GELOSIA DEL PASSATO – SINDROME DI REBECCA

“Mi parlava anche delle gite che aveva fatte con certe amiche nella campagna olandese, dei suoi ritorni a tarda sera ad Amsterdam, quando una folla compatta e festosa di persone che lei conosceva quasi tutte riempiva le vie, le rive dei canali, di cui mi pareva veder riflettersi negli occhi brillanti di lei, come negli specchi incerti di una carrozza lanciata al galoppo, i fuochi innumerevoli e fuggenti, Come la sedicente curiosità estetica meriterebbe di esser chiamata indifferenza, a paragone della curiosità dolorosa, instancabile, che provavo per i luoghi dove Albertine era vissuta, per quel che potesse aver fatto una certa sera, per i sorrisi, gli sguardi che aveva avuti, per le parole da lei dette, per i baci ricevuti! No, mai la gelosia che avevo sofferta un giorno a cagione di Saint-Loup, se fosse perdurata in me, mai non mi avrebbe dato quell’immensa inquietudine. Quell’amore tra donne era per me qualcosa di troppo sconosciuto, di cui nulla mi permetteva d’immaginare, con certezza, con precisione, i piaceri, la natura. Quanti esseri, quanti luoghi (che magari non la riguardavano direttamente: indefiniti luoghi di piacere, dove lei poteva averlo gustato, ambienti affollati dove ci si sfiora l’un con l’altro, Albertine – come una persona che, facendo passare davanti a sé, al controllo, il proprio seguito, un’intera compagnia, la faccia entrare in teatro – aveva introdotto nel mio cuore dalla soglia della mia immaginazione o delle mie memorie, dove mi erano indifferenti! Adesso, ne avevo una conoscenza interna, , immediata, dolorosa, spasmodica, L’amore è lo spazio e il tempo resi sensibili al cuore. (M. Proust, La prigioniera)

 

La gelosia per il passato sentimentale del proprio partner viene detta anche ” Sindrome di Rebecca”, definizione che deriva dal film di Alfred Hitchcock “Rebecca la prima moglie”.

Una lieve gelosia nei confronti di una precedente relazione del proprio partner è naturale e fisiologica. Sopratutto se l’altra o l’altro in questione ha posseduto una delle seguenti caratteristiche:

  • condivisone di fasi importanti della vita rcome la nascita di un figlio,
  • superamento di particolari difficoltà,
  • esperienza positive come successi professionali e viaggi memorabili,
  • bellezza fisica o particolare fascino.

La questione si complica quando la leggera sofferenza provocata dal confronto con l’altro o l’altra, che di solito avviene durante le prime fasi del rapporto, si trasforma in una vera e propria ossessione e innesca una forma di gelosia così tormentosa per sè e per l’altro da impedire un equilibrato rapporto di coppia, autonomo e del tutto originale.
La Ex diventa allora un Fantasma che aleggia minaccioso, una figura onnipresente che assume un ruolo di primo piano che non le compete più e si intromette nella coppia, ne limita la spontaneità, avvelena l’amore e frena la conquista di una propria storia affettiva caratterizzata da nuove abitudini.

I motivi che portano a mitizzare la precedente compagna e a temere l’influenza sul partner possono essere diversi.
Può dipendere da un proprio basso livello di autostima che fa sentire l’altra migliore, bellissima, ricca di doti e induce a collocare se stesse su un piano di inferiorità, nonostante le rassicurazioni del compagno/a, e le sue tangibili prove di amore, attenzioni e fedeltà.
Potrebbe anche succedere che siano invece componenti familiari, tipo cognate, suocere, parenti o amici ad avere la tendenza, più o meno consapevole, a perpetuare il ricordo della partner di un tempo, esaltandone doti e caratteristiche e alimentando, di conseguenza, rivalità e gelosie.
Se proprio è il compagno che non è riuscito a staccarsi completamente dalla precedente storia, la figura della ex mantiene un enorme potere e diventa realmente una minaccia. Lui potrebbe parlarne spesso, esaltandone le qualità e ponendola come esempio, oppure lasciarsi influenzare dalle esperienze fatte con lei tenendo a ripeterle senza cercare modalità diverse e più consone alla personalità e ai gusti della nuova compagna.

In questo caso la figura dell’ex è senz’altro un fantasma che fa ombra alla coppia. Se lui non cambia atteggiamento, si mette in atto una sorta di rapporto a tre, il più delle volte logorante solo per la nuova arrivata che, per tentare di ribaltare a proprio vantagio la situazione, deve prendere provvedimenti ai primi segnali per evitare che lo stato delle cose acquisti una certa stabilità, diventando sempre più difficile da modificare.

Ogni persona ha precedenti esperienze sentimentali, che fanno in parte contribuito a formarne la personalità e il modo di essere. La scelta di un nuovo partner dipende anche dalla personale storia affettiva, che quindi non può essere taciuta. Chiudersi in un silenzio assoluto riguardo al passato è controproducente, perchè rischia di far nascere nell’altro dubbi e incertezze sfavorevoli per avviare una relazione appagante.
Si tratta piuttosto di integrare e armonizzare le esperienze fatte con la situazione presente.

Mettere in comune il proprio passato sentimentale, raccontando la storia dei vecchi amori al compagno attuale, è un passo inevitabile e importante nella costruzione di un nuovo rapporto: da un lato, infatti, arricchisce e completa la reciproca conoscenza, mentre dall’altro permette di superare l’esperienza precedente. Rappresenta, insomma, un passaggio obbligato per affrontare un percorso comune che metta al centro la nuova coppia.
L’importante è saper misurare le parole ed essere delicati, prudenti e rispettosi della sensibilità dell’altro/a, evitando di eccedere nel racconto di particolari che potrebbero pesare come pietre sul rapporto avviato.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

GELOSIA PATOLOGICA: GELOSIA OSSESSIVA, SINDROME DI MAIRET, SINDROME DI OTELLO

OTELLO: Quel fazzoletto che mi era tanto caro, e te l’avevo dato io, e tu l’hai dato a Cassio.
DESDEMONA: No: sulla mia vita e sull’anima mia. Mandatelo a chiamare e domandatelo a lui.
OTELLO: Guardati, anima dolce, dallo spergiuro. Guardati! Sei sul letto di morte.
DESDEMONA: Lo so: non per morirci ora.
OTELLO: Sì . Subito. E dunque confessa apertamente il tuo peccato; perché il negarlo in ogni suo punto con giuramento, non potrà smuovere mai né soffocare questa certezza che mi strazia. Devi morire.
COMMENTATORE: Il tradimento del proprio compagno o della propria compagna mostra come tutto ciò che appare perfetto e che conferisce senso alle cose può avere fine. Il tradimento della coppia conduce alla conoscenza di questa realtà e quindi, in fondo, alla profonda solitudine e separatezza degli esseri umani.
DESDEMONA: Domani mi ucciderai. Lasciami vivere stanotte.
OTELLO: Ah, resisti?
DESDEMONA: Solo mezz’ora. . .
OTELLO: Ora. È deciso. Subito.
DESDEMONA: Il tempo di dire una preghiera.

