio valore, le mie sensazioni, le mie scelte.
Oggi, per la prima volta, sto contribuendo alla costruzione della mia vita con un’attenzione per me stessa del tutto nuova. Oggi non sento il bisogno asfissiante di avere di fianco una figura maschile da cui dipendere emotivamente per risolvere ciò che ancora non va nella mia vita e dentro di me.
Sento il bisogno di farlo io, pur non chiudendomi dentro casa. Non avrei paura di accogliere una nuova relazione, ma la cosa oggi non mi preoccupa. Non quanto prima, almeno.
Mi sento più stabile e mi sento di poter affidarmi alla vita e a me stessa un pochino di più.

Ma non riesco ad abbandonarmi al perdono totale nei confronti dei miei genitori, c’e’ qualcosa che mi ostacola, e non sono loro. Oggi loro hanno capito qualcosa del mio dolore, sanno che sto affrontando un percorso personale per tirarmene fuori, hanno capito tanti dei loro sbagli e, a modo loro e per quanto possono, cercano di rimediare.
Il problema sono io, sono io che non riesco ad andare oltre, a fare un passo decisivo verso la loro completa accettazione. Continuo a sentire un senso di ostilità nei loro confronti.
Ed ho paura che finchè non riuscirò ad accettare e perdonare loro, non potrò in realtà accettare e perdonare totalmente me stessa.

Non e’ che io sia convinta di aver superato tutti gli altri aspetti insiti nella dipendenza affettiva, ma credo, anzi, che per fare un ulteriore passo in avanti verso il mio benessere emotivo, sia necessario superare questo nodo.

Sono consapevole che qui nessuno può fare nulla al posto mio, e che molto probabilmente nemmeno io da sola avrò mai tutti gli strumenti necessari per risolvere tutto ciò. Sono convinta di avere dentro le risorse, ma credo di avere bisogno di qualcuno che mi indichi meglio la strada e che mi supporti, che mi stimoli e che mi accompagni nell’affrontare un discorso così cruciale con me stessa (terapia). Almeno questo e’ ciò che penso oggi.
Ma spero, nel frattempo, di poter confrontarmi con qualcuno qui su questo argomento perchè per me e’ davvero un tasto dolente.
Grazie per aver letto, Yana

Ciao Yana, stasera iniziando a leggere il tuo post il mio pensiero è andato a mio padre.
Ho pensato subito che avrei trovato delle similitudini tra il tuo sentire ed il mio nei confronti di quest’uomo ma mi sono accorta che non è così.
Anche stasera, serata di lavoro importante per me, lui è venuto ed io ho dovuto chiedergli alla fine se gli fosse piaciuto ciò che avevo fatto: la risposta è stata un timido si, come a dire si abbastanza.
So già per certo che domani mi elencherà con dovizia di dettagli ciò che non gli è piaciuto e si scorderà di dirmi cosa è andato bene.

Eppure io non sento rancore ma solo tanta tristezza per qualcosa che non avrò mai perchè al contrario dei tuoi genitori, mio padre ancora non ha capito cosa del nostro non-rapporto mi fa soffrire. Anzi credo non abbia nemmeno capito che mi fa soffrire!
Forse di fronte a questa totale forma di incomunicabilità io ho ceduto le armi: non mi aspetto più nulla e non nutro rancore.

Credo che questo, il nutrire rancore, avvenga quando comunque noi ci aspettiamo dagli altri di più di quello che riceviamo perchè li riteniamo abbastanza intelligenti e capaci da darci di più.
Per esempio io nutro una profonda stima nei confronti di mia madre e quando lei, per stanchezza o per distrazione, non mi comprende o non risponde con la solita prontezza, io mi irrito.
Sono cosciente che tutto ciò non è giusto e mi sono chiesta più volte perchè accada e mi sono risposta che non accetto che lei non si comporti come io reputo essere alla sua altezza.
Così non mi irrito o provo rancore per mio padre.

Però comprendo perfettamente il tuo stato d’animo, perchè io non lo vivo con i miei genitori ma con mio marito: cambia il soggetto ma non l’effetto.
Io sento di dover fare ancora un ulteriore passo per far coincidere ciò che razionalmente ho compreso con ciò che sento.
A volte mi sembra di riuscirci ma poi succede qualcosa che mi riporta alla mente un episodio che mi ha ferito e allora riemerge il dolore, la rabbia di aver permesso a qualcuno di ferirmi così tanto, di aver deluso le mie aspettative.
Ma come ha potuto un uomo che conosco bene assumere atteggiamenti così rovinosi?
La risposta la conosco bene eppure non mi aiuta.