La gelosia patologica può essere inquadrata in tre grandi gruppi distinti in base alle caratteristiche formali delle idee di gelosia. Sono, in ordine di gravità:
1) la Gelosia Ossessiva in cui le tematiche di gelosia hanno caratteristiche che possono rientrare in quelle che il DSM-IV ha indicato per il Disturbo Ossessivo Compulsivo;
2) la Sindrome di Mairet in cui le tematiche di gelosia hanno le caratteristiche formali delle idee prevalenti;
3) la Gelosia Delirante o Disturbo Delirante di tipo Geloso secondo il DSM IV, detta anche «Sindrome di Otello».
Nella Gelosia Ossessiva le immagini e le idee di infedeltà sono incoercibili e nucleare è il dubbio sulla infedeltà del partner, un dubbio lacerante che non si riesce a mettere a tacere. Chi ne soffre è continuamente alla ricerca di segnali che possano lenirlo, confermarlo o smentirlo. Il paziente si trasforma spesso in un detective a tempo pieno che può impiegare nelle attività di ricerca delle infedeltà del partner il più e il meglio del suo tempo. I gelosi ossessivi riconoscono l’infondatezza dei loro sospetti, arrivano anche a vergognarsene, ma sono, loro malgrado, trascinati e sommersi dalla tormentosità del dubbio. Così c’è chi sottopone tutti i giorni la moglie a martellanti interrogatori, chi controlla minuziosamente la castità del suo abbigliamento o la corrispondenza del partner e chi magari anche la biancheria intima alla ricerca di attività sessuali illecite. Queste persone riescono a rendersi conto delle loro esagerazioni, ma «non ce la fanno» a cambiare condotta, né a scacciare dalla propria mente certi pensieri pur sentiti come assurdi. I sentimenti di gelosia vengono vissuti permeati da un incoercibile dubbio. Sono tendenzialmente criticati ed il paziente vive con pena il fatto di provarli e ancora di più di «dover» accondiscendere alle conseguenti condotte comportamentali, fino a momenti di possibile grave egodistonia. Talvolta quello che stupisce è come l’Altro accetti (anche per anni) tutto questo, suggerendo come nella scelta del partner e nello sviluppo di una tale sintomatologia (almeno quando questa si mantenga per anni) non si deve più parlare di un singolo malato, ma di una coppia gravemente disturbata.
Nella Sindrome di Mairet chi ne è affetto vive in un clima pervaso di vissuti di gelosia non solo di tipo amorosa. La condizione è indicata anche come «Iperestesia Gelosa» e delinea un quadro clinico di confine tra normalità e patologia in cui le idee di gelosia sono quantitativamente floride e tendono ad occupare tutto il campo esperenziale del paziente. Sono anche notevolmente persistenti tanto che spesso costituiscono un vero e proprio doloroso stile di vita. Diventano cioè compagne insostituibili di ogni relazione umana significativa (massimamente se sentimentale). Le tematiche di gelosia assumono in questa condizione la struttura formale di «idee prevalenti», hanno cioè una forte componente affettiva e mantengono un costante confronto con la realtà, pur occupando in modo stabile ed esclusivo il campo coscienziale del paziente. Inoltre spingono fortemente ad «agiti» non infrequentemente sentiti, dal contesto socio-culturale, come abnormi e patologici.
Nella Sindrome di Otello (o Gelosia Delirante o Delirio di Gelosia) la persona è convinta dell’infedeltà del partner e ricerca e trova “conferme” del tradimento ovunque. Tenta in ogni modo di strappare la confessione al partner e attua rimedi contro la sua supposta infedeltà restringendone l’autonomia o assoldando investigatori. Il comportamento del paziente pertanto non è teso alla scoperta di qualcosa, che si pensa già di sapere, ma piuttosto a far ammettere all’altro la colpa. Da qui una continua richiesta di confessioni assillanti, portate avanti talvolta in modo reiteratamente subdolo, altre volte con l’arma del ricatto, talvolta infine ricorrendo alla coercizione e alla violenza fisica. L’ammissione del tradimento viene presentata sempre come «La Medicina» che porrà fine ai tormenti e ai dubbi che ne conseguono. Talvolta il partner accusato, nella speranza di porre fine ad una situazione insostenibile, ammette un magari inesistente tradimento. Lungi dal placarsi il delirante, che ha finalmente avuto la conferma delle sue certezze, intensifica la sua aggressività e tenta di far ammettere ulteriori infedeltà. Questo tipo di gelosia può giungere ad atti violenti nei confronti del partner o del presunto amante e spesso è una complicanza dell’alcolismo cronico.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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TEST SULLA GELOSIA

“La natura animale si procura per istinto tre cose che sono necessarie per perpetuarsi. Si tratta di tre autentici bisogni. Il primo è nutrirsi, ma perché questo non risulti un lavoro esiste una sensazione che si chiama appetito, e si prova piacere nel soddisfarlo. Il secondo è conservare la propria specie generando, e certamente non si adempirebbe questo dovere, se non si provasse piacere nel compierlo. Terzo: la tendenza irresistibile a distruggere il nemico. E niente è più sensato, perché avendo il dovere di conservarsi, si deve odiare tutto ciò che opera per distruggerci: questa è la gelosia: il senso di pericolo che si avverte quando il nemico invade il nostro territorio. ” Storia della mia vita di Giacomo Casanova

 

1) Ritenete che il vostro partner debba nutrire interesse affettivo e/o sentimentale:

  1. •  solo per voi
  2. •  principalmente per voi
  3. •  in maniera differente per diverse persone

 

2) Cosa pensate se persone dell’altro sesso manifestano interesse, più o meno celato, per il vostro partner?

  1. •  Debbo assolutamente smorzare sul nascere tale interesse
  2. •  Cerco di tenere sotto controllo l’evolversi di tale interesse
  3. •  Non mi preoccupa più di tanto, ho fiducia che non venga ricambiato

 

3) Se il vostro partner riceve una telefonata o un messaggio sul cellulare inaspettato

  1. •  Aspettate che sia lui a dirvi chi era
  2. •  Non fate domande ma starete attenti se tali telefonate o sms inaspettate si ripresentino
  3. •  Dovete assolutamente sapere chi era a chiamare o messaggiare ed il relativo contenuto

 

4) Con quale dei seguenti aforismi concordate

  1. •  Spesso, la gelosia non è che un presentimento. (R.Gervaso)
  2. •  La gelosia è un misto d’amore, d’odio, d’avarizia e d’orgoglio. (A.Karr)
  3. •  La gelosia è un abbaiare di cani che attira i ladri. (K. Kraus)

 

5) Che cosa pensate dell’amicizia fra uomo e donna ?

  1. •  Ritengo che sia possibile
  2. •  Ritengo che sia possibile a determinate condizioni
  3. •  Concordo con il seguente aforisma : “L’amicizia fra due persone di sesso diverso o non è nulla o è amore.”

 

6) Siete a conoscenza di tutti gli ex partner del vostro attuale partner

  1. •  Ne sono a conoscenza limitatamente a quello di cui il mio partner mi ha riferito
  2. •  Ho cercato di sapere il più possibile sui suoi precedenti partner
  3. •  Il passato è passato e non ha più nessuna importanza

 

7) Una vostra cara amicizia Vi chiede in prestito un oggetto altrettanto a voi caro. Cosa fate ?

  1. •  Seppur a malincuore accetto di prestare con la raccomandazione che mi venga ridato il prima possibile
  2. •  Rifiuto in maniera decisa
  3. •  Concedo il prestito in fin dei conti nulla ci appartiene del tutto.

 

8) Con quale dei seguenti aforismi concordi

  1. •  Fidarsi degli uomini è già farsi uccidere un po’. (L. F, Cèline )
  2. •  Non dare mai spiegazioni: i tuoi amici non ne hanno bisogno e i tuoi nemici non ci crederanno comunque. (E.Hubbard )
  3. •  All’anima pura tutte le cose paiono pure. (Sacre Scritture)

 

9)R.Barthes afferma : “Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità…” Cosa ne pensate ?