Ho cercato aiuto nella psicoterapia in questo ma alla fine, forse perchè non sono riuscita ad approfondire, anche così nulla è cambiato.
Vorrei tanto poterti offrire una risposta, quella che anche io cerco da mesi ma ho solo le considerazioni che ti ho già scritto per ora.
Chissà che magari insieme non riusciamo a capirci qualcosa di più!!!
Un abbraccio grande Zebretta

Cara Yana,
stai ripercorrendo e hai ripercorso a ritroso le tappe della tua esistenza. Hai capito certi meccanismi da dove sono stati scaturiti e hai scoperto i tuoi e i loro limiti. La rabbia che provi dentro è quella che hai provato da bambina, la rabbia perché i bambini non hanno altre difese che questa. I bambini sono egocentrici e nello stesso tempo si aggrappano al “sole” che è il padre e la madre. Per il bambino il genitore è come un “Dio” che è amorevole e benigno e non può avere cedimenti, se ne ha il bambino lo “odia” perché dimostra di essere fragile così come si sente lui fragile, allora chi lo proteggerà? si chiede. Oltretutto il bambino non ha coscienza di sè altro dai genitori e, quanto più nel tempo questo diventerà più evidente, tanto più lui sentirà rabbia nei confronti dei genitori che hanno nella coppia (equilibrata o disequilibrata che sia) il loro vero nucleo; il bambino si sente tagliato fuori da quell’amore o da quell’odio che sente tra i genitori. Si sente come Adamo scacciato dal Paradiso.
Tu dici di aver riconosciuto e che loro hanno riconosciuto di avere delle responsabilità, ma probabilmente sei in una fase del riversare su di loro la maggior parte della responsabilità emotiva. Riconosci razionalmente le tue responsabilità ma non quelle emotive non riesci ad accettare che ciò di cui loro ti hanno privata è stato determinante perché tu hai reagito delegando a loro.
Tu pensi che essendo una bambina dovevano essere loro a fare il meglio per te, e non accetti il fatto che i tuoi genitori sono diversi hanno esperienze e caratteri diversi, cultura diversa; per loro ciò che hanno fatto era il giusto, era quello che avevano imparato e che gli era stato insegnato. Sei tu che emotivamente devi riconoscere che probabilmente fino ad oggi non hai avuto fiducia nella tua forza e hai deciso che era la loro forza a dover fare per te. Non hai avuto la forza per staccarti emotivamente da loro, loro non lo hanno fatto perché non è nella loro formazione mentale; la responsabilità è tua, perché tua è la tua vita. Ognuno deve imparare che può fare della propria vita ciò che desidera a prescindere da ciò che gli è stato dato e non dato.
Se ogni ostacolo diventa la giustificazione per delegare la responsabilità emotiva sui genitori, vuol dire che il bambino dentro di noi non ha ancora preso coscienza del fatto che è lui a determinare la propria vita ma vive ancora la nostalgia della vita simbiotica vissuta nei primi due anni dell’esistenza. Quando emotivamente riuscirai a vederlo (ci vuole analisi ma anche tempo) la fase successiva sarà perdonare te. Quando questo sarà consolidato allora sarai in grado di perdonare anche loro e riuscire ad essere serena anche se loro non sono ciò che desideri o speri. Questo periodo è utile per tirare fuori la rabbia di anni, quando sentirai che quella rabbia non nutre più la tua soddisfazione allora passerai alla fase della coscienza di cui parlavo prima.

Per Zebretta:
Quando non sarà più determinante e non farà più male che tuo padre non riconosca il tuo valore, perché tu sai di averne uno a prescindere da lui, allora questa malinconia non pungerà più. Anzi non cercherai più di essere brava o bella ai suoi occhi perché tu sai di esserlo comunque, mentre capisci che lui non è in grado di reggere il confronto con te perché in realtà è molto più insicuro di quanto non ti sia mai sembrato sin da bambina che per te era la “cartina tornasole” del mondo maschile. Un abbraccio ad entrambe. Pat
P.S.: è dura, durissima, io l’ho passato prima di voi. Ma quando si è fuori da tutto questo, nonostante qualsiasi dolore possa tornare a farvi male sarete in grado di affrontarlo con una forza nuova. Pat