  1. •  Concordo in pieno
  2. •  Non concordo affatto
  3. •  Concordo parzialmente

 

Adesso contate quante A B o C avete totalizzato.

 

Domande

 

1 2 3 4 5 6 7 8 9
Risposta 1 A A C A C B B A B
Risposta 2 B B B B B A A B A
Risposta 3 C C A C A C C C C

 

Leggete il profilo relativo della lettera di cui avete totalizzato il maggior numero

Maggioranza di A (Prevalenza di gelosia)

La gelosia sembrerebbe pervadere la vostra vita sentimentale. Fate vostro l’aforisma ‘Spesso, la gelosia non è che un presentimento’ . Ma più che un presentimento essa è legata ad insicurezze personali, mancanza di autostima nei vostri confronti e mancanza di fiducia nei confronti del partner. Potrebbe essere necessario approfondire le cause di tale atteggiamento all’interno della vostra relazione.

Maggioranza di B (Modesta presenza di Gelosia)

Riuscite a ‘dosare’ bene la vostra gelosia anche se non manca qualche momento o situazione in cui la gelosia prende il sopravvento. Fate vostro l’aforisma di Barthes ‘ “Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità…” Riuscite a gestirla consapevoli delle ripercussioni che può avere su di voi, sul partner e sulla coppia.

Maggioranza di C (Scarsa presenza di Gelosia)

Sembrerebbe che non siate affatto gelosi. Fate vostra la massima biblica ‘All’anima pura tutte le cose paiono pure ‘ . Ma ricordate che un pizzico di gelosia nella coppia non guasta, contribuisce a mantenere vivo il legame.

La maggior parte delle persone che effettuano il test presentano una maggioranza di B vale a dire una modesta presenza di Gelosia, come direbbero i latini l’equilibrio sta nel mezzo. Se rientrate in questa “maggioranza”, utile è calcolare quale tipo di risposte risulta al secondo posto nel conteggio totale. Tale seconda posizione potrebbe rivelare una vostra maggiore propensione ad assumere atteggiamenti gelosi.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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LA GELOSIA

Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri. Barthes, Roland

 

La gelosia è un sentimento che parte dall’idea che ciò che io ho di più “caro” potrei, da un momento all’altro, perdere. Essa si lega al concetto di possessività, alla possibile perdita di ciò che si ritiene proprio. Entrambi i sentimenti pretendono l’ “altro”, vogliono la sua presenza in termini esclusivi e personali. Parlo di pretendere l’altro perchè lo si considera un “oggetto” piuttosto che un “soggetto”. Spesso chi ne è affetto manifesta la sua gelosia in assenza di qualunque fatto, di qualunque circostanza che possa giustificare un vissuto del genere.

Nella gelosia è presente una o entrambe delle seguenti componenti:

  • paura dell’abbandono, della perdita, della separazione, di ciò che si ritiene proprio e necessario al proprio benessere;
  • gelosia ed invidia dell’altro che potrebbe condividere ciò che, è nostro. Gelosia delle caratteristiche che il rivale ha e noi non abbiamo. In questo caso la gelosia non è rivolta tanto al proprio partner ma è gelosia del terzo e quindi si muove ai confini dell’invidia.

E’ importante distinguere fra gelosia “normale” e gelosia “patologica”. La gelosia normale è inseparabile dal’amore per il partner, ed è sempre presente a livelli accettabili. Anzi se non ci fosse si potrebbe addirittura dubitare se è vero amore. Inoltre serve a far sentire l’amato veramente amato, perchè attraverso la gelosia manifestiamo la paura di perderlo. Invece parleremo di gelosia “patologica” quando essa assume le seguenti caratteristiche:

  • paura irrazionale dell’abbandono e tristezza per la possibile perdita;
  • sospettosità per ogni comportamento relazionale del partner verso persone dell’altro sesso;
  • controllo di ogni comportamento dell’ “altro”;
  • invidia ed aggressività verso i possibili rivali;
  • aggressività persecutoria verso il partner;
  • sensazione d’ inadeguatezza e scarsa autostima di noi stessi.

La gelosia, quella patologica è, dunque, il timore di perdere qualche cosa che si ritiene essenziale per il proprio benessere e che questo qualcosa, che si ritiene essenziale, altri possano impossessarsene. Essa si manifesta anche in assenza di qualsiasi motivo valido. Spesso proprio la gelosia è in alcuni casi la causa della rottura di una relazione. Anzi si teme tanto che una relazione possa finire che, senza volerlo, la si fà finire per davvero.

La gelosia patologica prende origine da sospetti o circostanze infondate, affondando la sua vera natura in un’angoscia che prende forma nella mente senza nessun riscontro nella realtà. Quest’angoscia produce delle vere e proprie rappresentazioni mentali in cui si “costruisce” il “rivale” e le “prove d’infedeltà” e la realtà effettiva viene interpretata erroneamente. Tutto ciò può arrivare a dei veri e propri “deliri di gelosia” che spesso sono all’origine di veri e propri fatti di cronaca come i delitti passionali.

La gelosia patologica, il più delle volte, affonda le sue origini nell’infanzia in una cattiva relazione che il geloso ha instaurato con i propri genitori. Quest’ultimi non hanno adeguatamente rinforzato il bambino nella fiducia per sè stesso e nell’autostima contribuendo così a determinare un adulto geloso perchè non conscio delle sue possibilità e del suo valore, profondamente insicuro. Ciò porta a pensare che il proprio partner potrebbe amare un altro perchè più degno, a non essere sicuro del suo amore.

Ma la gelosia patologica può tradire anche un desiderio di possesso assoluto del partner. Ciò avviene, anche in questo caso, per una cattiva relazione affettiva costruita con i propri genitori, sopratutto quello di sesso opposto. C’è la presenza di un’affettività che non ha trovato correspensione durante l’infanzia, e si pensa di riscattarla da adulti, attraverso il possesso assoluto dell’altro.

Per una migliore disamina della gelosia patologica invito al leggere l’articolo correlato:

Gelosia Patologica: Gelosia ossessiva, Sindrome di Mairet, Sindrome di Otello

CLASSIFICAZIONE DELLA GELOSIA

Uno dei primi studiosi della gelosia è stato Freud che l’ha indagata dal punto di vista psicodinamico ed evolutivo arrivando ad ipotizzare tre diverse tipologie di gelosia (1922, Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, paranoia e omosessualità):

1) Gelosia competitiva o normale;

2) Gelosia proiettata;

3) Gelosia delirante

La gelosia normale che si manifesta principalmente con dolore, ansia, angoscia, causati dal vissuto cognitivo-emotivo di aver perduto la persona amata, da sentimenti ostili verso il rivale, da un atteggiamento autocritico volto ad attribuire a sé stessi la responsabilità della perdita affettiva e dalla ferita narcisistica.

La gelosia proiettata proviene, per entrambi i sessi, dai tradimenti già esperiti nel corso della vita affettiva o da spinte inconscie verso il tradimento (vedi proverbio: Chi la pensa, la fa). Nei rapporti di coppia bisogna resistere a continue tentazioni per evitare di tradire. Colui che avverte in sé 1’esistenza di queste tentazioni attuerà un meccanismo inconscio per alleviare il proprio disagio: proietterà sull’altro le proprie tendenze al tradimento. Al riguardo Freud cita Desdemona quale esempio di gelosia proiettata:

Chiamai il mio amore traditore. E lui, che mi rispose? … Se d’altre donne io mi diletto Vi stendete sul letto con altri uomini

Freud osserva che le persone affette da gelosia proiettata valutano un comportamento civettuolo alla stregua di un tradimento.

La gelosia delirante è determinata da tendenze al tradimento che sono state rimosse ma gli oggetti di queste fantasie sono dello stesso sesso del soggetto che le pone in essere. Per Freud la gelosia delirante corrisponde ad una forma di omosessualità latente che preme per manifestarsi. Come tentativo di difesa contro un impulso omosessuale troppo forte essa può essere descritta mediante la formula: “Non sono io che lo amo è Lei che lo ama”. E’ come se oggetto della gelosia diventasse l’altro, il rivale o la rivale.

Da questo breve escursus si può affermare che gelosia e dipendenza affettiva sono le due facce di una stessa medaglia. Se è presente l’una è molto probabile che sia presente anche l’altra.

 

Dott. Roberto Cavaliere

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LA VOCE UMANA (LA VOCE DEL MALdAMORE)

“LA VOCE UMANA” DI JEAN COCTEAU:
“un atto, una camera, un personaggio, l’amore, e il comune accessorio dei drammi moderni, il telefono”: l’autore ha bisogno solo di questi elementi per questo suo lavoro. In questo dramma per evitare quello che Cocteau definisce il teatro del teatro miscela sapientemente il dramma alla commedia. All’inizio la donna è distesa davanti al letto come assassinata. Poi si alza, prende il cappotto, ma all’improvviso squilla il telefono. La scenografia è ridotta all’essenziale: una camera bianca, un letto disfatto, dei libri, una lampada. Il dialogo è infarcito di sentimentalismi. Poi quando meno te l’aspetti Cocteau tra un luogo comune ed una sdolcinatezza fa pronunciare alla donna frasi profonde e poetiche, che lasciano il segno come queste:
“Se tu non mi amassi e fossi astuto, il telefono diventerebbe un’arma spaventosa: un’arma che non lascia tracce, che non fa rumore”,
“Ti ricordi di Yvonne che si domandava come mai la voce potesse passare attraverso il filo attorcigliato. Ho il filo intorno al collo. Ho la tua voce intorno al mio collo…..” .
Una delle cose che mi hanno colpito è quanto siano cambiati i tempi. Cocteau non si inventa niente. Una donna innamorata ai suoi tempi parlava senz’altro così. Non esistevano l’aborto ed il divorzio. Le donne non avevano opportunità lavorative. Non c’era il femminismo. La donna era l’anello debole della coppia. Non poteva che dipendere totalmente dall’uomo. Nonostante questo la donna vuole conoscere il vero sé dell’uomo. Vuole sapere se l’ama davvero o se è solo un amabile passatempo.
Questo testo comunque è la dimostrazione che una telefonata anche in una situazione intima, informale, emotiva è tuttavia sempre meno coinvolgente rispetto ad un colloquio faccia a faccia. Il pregio o il difetto del telefono rispetto ad un incontro di persona è il fatto che non conta l’abbigliamento, l’aspetto fisico e la gestualità. Un limite ed allo stesso tempo una possibilità per un autore è che al telefono possano nascere malintesi e fraintendimenti. Pur tuttavia prendere una donna e farla parlare al telefono non significa assolutamente decontestualizzarla, isolandola dalla propria storia, dal proprio retroterra sociale e culturale. Anche al telefono esistono delle maschere da indossare, delle regole culturali e di conseguenza delle griglie interpretative. Al telefono esiste uno scenario condiviso, anche se invisibile. Questo testo mi ha colpito proprio per aver evidenziato questa caratteristica delle conversazioni telefoniche. Ma il telefono da questo punto di vista è anche uno strumento diabolico, perché permette di interrompere in ogni momento la conversazione riagganciando. Se lo scenario invisibile non è condiviso, se le incomprensioni e le divergenze hanno la meglio ecco che uno dei due interlocutori può sancire la fine. Abbassare la cornetta è un atto distruttivo, che nega l’altro e che decreta la vittoria dell’incomunicabilità. Significa allo stesso tempo rifiutare il dialogo ed imporre il silenzio. In una conversazione faccia a faccia Invece è impossibile ottenere entrambe le cose: si può solo rifiutare il dialogo, ma mai imporre all’altro il silenzio.
Invece “quando si mette giù il telefono è come se distruggessimo l’ultima nostra possibile avventura, noncuranti dei gemiti dell’altro da noi” aveva dichiarato Cocteau.

 

Dott. Roberto Cavaliere

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FINE DI UN AMORE (DISCUSSIONE TRATTA DAL FORUM)

Sono uscito dal tunnel della sofferenza per la fine di un amore. Ne sono uscito del tutto. Prima di poterlo dire con certezza ho aspettato del tempo… ho aspettato al varco i “flashback” che mi riportassero indietro nel tempo procurandomi angoscia… ma non ce ne sono stati. Dal sogno di cui ho parlato in un mio thread è passato più di un mese; già allora mi sentivo ormai relativamente tranquillo, ma quel sogno è stata un’importante conferma e da allora è iniziato un inarrestabile percorso che mi ha portato ad essere oggi quello che sono. 

No, non ho risolto tutti i miei problemi. Non può essere così semplice. Le dinamiche “malate” che hanno caratterizzato la mia ultima relazione affondano, come sempre accade, le loro radici nel mio contesto familiare di origine. Si trattava (e si tratta) di un malessere legato a privazioni di affetto subite nel passato (evito il termine “dipendenza affettiva” che è un po’ inflazionato). Affrontare il rancore che si crea nell’ambito familiare e i traumi da abbandono che si sono provati nell’infanzia/adolescenza è ben più difficile che dimenticare una persona che si pensava fosse la “donna della propria vita”. Sui rapporti familiari dovrò ancora lavorare tanto. “Lei” invece era ormai solo un “tappo” che teneva chiuse dentro tutte le angosce, le frustrazioni, le paure… Ho sofferto tanto (questo forum è pieno delle mie testimonianze), sono sceso in basso, ho visto il fondo ma poi ho iniziato a risalire… il tappo è saltato, è venuto tutto fuori e io non ho voluto inseguire questi pensieri irrazionali per rimetterli dentro di me e poterli ancora una volta trattenere… Sono andati via, li guardo allontanarsi sempre di più e per la prima volta nella mia vita mi sento me stesso… guardo fuori dalla finestra e vedo quel mondo che per tanti anni mi sono negato mentre ero impegnato ad inseguire le mie ossessioni, le sovrastrutture che erano stratificate sopra di me… il senso del dovere, l’inseguire la perfezione, il non sentirmi mai abbastanza “all’altezza”, il voler tenere tutto sotto controllo… ne avvertivo il peso, sì, ma pensavo che fosse la mia essenza ad essere “sbagliata”, non riuscivo a vedere questi aspetti come slegati dalla mia persona, perché distorcevano la mia visuale dal mio interno… e invece non erano parte di me… 

Non era amore, o meglio non lo era più, era solo un ossessivo contrarsi a difesa di tutte quelle sovrastrutture nocive. Quando sono arrivato a sentire questo è cambiata drasticamente la situazione. La potenza del pensiero ha spiazzato me stesso… il cambiamento è andato ben al di là di quella che sembrava essere solo una sofferenza per amore (e invece era ben di più)… oggi sento di esistere… qualunque cosa succeda io sono me stesso, sono unico e non mi sforzerò mai più di cambiare… la porta è aperta e chi vuole accettarmi per quello che sono può entrare, chi vuole cambiarmi e violentare la mia essenza non avrà più strada. 