Cara Yana, ti comprendo benissimo. Ho vissuto provando rancore per tutta la mia vita nei confronti soprattutto di mio padre ma anche per mia madre ma credo di avere superato questa fase. Purtroppo non so darti un consiglio che vada bene per te. Ognuno ha il suo percorso. Per me quello che mi ha “liberata” dal rancore, è stato il confronto come genitore: il comprendere che anche io, che sono certa dell’amore immenso che provo per mia figlia, sto facendo i loro stessi errori quando non ne aggiungo altri di miei. Questo mi ha fatto comprendere fino in fondo che gli errori non derivano dal poco amore ma dai limiti che noi abbiamo. Io amo mia figlia immensamente come ogni madre eppure sbaglio.. come ogni madre… Saprai dare amore se ne hai ricevuto ma non averlo ricevuto non vuol dire che non siamo stati amati. Mio padre aveva una madre che incuteva terrore.. la sua vita era stata davvero dura… I nostri genitori hanno vissuto delle vite terribili.. e i loro genitori ancor di più.. hanno vissuto due guerre e avevano “camionate” di figli. Altro che pensare a come rispondere alle richieste dei figli.. loro dovevano cercare di fare in modo semplicemente che i figli sopravvivessero…Questo nel passato della mia famiglia. So che questo non basta per fare la pace con i nostri genitori. Temo che, come in ogni tappa del nostro percorso, il primo gradino per risolvere i nostri problemi sia la consapevolezza che non è abbastanza, però.. una volta raggiuntala credo sia necessario lasciare che la vita ci guidi cogliendo i suoi suggerimenti. La mia vita mi ha posto innanzi alla malattia di mio padre e solo così ho iniziato il percorso che mi sta portando ad elaborare vecchie ferite che credevo insanabili. La rabbia si è sciolta lasciando posto al dolore, all’amore e a tante sensazioni ed emozioni profondissime ed intensissime che erano racchiuse dentro un contenitore di rabbia. E sai una cosa? Credevo che la rabbia fosse l’unica cosa da “combattere” invece era solo un piccolo sintomo che mascherava un mondo di emozioni sommerse.
Talvolta mi lascio prendere dalla paura di queste sensazioni che escono fuori che sono sconosciute.. mi sorprendono come un fiume in piena che travolge ogni cosa…. Se ti accadrà non averne paura… accogli quel fiume come sto cercando di accoglierlo io.. è l’unico modo per fare la pace con se stessi e con le nostre radici: i nostri genitori che amiamo. Non avere fretta e non avere paura… se quello che vuoi davvero è fare la pace con loro vedrai che la vita di dirà come fare.. ti mando un abbraccio fortissimo
Gio62

Ciao a tutti, molto interessante questo tema, e grazie per averlo proposto.
Io a volte mi chiedo: perchè sei qui a farti mille domande sul passato, su come si sono comportati loro (i genitori), sulle scelte che hanno fatto, che inevitabilmente hanno pesato sul mio futuro, sui modelli e valori che mi hanno trasferito,etc.. Tu, a questa età, dovresti gestire la tua vita in modo autonomo e libero, dovresti farti una famiglia come la vuoi tu, a coltivare una relazione sana e costruttiva con un compagno, e non dovresti passare il tuo tempo a distruggere tutto come Attila! E invece scopro che ho ancora bisogno della loro approvazione, io che sono praticamente cresciuta da sola (e questo lo dico con una punta di orgoglio!) , che ho scelto tutto da sola (dalle scuole superiori, agli sport alle elementari, le amicizie da frequentare, i vestiti da comperare..) che non ho mai fatto pesare i miei problemi, che non ho mai fatto pesare il peso delle loro scelte su di me. Io che fino a ieri ero il simbolo dell’autonomia, mi scopro debole, dipendente dal mio compagno, dentro una relazione che contava moltissimo per me, e che a causa dei miei comportamenti asfissianti e scostanti è finita. Come ho perdonato tutto ai miei (apparentemente) non perdonavo niente a lui. E coltivo sempre di più il sospetto, di non averli perdonati veramente e per questo di essere ancoràta ancora a loro; di essermi autoboicottata, perché scegliere il mio compagno significava probabilmente rinnegare mio padre, e il sistema dei valori nei quali sono cresciuta. Scegliere il mio compagno e la vita insieme a lui era una sorta di tradimento nei confronti della mia famiglia, alla quale mi sentivo e mi sento tuttora legata da un sentimento anomalo, (una dipendenza?). E oggi sento più vivo che mai questo rancore, non solo per il passato, ma per il fardello che mi sento dentro oggi, e che non riesco a scrollarmi di dosso. Come se paradossalmente quella presenza che chiedevo invano da piccola, fosse diventata una realtà solo oggi , fuori tempo massimo, con tutto il peso e l’ingombro delle cose fuori posto.