Amici… la fine di un amore finisce e io sono semplicemente qui a testimoniarlo. Con la “fine” intendo non il momento esatto in cui il rapporto si interrompe (momento che di per sé ha un’importanza relativa), ma il percorso più o meno lungo e tortuoso che ci porta ad elaborare la conclusione della nostra storia. E’ sempre, quando più quando meno, una lunga fine, ma per quanto lunga arriva al capolinea. Inutile stare a spiegare tutte le “parole chiave” che utilizzo continuamente nei miei interventi… oltre che autoreferente sarebbe inutile… distacco, rancore, rammarico, consapevolezza, autostima, de-idealizzazione, amore per sé stessi, tempo, accettazione… ci vuole anche cautela nel capire quando si è davvero “fuori pericolo” e quando è solo un miglioramento temporaneo… in ogni caso non c’è un modello da seguire, siamo tutti diversi e abbiamo tutti storie diverse, per cui ognuno deve affrontare la propria situazione in un modo specifico per trovare il suo personale percorso. 

Ma non siamo soli , o comunque dobbiamo fare di tutto per non esserlo. La forza dobbiamo trovarla dentro di noi e dobbiamo mettere noi stessi al centro di tutto. Ma non è la solitudine la risposta. E non è soltanto continuando a guardare dentro sé stessi, a leggere libri e a rifletterci sopra che si può acquistare forza, lucidità, determinazione. Abbiamo sempre bisogno di interagire, di confrontarci, di aprirci al mondo. 

Io non sono stato solo. Ci sono stati amici (pochi ma buoni, anzi ottimi) che mi sono stati vicini, i miei genitori che mi hanno aiutato, i parenti che a loro modo mi hanno sostenuto e c’è stato il forum a cui devo tanto. E c’è stata in particolare, e c’è ancora, una persona… 

Auguro a chi ancora sta lottando che la fine della sofferenza arrivi presto. 
Vi abbraccio… Dent

Solo poche righe per scrivere qui quello che mi è già capitato di dirti, o forse quello che ho sempre pensato di dirti e che non ti ho detto se non in modo sbrigativo… 
mi fa felice leggere del tuo cammino verso la serenità, dei passi avanti che hai fatto, di quelli che mi hai raccontato, di quelli che ho visto, di quelli che testimoni qui… 
mi fa felice per te, per il dolore che provavi e che ora sta sananddo, con difficoltà a volte, con maggiore semplicità altre volte…e mi fa felice per me, perchè in un modo che non so neanche spiegarti bene, questo mi fortifica. Un abbraccio stretto, Giorgia


Ho chiuso la mia storia dopo 6 anni passati a distanza…ad aspettare tutte le sere la sua telefonata.. negandomi tanti piccoli piaceri della vita,perchè lui preferiva così, perchè il giorno dopo avevo da studiare e nn potevo perdere tempo a litigare…e cosi ho nascosto la testa nella sabbia, mi sono data delle giustificazioni assurde,mi sono fatta un male pazzesco;alla fine finisci per guardare la vita attraverso il buco di una serratura.. tutto il mondo è dietro quella porta e dall’altro lato ci sei tu con la sua voce appesa ad un filo.. é stata una pseudovita la mia; ed ora che è finita e nn tornerò mai più indietro mi rendo conto di quanto maledetto tempo tempo ho perso,di quanti anni ho lasciato che mi venissero risucchiati. E per quanto ci ho creduto fino in fondo in questa storia, al punto da decidere di andare a vivere da lui, io adesso nn posso altro che domandarmi dove ho messo il mio cervello per tutto questo tempo..come ho potuto soffocare me stessa, la mia libertà, il mio diritto alla felicità, e alla fine nn posso far altro che pensare che il vero nemico di me stessa sono stata IO; nn dobbiamo combattere per dimenticare qualcuno, ma per ricordarci di noi stessi, di come eravamo fatti prima che qualche bastardo/a ci plasmasse, di quello che desideravamo fare da grandi,di quello che ci faceva battere il cuore. 
quanti di voi si guardano allo specchio e nn si piacciono? io l’ ho fatto tante volte e per tante volte mi sono delusa, mi sono tradita; ora che ho avuto la forza di mettere un punto a questa storia sono orgogliosa di me, sento di avere quelle che chiamano palle.. che immaginavo solo gli altri avessero.e anche se la strada è lunga e stasera sono qui a scrivere invece di uscire come vorrei,io voglio ricominciare e nesun rammarico o senso di colpa o nostalgia subdola me lo deve impedire; é sale su una ferita, brucia.. ma alla fine cicatrizza.

Cari amici…pensate che sia giunto il momento del congedo, eh?! E invece no! 
Un grazie davvero con tutto il cuore a questa storia maledetta. 
Grazie al dolore sono cresciuta, grazie alla sofferenza ho aperto il cuore all’amore, grazie alla delusione riesco ad apprezzare maggiormente le cose che ho e che consideravo di poco conto. 
Ho sbagliato in tutta sta storia, ho sbagliato l’approccio, l’inizio, l’iter amoroso e ho sbagliato pure la fine. La rabbia con me stessa mi dilaniava, mi causava sensi di colpa allucinanti; sono arrivata ad incolparmi anche per le sue colpe, per la lavatrice che si rompeva, per l’essere nata. 
Credevo di essere invincibile, ero viziata e perennemente insoddisfatta. 
Il mio farmi desiderare ed allontanarlo non era altro che una “tattica del contrario”. Un ruffianare le attenzioni altrui. Avrei dovuto parlare, spiegare. Ma purtroppo l’abitudine a volte vince, ed io ero abituata a fare così. Era tutto così difficile da cancellare. 
Io dovevo provare, capire, rendermi conto dei miei errori, toccarli con mano, arrivare al limite. Bruciarmi e starci male….poi starci male ancora e non fare nulla, perchè dovevo scoprire come ci si sta. E capire cosa volevo, cosa cercavo. Perché cercavo sempre il contrario di ciò che avevo. Perché invece di essere sua complice diventavo sua nemica. 
Io penso davvero di non aver capito come trasmettere i miei bisogni, come vivere la coppia: in passato sono stata abituata ad un rapporto di dipendenza affettiva e una volta superata (almeno così mi sembrava, ma evidentemente mi sbagliavo), sono caduta nell’errore grave tanto quanto il primo, di vivere una relazione nel modo esattamente opposto. 
Io, come già ho scritto, penso di aver influito molto alla rovina del rapporto. Non perché solo io abbia difetti e lui no… perché per la mia guarigione e il mio processo di miglioramento interiore non m’importa sapere se e in che modo lui abbia sbagliato, ma UNICAMENTE dove IO ho sbagliato e dove IO posso porre rimedio per la prossima storia. 
Ho imparato ad essere più spontanea, aperta, semplice, fresca e meno egoista; ho imparato ad amare…nel senso più bello e puro del termine e ho imparato ad amarmi, ad essere contenta di quello che con tanta fatica mi sono costruita. 
Non importa se ho sbagliato, non importa se lui ha sbagliato… Dio perdona tutti… perché non dovrei farlo io con la persona che mi sta più a cuore di tutti e cioè me stessa? Tutti possono sbagliare… perché uccidermi nel dolore di non essere perfetta come pensavo? Ho capito, cazzo se ho capito… non è la più grande delle soddisfazioni? 
La vita è davvero bella e imprevedibile e a volte ci si lascia andare per paura, per difesa, per egoismo e col tempo quasi involontariamente questi sentimenti prendono il sopravvento su tutto. Conoscere persone è straordinario, per questo ho capito che devo cercare il più possibile di farmi conoscere per quello che sono. Ho imparato mio malgrado che la comunicazione, un sorriso, la sincerità e l’affetto sono le cose più importanti che meritano di essere coltivate e affinate. Non è più possibile vivere nel proprio guscio alzando tutti gli scudi del mondo per difesa e perché nessuno mai meriterà di avermi davvero. Amare se stessi prima di tutto, amare gli altri nello stesso modo. 
Come ho letto proprio oggi, il “bello” della rottura di una storia d’amore, sta proprio nell’equilibiro che si instaura a distanza di tempo tra chi lascia e chi subisce l’abbandono: se all’inizio c’è squilibrio dalla parte di chi lascia perché più forte e non cade nella desolazione (anzi, si sente sollevato e libero di un peso), col passare del tempo il meccanismo s’inverte; posso assicurarvi che si diventa talmente forti, in pace e sicuri dei proprio bisogni e del percorso di conoscenza di se stessi, che da vinti si passa a vincitori. 
Grazie… mai come ora sono cresciuta così tanto!

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

IL CONCETTO DI SAUDADE IN AMORE : NOSTALGIA E SPERANZA

La natura della saudade è ambigua: associa sentimenti di solitudine e tristezza, ma, illuminata dalla memoria, guadagna contorno e espressione di felicità. Quando Garrett l’ha definita come “delicioso pungir de acerbo espinho”, stava realizzando la fusione di questi due aspetti opposti nella formula felice di un verso romantico.

In generale, si vede nella saudade il sentimento di separazione e distanza da quello che si ama e non si ha.

Ma tutti gli istanti della nostra vita non vanno ad essere perdita, separazione, distanza? Il nostro presente, appena raggiunge il futuro subito lo trasforma in passato. La vita è un costante perdere. La vita è, perciò, una costante saudade.

C’è una saudade risentita. Quella che desidererebbe trattenere, fissare, possedere.

C’è una saudade saggia, che lascia le cose passare, come se non passassero. Liberandole dal tempo, salvando la loro essenza di eternità.

E’ l’unica maniera, del resto, di dare loro permanenza: renderle immortali nell’amore.

Il vero amore è, paradossalmente, una saudade costante, senza nessun egoismo.

Della SAUDADE – Cecilia Meireles

 

Saudade è un vocabolo portoghese che indica una forma di melanconia, un sentimento affine alla nostalgia. Etimologicamente, deriva dal latino solitùdo, solitudinis, solitudine, isolamento e salutare, salutatione, saluto ed è considerata intraducibile in altre lingue. Saudade può essere comunque tradotta, approssimativamente, anche come struggimento, tristezza di un ricordo felice.

Infatti in alcune accezioni la saudade è una specie di ricordo nostalgico, affettivo di un bene speciale che è assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o di possederlo. E’ il ricordo di aver gioito in tempi remoti, che non ritorneranno più, la pena di non poter godere della stessa gioia nel presente, di provare piacere solo nel ricordo, è il desiderio e la speranza di poter in futuro tornare all’antica condizione di felicità. In breve accettazione del passato e fede nel futuro.

Si può avere saudade di molte cose :

  • di qualcuno che non c’è più,
  • di qualcuno che amiamo e che è lontano o è assente,
  • di un caro amico,
  • di qualcuno o qualcosa che non si vede da tantissimo tempo,
  • di un luogo caro (la patria, il proprio paese, la propria casa),
  • di situazioni,
  • di un amore.

Nel campo delle problematiche affettive intendo usare questo termine nel percorso d’elaborazione del lutto dovuto alla fine di un amore, ad una separazione. Infatti la saudade è sia nostalgia che è rivolta al passato, a ciò che è andato perduto (in questo caso un amore) ma allo stesso tempo è rivolta anche al futuro, per quanto incerto o irrealizzabile, ma comunque pieno di speranza.

Il brano in apertura della scrittrice portoghese Cecilia Meireles rende bene il significato di tale termine in amore.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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FINE DI UNA RELAZIONE – IL DOLORE DELL’ABBANDONO

“Ma lei mi manca. So bene che è lei a mancarmi, non lo stupido fantasma di un desiderio irreale. Mi accompagna ovunque con la sua assenza, non riesco a scrollare da me la certezza che si trovi nella sua stanza e che tra poco scenderà la scala di legno rosso per venire da me, si infilerà nel letto e parleremo a bassa voce della giornata che sta per cominciare. Devo ragionarci sopra per rendermi conto che, quando tra poco mi sveglierò, aprirò gli occhi su un’altra stanza, situata in una città diversa e lei non ci sarà. Ma il giorno non viene. Finché l’oscurità mi accoglie (e così sarà per sempre), lei è, nei miei pensieri, nel cuore di questo pensiero che porto in me, nel cuore tenero e dolente di questo pensiero che in verità non è il mio, ma il suo, un pensiero nel quale lei mi prende con sé, mi protegge, mi ama come io la amo, nel nulla assopito della notte”.

Philippe Forest, Per tutta la notte, Alet 2006

 

Intervista al Dott. Roberto Cavaliere pubblicata sulla rivista “ViverSani & Belli” n.21 del 23 maggio 2008

 

Essere lasciati per “un’altra”: il dolore aumenta?

Dipende dai vissuti personali della separazione, ma generalmente il dolore aumenta. Aumenta perché la colpa della fine è attribuita all’altra . Si afferma: Se non ci fosse stata l’altra la relazione sarebbe continuata. Può darsi che l’altra abbia accelerato la fine, ma il più delle volte non è la causa determinante. Ma è tipico della personalità umana trasferire all’esterno i propri insuccessi.

Inoltre il dolore aumenta perché la vita affettiva e sociale che si è trascorsa insieme adesso l’ex partner la vive con l’altra. Taluni arrivano ad affermare che era preferibile che il partner fosse morto piuttosto che continui a vivere con un’altra.

Abbandono: un dolore “senza età”? Ci sono differenze sostanziali su come la persona vive e elabora l’abbandono a secondo dell’età (20/30:40 anni e oltre?)

Sicuramente l’età anagrafica in cui avviene l’abbandono è importante. Riguarda due dimensioni fra esse correlate: il dolore e la progettualità futura. Il dolore abbandonico dei 20 anni è un dolore più acuto ma dura meno nel tempo. Anzi, riveste quasi un carattere di crescita evolutiva dal punto di vista affettivo. Aiuta a maturare. Serve per esperienza per relazioni future. L’idea di una progettualità futura di coppia non è compromessa ed è quasi assente la paura di rimanere da soli. Man mano che l’età avanza il dolore tende a durare nel tempo, la speranza di una futura progettualità di coppia inizia ad essere compromessa, la paura della solitudine aumenta fino a poter diventare vera e propria angoscia.

Un accenno ai suoi incontri esperienziali: cosa fa più male, perché fa bene parlarne con gli altri, cosa s’impara. Perché le storie finiscono?