Buona giornata! Piggy

Cara Zebretta,
Il nostro sentire nei confronti dei nostri “padri” ha invece molte similitudini. O meglio, tu provi piu’ tristezza e io rancore (misto ad un’infinita tristezza), ma la sensazione che provi quando lui non e’ capace di apprezzarti, o non in grado di esternarlo, e’ la medesima.
Sono cresciuta in mezzo ai suoi rimproveri, alle critiche; anche quando le cose andavano bene..potevano sempre andare meglio, per lui. Di conseguenza, anche per me.

Conosco bene questa sensazione che ti ferisce e t’influenza per tutta la vita, e che ti fa inglobare in fondo a te stesa una subdola errata convinzione: quella di non essere mai all’altezza, di non essere adeguata.
Per me combattere contro questa sensazione, che e’ sempre stata molto inconscia e quindi presente in modo latente, e’ qualcosa di molto difficile, anche adesso che me ne rendo conto.
Forse perche’ le emozioni più nascoste riguardo a questa ferita le ho razionalmente comprese ampiamente , ma non sono mai emerse realmente per un contatto vivo con me stessa.
E’ di questo che ho bisogno, ma probabilmente continuo ad erigere delle barriere perchè ho paura di farmi sopraffare dal vortice di sofferenza che si scatenerebbe.
Credo di non avere il coraggio, o la forza, di lasciarmi andare veramente su questo punto.
Forse non e’ ancora arrivato il momento, o ci sto arrivando piano piano: il nostro inconscio e’ rimasto bambino, ma lavora per proteggerci in fondo, ed ha una logica che forse non apprezziamo abbastanza. Ci permette di affrontare le nostre angosce limitatamente a quanto il nostro organismo (mente e corpo) e’ in grado di sopportare gradualmente.
Quindi forse devo solo farmi trasportare dagli eventi, come dice Gio62, e lasciare sfogare gradualmente tutti i sentimenti che mi porto dentro da una vita. La rabbia, il rancore, ma anche tanti altri.

C’e’ una frase che hai detto, che mi ha fatto riflettere tantissimo:

Credo che questo, il nutrire rancore, avvenga quando comunque noi ci aspettiamo dagli altri di più di quello che riceviamo perchè li riteniamo abbastanza intelligenti e capaci da darci di più.

Non mi ero mai soffermata su questo aspetto e credo tu abbia perfettamente ragione.
E’ vero, credo di aspettarmi sotterraneamente qualcosa di più dai miei genitori da sempre, e non ho ancora smesso di farlo. Questo continua a significare che non ho ancora imparato ad accettarli veramente, a perdonarli e a smettere di delegare a loro tutta la responsabilità della persona che sono oggi.
Ragazze, com’e’ difficile!

Grazie Zebretta, mi hai fornito uno spunto importantissimo per continuare a capire..e forse a liberarmi un pochino di più..
Un bacio enorme Yana

Pat,
tutto ciò che dici e’ vero, verissimo.
Mi riconosco in tutto, riesco a vedere tutto, ma non riesco a sentirlo pienamente con il cuore. Emotivamente, non ho ancora superato, non mi prendo per ora ancora tutte le mie responsabilità, come dici tu, nonostante lo abbia capito, letto, sentito dire, addirittura scritto, molte volte.
E’ questo che mi rende inquieta. Vorrei decidere di sentire tutte queste cose, ma non e’ così che succede.

Ci sono stati momenti in cui ho pensato che stava per sopraggiungere la fase in cui tutto sarebbe sgorgato fuori. In parte e’ successo, ci sono stati diversi periodi della mia vita in cui ho provato una rabbia accecante, un dolore acuto, e nelle ultime situazioni in cui tutto ciò e’ accaduto, non sono stata in grado di trattenere nulla. Ho buttato fuori, ed e’ stato un inferno, anche se in parte mi ha liberata.
Ma sento che non e’ finita, perchè oggi, ancora, dopo tutto questo, mi sento ancora rancorosa ed in certi frangenti la cosa e’ incontrollabile (ed io cerco comunque di tenerla sotto controllo).