Nei miei seminari esperienziali la problematica che fuoriesce ed è più dolorosa è il vissuto abbandonico, con tutte le sue conseguenze: dolore, rabbia, senso di solitudine e via dicendo. Parlarne in gruppo serve, oltre che a condividere questa ambivalenza di sentimenti, a collocarli in una giusta posizione, ad osservarli attraverso anche le esperienze degli altri, sotto un’altra ottica. Ottica evolutiva, di crescita personale. Il gruppo diventa un specchio, ma uno specchio che restituisce un immagine riflessa di sé stessi meno deformata e più sincera rispetto al proprio specchio interno.

Le storie finiscono per i motivi più svariati. Sarebbe necessario farne un lungo elenco. In questa sede posso dire che oggi all’interno di una coppia la dimensione affettiva rimane importante anche nel tempo. Quando questa viene a mancare, a differenza del passato dove la dimensione coniugale o genitoriale rimaneva un forte collante, si decide di porre più facilmente fine alla relazione. Semplicemente finisce l’amore o quando nella fase iniziale si è troppo idealizzato l’altro e/o la relazione coll’altro, il frantumarsi di questa idealizzazione se non trova una progettualità di coppia, porta alla disintegrazione della relazione.

Dopo un amore…: si esce sempre cambiati? Cresciuti?

Non sempre si esce cambiati, cresciuti. Dipende dal percorso personale di elaborazione del lutto della fine di un amore. Se questo processo lo si è vissuto passivamente si entra in quella che gli psicoanalisti definiscono “coazione a ripetere” tendendo a cercare un riscatto nelle future relazioni ripetendo, però, sempre lo stesso copione, che ha portato alla fine del primo.

Inoltre è importante considerare il tempo che si è passato col proprio ex come “ vita acquistata e non vita persa”

In quanto tempo si supera in genere il dolore?

Per quantificare il tempo dobbiamo fare riferimento agli antichi greci che distinguevano due diversi concetti di tempo. Cronos che è il tempo cronologico, quello delle ore, dei giorni e dei mesi. Lo scorrere di Cronos e importante per superare un amore. Studiosi nordamericani sono del parere che sono necessari almeno sei mesi per superare la fine di una relazione o un abbandono. L’altro concetto di tempo è Kairòs che è un tempo individuale , un tempo necessario per dire “basta”, vale a dire il tempo del cambiamento interno. E’ quel momento i cui ci si rende conto che è il momento di voltare pagina. Questo tempo è variabile ed è il tempo necessario affinchè ci si possa mettere alle spalle la relazione finita.

Ci sono differenze nel dolore e elaborazione di un abbandono fra uomini e donne? Nel modo di reagire e, anche, a livello psichico profondo…

L’uomo, pur di fronte ad un ‘lutto sentimentale’ profondo e dilaniante, tende, generalmente, rispetto alla donna, ad elaborarlo in più breve tempo e prevalentemente a livello d’elaborazione esterna. Conseguentemente, mette maggiormente in atto, la tecnica del ‘chiodo schiaccia chiodo’ con le prevedibili conseguenze future per la ‘vittima’ che si presta a questo copione. Inoltre, capita anche che s’instaura subito un odio per il genere ‘femminile’ che porta ad instaurare una relazione per il solo scopo, più o meno inconscio, di vendicarsi, della persona che l’ha lasciato. Manca, quindi, nell’uomo, spesso, quella concezione dell’elaborazione del lutto sentimentale che è legato ad una concezione sia di tempo Kairos che di autentica elaborazione interiore. A livello psichico profondo l’elaborazione del lutto è anche legata alle precedenti esperienze vissute d’elaborazione del lutto ed a copioni familiari presenti e passati. Inconsciamente l’uomo assimila l’abbandono dell’amata ad un abbandono della figura materna.

A livello di comportamenti esterni l’uomo consuma il proprio dolore in maniera più attiva, vale a dire con maggiore rabbia, aggressività, fino ad arrivare a veri e propri comportamenti persecutori come lo stalking.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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DISILLUSIONE AMOROSA E FINE DI UN AMORE

Il principe ritornando a palazzo sosta presso la casa di un saggio sufi e gli espone il suo tormento e la sua tristezza. Il saggio gli dice: “ Quando vuoi vendicarti di qualcuno lasci solo che quel qualcuno continui a farti del male. Prima di tornare al tuo palazzo devi liberarti dai ricordi che ti tormentano.” e gli narra di un giardino agli antipodi del mondo, dove crescono delle rose magiche il cui profumo ha il potere di dare l’oblio. Il principe parte con i suoi fidi e durante i mesi e poi gli anni capitano avventure insolite, incontri strabilianti, battaglie vinte e perse, paesi e costumi meravigliosi, finché dopo sette anni di viaggio, in cui ha perso la maggior parte della sua scorta, rimanendo solo con pochi amici, giunge al giardino e scorge il cespuglio dove fioriscono le magiche rose. Si avvicina al cespuglio ma, improvvisamente si chiede. “Perché devo sentire il profumo di queste rose?”  LE MAGICHE ROSE dalle MILLE E UNA NOTTE

 

La condizione di disillusione pone innanzitutto la persona non più amata, o quanto meno non amata in modo idealizzato come prima, di fronte a vissuti abbandonici e di fine della relazione. La disillusione pone infatti colui che vive l’esperienza in una condizione di risentimento nei confronti dell’Altro già amato. Il rimprovero è quello di non essere stato all’altezza della sua idealizzazione ed è pervaso anche da una sensazione di tradimento, quasi che l’Altro, non solo non abbia potuto, ma anche non abbia voluto, comportarsi come si sarebbe desiderato. Da qui la possibilità di comportamenti di rimprovero («… perché non sei così e così») ed aggressivi («… ti comporti in modo scorretto ed io te la faccio pagare …). Il deluso si può, dunque, non rassegnare alla perdita del proprio sogno d’amore e far subentrare consapevolezza di ciò è difficile.

Ma ancora più difficile sarà affrontare la perdita di un amore che si è vissuto con il senso di appagamento che dà la realizzazione di un proprio sogno, con la conseguente perdita di quelle parti del proprio Sé (spesso le parti migliori, quelle più idealizzate) che sull’Altro erano state proiettate.

La perdita non voluta dell’Altro, il suo abbandono, dà luogo ad un dolore di fondo, una pena con sentimenti di abbandono e conseguente relativa perdita di senso della vita. E’ presente anche un rinchiudersi in sé stessi, un’incapacità a svolgere le normali occupazioni, spesso una difficoltà di concentrazione con conseguenti disturbi della memoria (sopra tutto della capacità di ordinare i ricordi).

Un lutto amoroso non superato porta continuamente il paziente alla ricerca di una risolvere della rottura, di un ripristino della unione senza la quale non può vivere. In particolare, l’innamorato abbandonato può cercare di raggiungere l’obiettivo di essere presente nella vita dell’Altro, di non cadere nell’oblio, di essere riconosciuto. Obiettivo questo che si può raggiungere anche con quei comportamenti molesti che fanno comunque avvicinare all’Altro, magari suscitando in lui sentimenti forti: ira, rancore, paura. Su questa base s’innestano episodi acuti di esplosioni di dolore, caratterizzati da crisi di pianto e disperazione. Sono inoltre frequenti i «passaggi all’atto» sostenuti dalla indifferibile necessità di ricontattare la persona amata che si può tradurre in una ricerca spasmodica dell’Altro con pedinamenti, telefonate, lettere, biglietti … Da qui i tipici comportamenti di amore molesto comuni nella vita di tutti i giorni, fino ad arrivare a veri e propri episodi di Stalking, che spesso arrivano agli onori della cronaca. Infatti E c’è l’estrema possibilità dell’attacco aggressivo, potenzialmente anche omicida. Questo tipo di agiti è spesso presente in persone che hanno già la predisposizione ad agiti esplosivi. Leggendo i resoconti di cronaca, ascoltando persone coinvolte nei relativi fatti di sangue, si ha la sensazione che spesso, a far precipitare la situazione, possano essere state circostanze secondarie come l’atteggiamento di sfida dell’Altro, il suo porre degli ultimatum o più semplicemente la presenza di strumenti atti a provare lesioni gravi.