Oramai il tempo dell’infanzia e’ passato, ed anche il tempo in cui non capivo, ma, anche se sotto molti aspetti i miei hanno potuto vedere l’angoscia e l’odio scaturito dal nostro e dal loro rapporto, anche se per certi versi si sforzano di venirmi incontro, loro sono comunque e saranno sempre le persone che sono.
Dovrei accettarli esattamente per ciò che sono, arrendermi, amarli per le loro qualità e per i loro limiti, eppure i loro limiti continuano ad urtarmi.

L’indifferenza non e’ possibile quando si parla della propria famiglia, e non posso e non voglio allontanarmi da loro, come si può fare con una relazione che non fa per noi. L’unico modo e’ accettare, lo so, ma faccio una tremenda fatica.
In questo, tempo fa, pensavo di essere più avanti, oggi mi rendo conto che sono indietro.

Grazie infinite Yana

Recupero questo thread di Yana perché quest’argomento oggi mi sta particolarmente a cuore. Penso, infatti, che per me il non aver superato il rancore in famiglia sia ciò che più di qualunque altra cosa sta ostacolando la mia crescita e il mio cammino verso la serenità.

Il rancore, come ho già scritto, ci annebbia e ci rende incapaci di misurarci in modo lucido con noi stessi e con gli altri. Quando il rancore si “materializza” come sentimento negativo verso un’altra persona è per lo meno “tangibile”, lo vedi e sai che lo puoi affrontare, puoi fare finta di non vederlo, è una tua scelta… ma è comunque lì, assume la forma della persona “odiata” e ci sfida ad affrontarlo…

Il rancore che si origina nella famiglia di origine, per quanto riguarda la mia esperienza, ha una connotazione molto più subdola. Non è un sentimento che mi induce a vedere mio padre o mia madre come miei carnefici, come responsabili delle mie frustrazioni e delle mie sofferenze, dei miei traumi e delle mie paure… Proprio per quello non l’ho riconosciuto. Per tanti anni, in particolare dal periodo universitario sino ad oggi (parliamo di 15 anni circa) questo sentimento negativo mi ha corroso lentamente senza prendere una forma ben definita. Erano una serie di comportamenti interiorizzati che a volte si manifestavano come ossessività nello studio, a volte come rigidità nei rapporti interpersonali, a volte come eccessivo senso del dovere e della moralità, a volte come arroccamento e chiusura mentale. Quando tutte queste dinamiche si sono accumulate hanno creato una sovrastruttura al di sopra del mio carattere, che pur non facendo parte dell’ essenza della mia personalità l’hanno condizionata drammaticamente. Io non mi rendevo conto che tutto quello non era parte di me, quindi non riuscivo ad essere obiettivo, perché la sovrastruttura deformava la mia visuale.

Le situazioni di sofferenza affrontate nell’infanzia e nell’adolescenza erano troppo pesanti da affrontare, quindi le ho intellettualizzate per non sentire la loro portata dolorosa… mi sono “contratto” per trattenerle dentro di me. La mia esperienza traumatica di qualche mese fa è stata però una svolta in termini di consapevolezza, sono riuscito a ricondurre finalmente tutte le mie nevrosi alla loro origine e quello che era vago e non ben definito ha preso finalmente forma. E’ stato devastante accorgermi, ed è stato un momento che non dimenticherò mai, che nel “rispondere male” ai miei genitori veniva fuori esattamente quello che per anni mi ha fatto vivere una profonda inquietudine, ha fatto crollare la mia autostima, mi ha reso debole, vulnerabile e… dipendente . L’origine era la stessa. Finalmente conoscevo la radice dei miei mali.

Lavorare su queste dinamiche è difficilissimo, perché si tratta di pensieri irrazionali ormai stratificati e sedimentati dentro… ci vuole un lavoro enorme per scardinarli dalle fondamenta… eppure quando ho avuto consapevolezza di tutto ciò ho trovato dentro di me una forza di volontà che non pensavo assolutamente di avere tra le mie risorse (ero ormai completamente “scarico”). Quest’energia proviene dalla volontà di interrompere, finalmente, lo spreco di energie mentali e poterle incanalare in un cammino, pur lungo e faticoso, che porta a stare bene con me stesso .