Altre volte la volontà aggressiva è preintenzionale, studiata in tutti i particolari, al fine di esercitare un controllo sull’Altro che sfugge. I mezzi possono essere duplici:

1) attraverso un agito di reciproca eliminazione, omicidio seguito da suicidio, al fine di ritrovare nella morte quella fusionalità che si è persa nella vita;

2) attraverso lo svilimento, l’umiliazione dell’Altro, in maniera esecrabile e drammatica quale la violenza sessuale, talvolta anche di gruppo. Ciò, probabilmente al fine di far allontanare dall’Altro l’immagine idealizzata che sostiene lo stato passionale del soggetto.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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GLI UOMINI E LA FINE DI UN AMORE

Un uomo onesto, un uomo probo, si innamorò perdutamente 
di una che non lo amava niente.
Gli disse portami domani il cuore di tua madre per i miei cani
lui dalla madre andò e la uccise
dal petto il cuore le strappò e dal suo amore ritornò.
Non era il cuore, non era il cuore non le bastava quell’orrore
voleva un’altra prova del suo cieco amore.
Gli disse amor se mi vuoi bene tagliati dei polsi le quattro vene.
Le vene ai polsi lui si tagliò, e come il sangue ne sgorgò
correndo come un pazzo da lei tornò.
Gli disse lei ridendo forte l’ultima tua prova sarà la morte.
E mentre il sangue lento usciva e ormai cambiava il suo colore
la vanità fredda gioiva un uomo si era ucciso per il suo amore.
Fuori soffiava forte il vento ma lei fu presa da sgomento
quando lo vide morir contento.
Morir contento e innamorato quando a lei niente era restato
non il suo amore non il suo bene ma solo il sangue secco delle sue vene. 

(Ballata dell’amore cieco. F. De Andrè, 1966)

 

Il seguente articolo è l’originale completo dell’articolo ‘ Uomini e mal d’Amore’ apparso su Bella Style del 19.04.07

Perchè gli uomini decidono di chiudere una relazione ?

Diversi sono i motivi per cui gli uomini decidono di chiudere una relazione.
Innanzitutto, semplicemente, perché sentono di non amare più. In questi casi anche se inizialmente erano presenti tutte le principali componenti di un autentica relazione d’amore – affettività, passione ed impegno, c’è il venir meno del sentimento nella sua interezza, od in una delle sue parti. A quest’ultimo riguardo frequente è il chiudere la relazione perché viene meno da parte dell’uomo l’impegno a costruire una progettualità di coppia futura, soprattutto in una società di forte ‘disimpegno’ come quella attuale. Il classico esempio dell’eterno Peter Pan che vuole vivere la relazione solo come passione, al massimo affettività, ma senza nessun impegno a più lungo termine.
Spesso la relazione parte sin dall’inizio , con la mancanza di una delle componenti nel sentimento maschile, per cui la possibile fine è come se fosse già scritta. In questi casi, anche la donna non si rende conto o non vuole rendersi conto che la relazione è deficitaria in taluni aspetti sin dal principio. Un’altra causa ricorrente è il tradimento della persona amata. Per condizionamenti culturali, l’uomo si sente colpito nella sua virilità e non accetta il possesso fisico della propria donna, da parte di un altro. Anche se ultimamente la mentalità maschile al riguardo stà cambiando.

Perchè gli uomini vengono lasciati ?

I motivi per cui gli uomini vengono lasciati sono da una parte gli stessi per cui lasciano, seppur con significative differenze. La componente impegno che negli uomini è spesso deficitaria sin dall’inizio è molto più presente nelle donne ed appunto questa mancanza nell’uomo che poi conduce la donna a lasciarli. Sul tema del tradimento le donne, legate più ad un possesso affettivo dell’uomo, perdonano quello fisico, per cui, a meno che non intervengono altre cause non interrompono la relazione.

Come vive un uomo la fine di un amore ?

Lo scrittore ‘Pavese’ scriveva ‘Un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla.’ Un uomo, qualunque uomo, anche il più ‘narciso’ il più sicuro di sé, di fronte alla fine di un amore, di un amore che riteneva autentico, dimostra tutta la sua fragilità, le sue debolezze, come nella frase di Pavese. In questi casi amo usare la metafora di ‘un bambino che implora l’affetto materno’. Ed infatti la reazione è legata a precedenti esperienze di distacco dalla figura materna. L’uomo mette in atto un copione, poco ‘virile’ culturalmente in molti aspetti, per recuperare l’amore perduto.Telefonate, sms, colloqui ‘chiarificatori’ fino a rasentare o ad arrivare, talvolta, a quello che è un comportamento di stalking. I comportamenti tipici del fenomeno dello stalking, oltre quelli sopraccitati, sono : pedinamenti, lettere e fiori, appostamenti vari (casa, lavoro, ecc…), violazione di domicilio, visita sul luogo di lavoro, minacce di violenza, violenza fisica e sessuale di diversa entità.

Come supera un uomo la fine di un amore ?

La vera elaborazione di un lutto, soprattutto di quello sentimentale, richiede due diversi tempi, secondo una concezione greca del tempo. Cronos che è il tempo cronologico, quello delle ore, dei giorni e dei mesi. Lo scorrere di Cronos e importante per superare la fine di un amore. L’altro concetto di tempo è Kairòs che è un tempo individuale , un tempo necessario per dire “basta”, vale a dire il tempo del cambiamento interno. E’ in quel momento che ci si rende conto che è tempo di voltare pagina, che l’amore è davvero finito. Anche sul piano dell’elaborazione personale, distinguiamo un elaborazione esterna, più superficiale e di facciata, ed una interna, più profonda ma anche più dolorosa, che porta alla vera accettazione del lutto premessa per il suo effettivo superamento. L’uomo, pur di fronte ad un ‘lutto sentimentale’ profondo e dilaniante, tende, generalmente, rispetto alla donna, ad elaborarlo in più breve tempo di tipo Cronos e prevalentemente a livello d’elaborazione esterna. Conseguentemente, mette maggiormente in atto, la tecnica del ‘chiodo schiaccia chiodo’ con le prevedibili conseguenze future per la ‘vittima’ che si presta a questo copione. Inoltre, capita anche che s’instaura subito un odio per il genere ‘femminile’ che porta ad instaurare una relazione per il solo scopo, più o meno inconscio, di vendicarsi, della persona che l’ha lasciato. Manca, quindi, nell’uomo, spesso, quella concezione dell’elaborazione del lutto sentimentale che è legato ad una concezione sia di tempo Kairos che di autentica elaborazione interiore. A livello individuale l’elaborazione del lutto è anche legata alle precedenti esperienze vissute d’elaborazione del lutto ed a copioni familiari presenti e passati.
Vorrei terminare con un significativo brano dello scrittore J. Kerouac
‘Nessun uomo dovrebbe vivere senza aver sperimentato almeno una volta la sana anche se noiosa solitudine di una dimora tra i boschi, scoprire di dover dipendere solo da se stessi, e per questo tirar fuori la vera forza interiore.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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