Sto già meglio e questo è il segno che la strada è quella giusta.

Un abbraccio Dentwilliams

Ciao dent,
tu stai vivendo ciò che io ho vissuto e continuo ad affrontare ogni giorno. Per molti anni ho pensato che la colpa dei miei comportamenti negativi o dei miei fallimenti fosse imputabile alla mia incapacità, alle mie mancanze. Poi quando ho recuperato l’amore per me stessa ho riconosciuto che se errori avevo commesso era perché nessuno mi aveva insegnato a credere in me stessa; anzi i miei genitori mi hanno cresciuta minando proprio le mie sicurezze interiori. Non perché non mi amassero ma perché erano anch’essi una coppia di insicuri in modo uguale e inverso l’uno nei confronti dell’altro e avevano bisogno di sentire la dipendenza dei figli. A tre anni ho subito un trauma e piuttosto che ammettere a loro stessi che non erano riusciti a proteggermi proprio per la loro stessa dipendenza affettiva nei confronti della famiglia di origine, hanno preferito negare (tuttora mia madre non riesce ad ammetterlo e sono discorsi recenti…di contro ho avuto la soddisfazione questa estate di avere conferma da una mia zia che fortunatamente sta facendo un proprio percorso di crescita) e farmi sentire bugiarda, visionaria e colpevole. Oggi non ho più intenzione di convincerla, so di essere nel giusto, so che lei mi vuol bene; in modo malato però, da dipendente. Lei non riesce a vivere una sua vita autonoma con mio padre, ha bisogno di sentirsi continuamente occupata con la vita degli altri, soprattutto noi figli. Quando ho capito all’inizio del mio percorso che veniva da lì la mia dipendenza è stato un fiume in piena di rabbia. Sono andata a vivere per mio conto, i rapporti con loro sono diventati conflittuali o formali..oggi ho messo un freno a tutto questo. Capisco che non sono in grado (papà ha altri limiti)di amarmi come vorrei e non gliene faccio una colpa, sono cresciuti così e all’epoca avevano altre esigenze primarie che non quelle psicologiche; ma non intendo ricalcare la vita che loro vorrebbero per me nè permettergli di invadere il mio privato. Cerco di amarli come posso e di trovare un terreno di comunicazione possibile. Mi è più facile quando la mia vita è serena, quando ho momenti di confusione, dubbi, cerco di tenerli fuori; di isolarmi perché so di non poter contare sul loro aiuto tranne che quello economico. In questi ultimi cinque anni ho analizzato il mio profondo, ho scoperto forze dentro di me che non sapevo di avere; mi sono sentita un individuo e non più l’appendice di qualcuno. E’ stata una sensazione bellissima e auguro a tutti di arrivare a provarla. Prosegui su questa strada: qualche volta avrai dei dubbi; qualche volta potrai essere sommerso da una sensazione di perdere quasi la rotta, di avere le vertigini…proseguire ti farà sentire di avere il timone tu nelle tue mani. Un abbraccio e grazie mi hai dato modo di parlare un po’ del mio percorso. Pat

Ciao a tutti. Lo avevo promesso ( in un altro thread) e lo scrivo! Lo scrivo perchè penso possa essere di aiuto a qualcuno e anche perchè è un’esperienza molto bella da condividere.
Non mi riferisco ad un post piuttosto che ad un altro ma quello che voglio assolutamente dire è che non bisogna avere fretta nel risolvere la rabbia. Vorrei dire che, nella mia esperienza, lo scorrere della vita ci aiuta.. dobbiamo solo essere pronti ad accettare e ad essere più recettivi e le soluzioni ai nostri problemi arriveranno. Provare rancore è normale.. è una fase.. io ci ho convissuto per decenni.
Il rapporto con mio padre ha minato i miei rapporti con il sesso maschile per anni. Ma ha reso differenti anche i rapporti con il resto del mondo perché buona parte della mia insicurezza la devo alla mancanza affettiva di mio papà.
Lui fisicamente c’era ma mai una carezza, mai un apprezzamento.. tutto il contrario!
Fin da quando ho ricordi vedo una bambina che avrebbe fatto ogni cosa per raggiungere suo padre ma che non riusciva a raggiungerlo e si sentiva infelice.. Nell’adolescenza vedo un padre che mi ha ostacolato in ogni modo, che mi ha criticato in ogni modo… e una madre che non era da meno nonostante facesse la parte della mia amica .
Vedo una Gio che ha portato tanto rancore alle figure maschili in alcuni momenti della vita, una Gio che ha odiato suo padre disegnandolo come un mostro.
Poi un giorno Gio ha guardato suo padre con occhi diversi e ha visto un uomo: è stato come se cadesse una maschera ..
E ho capito.. ho visto tutta la sua fragilità. Ho visto nello specchio nel quale mi riflettevo l’immagine di mio padre che avrebbe voluto tante volte raggiungermi ma non sapeva come e probabilmente aveva sofferto molto. Ho visto un vecchio sofferente che non ha più voglia di vivere perché gli manca la capacità di amare e senza amore si muore… si muore dentro.
Non so come è successo ma da quel momento qualcosa è scattato.. La sua malattia ci ha aiutati e, per assurdo, i momenti in cui io mi curo di lui ( ad esempio accompagnandolo a fare esami) e siamo soli senza la presenza di mia madre, sono talmente belli ed intensi da sembrarmi dei miracoli.
E ho capito alla mia veneranda età cosa voglia dire avere un padre vero, sentire la presenza di un padre. Ho provato quelle sensazioni che le mie amiche provavano e che non comprendevo. Ho compreso che esiste un filo che lega il padre e la figlia. Lo immaginavo ma non lo sapevo.
E’ assurdo ma la sua presenza.. la presenza di un uomo vecchio che sta malamente in piedi e probabilmente ha poco da vivere.. mi da sicurezza come non ne ho mai avuta.
Ho scoperto che mia madre ha giocato un ruolo fondamentale in questo nostro rapporto conflittuale allontanandoci, probabilmente, per potere lei avere il controllo e la gratificazione totale della mia presenza ed affetto…..
Non ho mai visto questo aspetto di mia madre.. non l’ho mai considerata così.. per me era la donna succube e debole del marito/papà/padrone: la vittima… ma i ruoli non erano così. L’anello debole era mio papà. Era mia mamma che esercitava il controllo.
Ma scoprire questo aspetto di mia madre non me la fa odiare… io sono madre ora e so cosa vuole dire esserlo, so quanto facilmente si fanno errori e lei mi ha amata più di se stessa! Ma questo mi apre un mondo che non conoscevo.
Incredibilmente la scoperta di questo ha aperto un varco in quel muro che pareva insormontabile. Mio papà parla poco.. non parlerà mai dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. Non mi ha dato mai un abbraccio forse mai me lo darà perché sarebbe fare una violenza al suo modo di essere. Sto smettendo di desiderarlo tanto perchè le nostre anime si sono abbracciate comunque.Ho scoperto la via del suo cuore.. Quando gli ho parlato l’altro giorno ( vedi che schifo! Uno sfogo) lui non ha detto nulla. Si è rinchiuso in se stesso dicendo “basta o me ne vado” perché non voleva farsi vedere emozionato ma poi non ha dormito per tutta la notte… poi era sorridente nonostante non sia nel momento migliore della sua vita.
E’ stranissimo ….avere avuto il coraggio di parlargli mi ha fatto fare la pace anche con me. Mi sento più leggera ed è come se avessi un peso in meno …
In rancore ci distrugge. Io pensavo di provarlo solo nei suoi confronti e invece era parte di me, e ora sono in pace ed è bellissimo.
So che davanti a noi c’è un momento molto duro e non voglio neppure pensare a come potrà essere soprattutto quando mi lascerà.. ma ora so che siamo in pace…La vita scorre e finisce.. l’importante è viverla al maglio.
Io non ho mai sperato tutto questo e se lo avessi voluto raggiungere non ce l’avrei fatta… Ecco quello che volevo soprattutto dire. Ognuno di noi ha una strada e nessuno può dirci cosa è meglio.. dobbiamo solo ed unicamente imparare ad ascoltarci.. ad affidarci. Ragionando non avrei mai potuto giungere a questo. E’ certo importante comprendere ma è ancora più fondamentale lasciarsi andare al fiume della vita accogliendo le possibilità che ci vengono date.
Spero che questo post possa essere di aiuto a qualcuno.
Un abbraccio a tutti
Gio62

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it